Un cambio di prospettiva

Quello che stupisce maggiormente leggendo Ragazzo persiano dopo aver letto Fuoco dal cielo è il completo cambio di passo.

Abbiamo lasciato Alessandro sgomento ed addolorato dopo la morte del padre Filippo, ucciso durante il matrimonio della sorella, lo ritroviamo nel pieno della campagna militare contro Dario, re dei Persiani.

Ma non è l’unico consistente cambiamento, la voce narrante, in prima persona, è quella del ragazzo persiano del titolo, Bagoa, figlio di Artembare, di un’antica tribù regale di Ciro, di alto lignaggio, ma venduto come schiavo – dopo essere stato catturato quando il padre e il resto della famiglia vengono trucidati a causa di un tradimento – evirato e fatto diventare eunuco grazie alla straordinaria bellezza, fino ad entrare alla corte di Dario e divenirne l’amante.

E’ questo cambio di prospettiva che ci permette di conoscere la cultura persiana, di vederne pregi e difetti, l’opulenza del cerimoniale, la raffinatezza dei modi, il concetto di divinità del re, la varietà delle tribù che la caratterizzano. E attraverso gli occhi di Bagoa assistiamo all’avanzare di Alessandro in Oriente, la sua incredibile campagna militare, ma anche la sua abilità di stratega e di politico.

Alla caduta di Dario, Bagoa viene accolto da Alessandro e a poco a poco diventa il suo ἐρώμενος (amato). Un amore immenso da parte del ragazzo persiano, che dovrà assistere, suo malgrado, ai due matrimoni del re macedone e alla relazione senza pari con Efestione, ma che sarà sempre ricambiato con affetto dal grande condottiero.

Il racconto di Bagoa è ricco di particolari sulla vita di corte, sui complicati rituali e sulle usanze tipiche dei persiani, che spesso paragona a quelle dei conquistatori, scandalizzandosi e trovando “barbarico” molti degli atteggiamenti e degli usi del popolo greco. E questo più di ogni altro, rende assolutamente consigliabile la lettura. Perché fa capire al di là di tutto di come il cambio di prospettiva, conceda un’apertura mentale, consenta di mettersi nei panni dell’altro, permetta di capire che le altre culture, le altre lingue non sono minori, inferiori, solo diverse.

Alessandro fu grande soprattutto perché riuscì a comprendere questo, grazie all’intelligenza e alla curiosità che lo caratterizzavano. Il suo atteggiamento di apertura e tolleranza fu, però, mal visto dai Greci, che convinti di essere gli unici portatori di cultura, consideravamo “barbari” tutti i popoli, le lingue, gli usi che non corrispondevano o si adattavano alla loro visione del mondo.

Per i compagni di Alessandro, ad esempio, la cerimonia della proskýnesis (o prosternazione) ovvero “portar la mano alla bocca inviando un riverente bacio”, atto tradizionale di riverenza tipico della corte persiana, era un atto di sottomissione inammissibile, come per i persiani lo era l’atteggiamento cameratesco tra Alessandro e i suoi, che lo guardavano addirittura negli occhi. Per non parlare del fatto che le decisioni del grande conquistatore venivano discusse e votate democraticamente e non imposte.

«Ma mio signore, mio signore Iskander, tu sei il gran re di Persia. Conosco la gente; i persiani non sono come i macedoni. I greci, lo so, dicono che gli dei invidiano i grandi uomini e puniscono la hu…» Mi ero applicato sui libri, ma ala parola mi sfuggì. «Hubris» disse lui. «E già mi stanno tenendo d’occhio per questo.» «Non i persiani, mio signore. In un grande uomo cercano la magnificenza. Se egli sembra tenere se stesso in poco conto, gli tolgono il rispetto.» «In poco conto?» disse Alessandro dal profondo del petto. Era troppo tardi per fare marcia indietro. «Mio signore, noi onoriamo il coraggio e la vittoria. Ma il re… deve tenersi in disparte; i grandi satrapi devono avvicinarlo come se fosse un dio. Dinanzi a lui si prosternano, come soltanto i contadini fanno con essi.» Tacque. Aspettati timoroso. Infine disse: «Il fratello di Dario voleva parlarmi di questo, ma non osò.» «Ora il mio signore è adirato?» «Mai, per un consiglio dato con l’affetto.» Mi trasse più vicino a sè per dimostrarmelo. «Ma ricorda, Dario fu sconfitto, e ti dirò io perché. Si possono governare i satrapi, in questo modo, mai i soldati. Non vogliono seguire qualche immagine regale cui debbano avvicinarsi strisciando sul ventre. Vogliono essere certi che ti ricordi di loro in qualche azione di qualche anno fa, e che sai se hanno un fratello sotto le armi; vogliono sentirsi dire una parola, se muoiono. Se sono bloccati dalla neve, vogliono veder bloccato dalla neve, anche il loro generale. E se le razioni o l’acqua scarseggiano, e tu rimani in testa alla colonna, vogliono sapere che lo fai per ragioni militari; allora ti seguono. E amano ridere. Io imparai di che cosa ridono nel corpo di guardia di mio padre, quando avevo sei anni. Mi hanno fatto gran re di Persia, ricorda…No, sono sono adirato; hai fatto bene a parlare. Lo so, ho in me il sangue sia dei greci sia dei troiani.»

E’ lo scontro tra culture quello che trapela tra queste pagine: i Macedoni che non comprendono come il loro re possa apprezzare la cultura barbara degli orientali, con delle abitudini concepite come disdicevoli e di contro i Persiani che per millenni hanno cullato le loro tradizioni e guardano con diffidenza l’orda di invasori da cui vengono assoggettati, concependoli a loro volta come arretrati culturalmente.

La difficoltà maggiore che dovette affrontare Alessandro non furono tanto le battaglie sanguinose quanto la politica d’integrazione tra culture diverse: il suo intento era quello di armonizzare le differenze, accettare la ricchezza del mondo orientatale fondendolo con quello occidentale (basato sull’unione del pensiero filosofico con la gestione pratica della vita) di matrice ellenica. Paradigmatico fu il cosi detto “matrimonio di Susa” in cui lui e un’ottantina di alti ufficiali macedoni sposarono altrettante giovani donne appartenenti alla nobiltà dei paesi conquistati: era un modo simbolico per celebrare l’unione tra Greci e Persiani.

Senza addentrarsi più di tanto, tra le pagine di Il ragazzo persiano scorrono tutte le battaglie e le imprese compiute da Alessandro durante la lunga espansione verso oriente e trapela tutta la sua curiosità, la sua voglia di conoscere, la sua insaziabile sete di sapere, il valore che per lui avevano gli amici, i compagni di sempre, l’affetto sconfinato verso il suo cavallo Bucefalo o il suo cane Peritas, ma anche la sua generosità verso chi lo accompagnava e il suo incredibile coraggio: sempre in prima linea, sempre pronto a fare la sua parte anche a sprezzo della vita, ritenendo di non poter pretendere dai suoi soldati più di quanto anche lui era in grado di fare o subire.

Cavalcava avanti e indietro lungo la colonna, controllando ogni cosa personalmente. Sembrava incredibile quante tra quelle tante migliaia di uomini egli conoscesse. Spesso ridevano insieme: il soldato con il re, o il re con il soldato. I soldati sapevano abbastanza bene quale posto occupassero nel suo cuore. Nella grande maggioranza, non lo avevano mai nemmeno veduto vestito ala persiana; lo conoscevano con con logori vesto greche, o con una corazza di vecchio cuoio, i cui orli cominciavano ad essere tagliati dai rinforzi di ferro. Non volevano un re macedone più decoroso del loro giovane e imbattuto generale, che gelava, o sudava, o pativa la fame con loro, senza mai sedersi finché non li aveva veduti sazi e non si era accertato che le loro ferite fossero state medicate; un generale che non dormiva mai più all’asciutto di loro, che strappava la vittoria al pericolo. Che cosa importava a loro se nominava satrapi persiani, mentre la provincia avrebbe potuto essere governata e spogliata da alcuni macedoni? Volevano la loro parte del bottino e lui lo divideva con loro equamente. Se dormiva, quando ne aveva il tempo, con il fanciullo di Dario, che importava? Anch’egli aveva diritto alla sua parte. Ma cominciavano a pensare alla patria.

Questa considerazione delle truppe comportava anche il rispetto per le loro decisioni. Alessandro arrivato in India avrebbe voluto proseguire, voleva arrivare all’oceano, vedere la propaggine orientale della terra, ma la stanchezza delle milizie, il loro desiderio di tornare a casa, di poter riabbracciare moglie, figli, genitori, rivedere i luoghi amati, ebbe la meglio. Seppur combattuto e dispiaciuto si decise a tornare indietro a non proseguire la sua impresa. Chissà cosa avrebbe fatto e dove sarebbe arrivato se non fosse morto a soli 33 anni…

Mary Renault grazie anche ad uno stile sobrio ma affascinante, cura, fin nei minimi dettagli, l’ambientazione storica facendo entrare il lettore nei palazzi, nelle città e negli scenari in cui l’azione si dipana. Concentrandosi, però, soprattutto sull’aspetto umano, sulle luci e le ombre di Alessandro, sui dubbi e i tormenti, sul suo amore per Efestione e sulla follia che lo prese alla sua morte e sul sentimento verso Bagoa, che per Alessandro non fu mai uno schiavo, un servitore, ma un amico, da considerare suo pari.

Il ragazzo persiano di Mary Renault – Mondadori Oscar Cult (2023) – traduzione di Bruno Oddera – pag. 465

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