Ogni volta che ci si trova di fronte a libri che hanno formato generazioni di lettori, che sono stati analizzati, sezionati, amati fino allo sfinimento, la prima reazione a scriverne è inadeguatezza. Cosa posso dire io di più o di meglio, o per lo meno, di originale rispetto agli altri? Assolutamente nulla. Ecco quindi le mie modestissime ed inutili riflessioni su La valle dell’Eden di Steinbeck.
Nell’apparente semplicità di un romanzo che partendo da un luogo fisico la California e descrivendo la diversità dei suoi terreni, e la periodica carenza di acqua, che rende alcuni appezzamenti fertili e pieni di possibilità per chi li coltiva e ci si insedia, altri privi di quella che è la fonte della vita e quindi aridi e poveri, vi inserisce la storia intrecciata di due famiglie. Una irlandese emigrata in America in cerca di fortuna capitanata da Samuel un uomo ricco di inventiva e di genio, ma sprovvisto di fortuna. L’altra di Adam Trask, proveniente dal Connecticut, cresciuto con il padre e un fratello, a sua volta padre di due figli.
Due storie che hanno un peso diverso nel romanzo, perché Steinbeck si sofferma soprattutto sulla vicenda di Adam Trask, vero protagonista del romanzo, ma che nel confronto e nell’incontro tra due famiglie e due modi di vivere definisce e caratterizza la storia principale.
Adam è costretto dal padre, veterano dell’esercito nordista, ad intraprendere la carriera militare, nonostante la sua totale contrarietà all’orrore e alle barbarie della guerra.
In tutta la storia gli uomini è stato insegnato che uccidere un altro uomo è male, è cosa intollerabile. Chiunque uccida dev’essere eliminato perché l’omicidio è un peccato grave, forse il più grave che ci sia. E poi prendiamo un soldato e gli diamo la facoltà di uccidere. ‘Usala bene, usala saggiamente’ gli diciamo. Non gli mettiamo limiti. Vai e uccidi il maggior numero di tuoi fratelli di un certo tipo o di una certa categoria. E per questo sarai premiato, perché è una violazione di quello che ti è stato insegnato.
Dopo essersi congedato e aver vissuto di vagabondaggi per un po’, Adam torna alla fattoria di famiglia e comincia a vivere con il fratello Charles, seppur caratterialmente diverso, fino all’arrivo dell’enigmatica, Cathy Ames, una donna perfida, senza morale, dominata da una malvagità innata, assoluta e inestinguibile, consumata da un odio prepotente, implacabile carnefice del suo prossimo, incarnazione, per definizione dello stesso autore, del male assoluto.
Adam si innamora di lei perdutamente, vede solo la donna fragile e bellissima e, considerata l’avversione del fratello contro di lei, preferisce andarsene a cercare fortuna altrove. Arrivato in California nella valle del Salinas incontrerà e farà amicizia con Salomon e intreccerà la sua vita ad un servitore cinese, Lee, umile e colto che da quel momento si occuperà delle faccende in casa Trask, anche se il suo sogno è quello di aprire una libreria a San Francisco dove disquisire con altri intellettuali di filosofia e letteratura.
Da Cathy, Adam avrà due gemelli Caleb e Aron, abbandonati immediatamente dalla madre che tutto vuole eccetto rimanere a fare la moglie in una sperduta fattoria.
Per Adam l’abbandono della moglie sarà un colpo fatale, da cui si riprenderà con estrema fatica soltanto dopo anni di abbattimento e depressione. I gemelli cresceranno nell’affetto di Lee, diversi come il giorno e la notte.
La storia narrata da Steinbeck è estremamente semplice e lineare ma l’elemento centrale della sua narrazione è la contrapposizione tra bene e male, tra predestinazione e libera scelta, tra destino scritto o possibilità di redenzione. L’autore inserisce una serie di considerazioni nelle pagine centrali del libro, riportando e poi commentando l’episodio dell’Antico Testamento di Caino e Abele. In una evidente metafora tra l’archetipo biblico, e quella da lui raccontata di due fratelli in due generazioni successive che vivono un sentimento profondo di attaccamento e gelosia, affetto e invidia, in una bipartizione di caratteri: la mite e sognante figura ispirata ad Abele e il sofferente, cupo, complicato e contraddittorio epigono indiretto di Caino. Non a caso le iniziali dei nomi delle due coppie di fratelli evocano proprio Caino e Abele: Charles e Adam, Caleb e Aaron.
Come dice Samuel sono solo sedici versetti della Genesi, eppure nella loro asciuttezza sono terribili, definitivi, senza nessuna nota di incoraggiamento: Caino uccide Abele per gelosia e il sangue del fratello lo marchia e lo maledice agli occhi del Signore e verso tutti gli altri esseri umani.
“Penso che sia la storia più famosa del mondo perché è la storia di tutti. Credo sia la storia simbolo dell’anima umana. Adesso vado a tentoni… non saltatemi addosso se non riesco ad essere chiaro. Il peggior terrore di un bambino è non essere amato, il rifiuto per lui è l’inferno. Penso che tutti quanti al mondo, in misura maggior e o minore, abbiamo provato il rifiuto. E il rifiuto porta con sé la collera, e la collera porta qualche specie di crimine che vendichi quel rifiuto, e il crimine porta la colpa… E questa è la storia dell’umanità. Credo che se potessimo tagliar via il rifiuto, gli esseri umani non sarebbero quello che sono. Forse ci sarebbero meno pazzi. Sono personalmente convinto che ci sarebbero meno carceri. E’ tutto qui: l’esordio, l’inizio. Un bambino vedendosi rifiutare l’amore che tanto desidera, dà un calcio al gatto e nasconde la sua colpa segreta; un altro ruba per farsi amare grazie ai soldi; un terzo conquista il mondo. E sempre ci sono colpa e vendetta e nuova colpa. L’essere umano è l’unico animale colpevole. Ma aspettate! Per questo credo sia importante, questo racconto così antico e terribile: perché è come una mappa dell’anima, dell’anima segreta, rifiutata, colpevole…”
La lettura del brano della Genesi e la discussione che ne scaturisce tra Adam Samuel e Lee porta quest’ultimo a cominciare a ragionare sul messaggio contenuto nelle parole della Bibbia, a cercare di comprenderlo più a fondo.
Paragonando le due versioni di traduzione, Lee si accorge che in quella di King James, Jaweh dice “ma tu lo dominerai”, con il verbo al futuro indicativo, mettendo l’accento sulla promessa fatta dal Signore a Caino che sarebbe riuscito a vincere il peccato; mentre in quella dell’American Standard si dice “E tu dominalo”, con il verbo all’imperativo, non vi è più una promessa ma un ordine.
Così Lee incarica dei saggi cinesi i quali si mettono a studiare l’ebraico, con l’aiuto di un rabbino.
“Dopo due anni sentimmo che era possibile affrontare i sedici versetti del quarto capitolo di Genesi. Anche i miei vecchi saggi ritenevano importantissimo quelle parole – ‘Tu lo dominerai’ o ‘tu dominalo’. E questo è l’oro che abbiamo estratto dalla nostra ricerca. ‘Tu puoi’. ‘Tu puoi dominare il peccato.'”
“La traduzione dell’American Standard ordina agli uomini di trionfare sul peccato e il peccato si può chiamare ignoranza. Quella di King James fa una promessa, con il suo ‘lo dominerai’ nel senso che l’uomo trionferà sul peccato. Ma la parola ebraica Timshel – ‘Tu puoi’ – quella dà una possibilità. È forse la parola più importante del mondo. Quella che dice che la strada è aperta. Quella che ributta la cosa sull’uomo. Perché , se ‘tu puoi’… è vero anche che ‘tu non puoi’…
Ed ecco in un’unica parola “Timshel”,“Tu puoi”, e in una decina di pagine tutta la ricchezza e la bellezza del capolavoro di Steibeck. L’uomo non è una marionetta nelle mani di Dio, per quanto grande sia il suo errore e la sua colpa, ha sempre la possibilità di scegliere, di essere artefice del suo destino, di sottrarsi da quanto sembra scritto, sia alla tentazione del peccato, che alla predeterminazione cosmica o biologica che possa condizionare l’uomo. L’umanità non è destinata a peccare né costretta a perseguire la santità; bensì è in grado di scegliere liberamente quale cammino intraprendere: il bene e il male, la giustizia e il peccato, la santità e la dannazione non sono altro che conseguenze di quella scelta. Il tema cardine de La valle dell’Eden è, dunque, la scelta, la possibilità data all’uomo, concatenata ovviamente al libero arbitrio, e alla responsabilità, terribile e salvifica, che sempre lo accompagna.
Elemento fondamentale soprattutto nel momento in cui Caleb scopre chi è la madre, che non è morta ma gestisce uno dei peggiori bordelli della città, e crede che la perversione di lei possa essergli stata trasmessa nel sangue, come una colpa atavica che non si può cancellare.
Totalmente diverso da Furore, l’epopea della disperazione in cui Steinbeck racconta i drammi di una carestia americana, la migrazione, la povertà e la fame, l’epoca spietata dei pionieri e quel mondo che stava costruendo la propria modernità, La valle dell’Eden offre uno spaccato universale dei temi e le questioni che hanno diviso e condizionato l’uomo: la scelta, il peccato, la predestinazione.
Un romanzo che regala anche due personaggi indimenticabili: Samuel, il saggio pater familias, sempre disposto all’ascolto, pieno di umanità e ardore e Lee, fedelissimo e silenzioso osservatore, ma anche discreto consigliere, incommensurabile presenza nella vita della famiglia e faro luminoso del romanzo.
Un uomo che capisce che per essere accettato deve parlare il linguaggio gergale, il pidgin, (“padlone volere partire domani?”) tipico dei cinesi immigrati in America verso il Novecento, nascondendo la sua conoscenza della lingua e la sua cultura.
«È per questo che con lei parlo. Lei è uno di quei rari personaggi capace di distinguere le percezioni dai preconcetti. Lei vede quello che c’è, mentre la maggior parte delle persone vede quello che si aspetta.»
«Io, che sono nato nella Grass Valley, che sono andato a scuola, e ho fatto molti anni di università in California, non ho la possibilità di confondermi.»
«E se ti tagliassi il codino, parlassi e ti vestissi come gli altri?»
«No. Ci ho già provato. Per i cosiddetti bianchi continuavo ad essere un cinese, ma un cinese di cui non fidarsi, mentre i miei amici cinesi si tenevano alla larga da me. Ho dovuto rinunciarci.»
«Ci sono tornato, in Cina. Mio padre era un uomo piuttosto facoltoso. Ma non ha funzionato: dicevano che avevo l’aria di uno straniero, che parlavo come uno straniero. Sbagliavo nelle forme e mi mancavano quei modi eleganti che si erano affermati da quando era andato via mio padre. Non mi volevano. Riesce a crederci? Ero più straniero lì che qui.»
Un romanzo forte, epico, avvolgente dalla prosa magistrale, John Steinbeck riesce in poche frasi a racchiudere tutta la personalità e il carattere di un personaggio. Con rapide pennellate, senza dilungarsi o appesantire la narrazione rende vivido il racconto, dono che solo pochi narratori riescono ad avere.
La valle dell’Eden di John Steinbeck – Bompiani (2017) – traduzione di Luigi Sampietro – pag. 762