Il rilegatore di Bridget Collins è un romanzo singolare, insolito, per struttura narrativa, per atmosfere, addirittura per genere.
Difficile per non dire impossibile parlare di questo libro senza dire qualcosa che in qualche modo non rovini l’effetto sorpresa che il lettore deve mantenere intatto dall’inizio alla fine. Cercherò quindi di parlarne senza raccontarlo e facendo una precisazione, a mio parere, necessaria: non fidatevi di quello che è scritto sulla quarta di copertina, è fuorviante e per certi versi addirittura falso.
Immagina di poter cancellare per sempre un ricordo, una colpa, un segreto. C’è stato un tempo in cui ciò era possibile. Abili rilegatori, nelle loro polverose botteghe, oltre a modellare la pelle e incollare fogli, aiutavano le persone a dimenticare. Seduti con un libro tra le mani, ne ascoltavano le storie e, parola dopo parola, le cucivano tra le pagine, intrappolandole tra i fili dei risguardi. Così, il ricordo spariva per sempre dalla memoria: catturato dalla carta, non lasciava più alcuna traccia di sé…
L’idea che si ha leggendo queste righe è di avere tra le mani un libro che parlerà dell’arte della rilegatoria non come la intendiamo noi, ma come pratica che permette di intrappolare tra le pagine un ricordo doloroso o terribile per poter ricominciare in qualche modo a vivere. In realtà nel libro questa tecnica più che essere realmente spiegata è affrontata per allusione. E soprattutto non è assolutamente centrale rispetto alla narrazione e con aspetti anche molto contraddittori e per certi versi negativi. Perché le persone rilegate perdono una parte di loro stessi, il vivere senza un ricordo per quanto doloroso o terribile li svuota di qualcosa di essenziale.
Bridget Collins immagina la rilegatoria come un’antica arte a cavallo tra sciamanesimo e psicologia. Il rilegatore pare una sorta di medico dell’anima, capace di sollevare i suoi clienti dal fardello dei loro peggiori ricordi, che vengono, per questo, imprigionati in un libro e conservati lontano da sguardi indiscreti. Almeno in teoria…
Un romanzo ambientato in una società apparentemente ottocentesca, in alcuni passaggi mi ha ricordato la Londra dei bassifondi descritta da Dickens, ma con alcuni aspetti distopici, perché i libri non sono come noi li conosciamo.
Fatta questa premessa a mio parere necessaria, veniamo al romanzo.
Il Rilegatore è suddiviso in tre parti, ognuna delle quali con una propria funzione, un proprio stile, una propria suggestione e una diversa voce narrante, come una sorta di labirinto, in cui il lettore procede a tentoni e che si svela a poco a poco, portando alla luce tutti i meandri della storia, tutti i segreti che cela e le vicende che hanno portato a un determinato punto. Nella prima parte, infatti, l’autrice dispone i tasselli del mosaico che appaiono molto confusi, nella seconda, che poi è il cuore del romanzo, oltre a virare verso tutt’altro genere, comincia a rendere più chiaro il disegno, nella terza, infine, tutti i tasselli trovano la loro collocazione. Occorre, quindi, farsi trasportare da questa storia, senza sapere bene dove finiremo, che tipo di viaggio sarà e dove ci condurrà l’abile penna della narratrice.
Il libro inizia con un giovane contadino, Emmett Farmer, reduce da una malattia che lo ha lasciato spossato e confuso, ma di cui non ricorda nulla. Sa solo che in casa sua i genitori e la sorella lo trattano diversamente dal solito, c’è un cortina di gentilezza ma anche di imbarazzo. E il senso di inadeguatezza e sconcerto cresce quando il padre gli annuncia che diventerà apprendista di Seredith, l’anziana rilegatrice di libri. La cosa turba il ragazzo perché i libri sono visti come oggetti proibiti e il loro utilizzo o possesso considerato vergognoso e immorale. Emmett ha ancora chiaro nella memoria la reazione del padre, quando da bambino, a una fiera, comprò un libro. Perché allora vogliono farlo diventare rilegatore? Perché deve lasciare la fattoria? E il suo lavoro e ruolo nella famiglia? Eppure acconsente e inizia la sua esistenza con l’anziana donna che vive in un luogo sperduto, lontano sia dalla campagna che dalla città, ed è conosciuta da tutti come “la strega”. Seredith è strana ed adattarvisi non è per nulla facile. Oltretutto i suoi compiti sono elementari e non riceve nessuna spiegazione né sul lavoro né sul ruolo di rilegatore. Le domande che Emmett si pone aumentano: cos’è davvero un rilegatore? Perché Seredith vive isolata dal mondo? Per chi sono i libri se non vengono venduti? Perché i libri sono così temuti?
La confusione che si prova all’inizio è davvero singolare perché veniamo immersi nella storia e la viviamo attraverso gli occhi di Emmett, che non capisce nulla di quanto sta vivendo. Il suo smarrimento è anche il nostro, le domande che si pone, mulinano anche nella nostra mente: un espediente narrativo molto efficace perché permette al lettore di condividere lo stesso stato d’animo di sbigottimento, confusione e per certi versi caos emotivo del protagonista.
Mi fermo. Non posso né voglio dire altro. Starà a chi deciderà di leggere questo romanzo scoprire che cosa accade a Emmett, chi sono gli altri protagonisti del libro e perché la rilegatoria non è così neutra come possa apparire a prima vista.
Una riflessione però mi sento di farla la nostra memoria contiene ovviamente tutte le nostre esperienze belle e brutte e ciascuno di noi, probabilmente ha, in una certa fase della propria esistenza, avuto la tentazione di cancellare, se possibile, un ricordo spiacevole, un’umiliazione, un fallimento, una delusione o ancora la morte di una persona cara o la sofferenza di una malattia. Ma quei ricordi brutti, quelle esperienze negative in realtà fanno parte di noi, ci hanno reso quello che siamo. Non saremo noi se non avessimo quel determinato bagaglio di emozioni, di ricordi, di immagini. Se potessimo cancellarle non diventeremmo persone migliori o più felici, ma in qualche modo esseri umani incompleti, svuotati dall’essenza più profonda di noi.
Concludendo un romanzo sicuramente originale per struttura ed intreccio, con personaggi molto realistici e molto umani, che cambiano nel corso della narrazione e mostrano le loro luci e le loro ombre. Un romanzo cupo, a tratti persino crudo, che tocca temi su cui discutere e riflettere. Un libro che mi è piaciuto per il senso di straniamento che lascia, per lo sviluppo della storia, ma che soprattutto nell’ultima parte mi è apparso incompleto, non totalmente riuscito, come se mancasse qualche tassello o come se l’autrice avesse volutamente avvolto nella nebbia particolari che sarebbero però stati necessari per entrare maggiormente nella storia ed apprezzarla fino in fondo.
Il Rilegatore di Bridget Collins [The Binding 2019] – Garzanti (2019) – traduzione di Roberta Scarabelli pag. 426