Leggere L’attentatrice di Yasmina Khadra è un vero pugno nello stomaco. L’autore, che non risparmia l’orrore della descrizione dei corpi dilaniati da un attentato né la tortura psicologica e fisica, si sofferma però più di tanti altri libri su un quesito e una questione che non riusciamo a capire: perché una persona decide di farsi saltare in aria portando con se tante persone sconosciute nei cui confronti non prova assolutamente nulla?
Amin Jaafari, palestinese con passaporto israeliano, è chirurgo in un ospedale di Tel Aviv, un uomo che si è integrato perfettamente, frequenta israeliani, è stimato dai colleghi, abita, con la bella moglie Sihem, in una casa confortevole e si concede vacanze in giro per il mondo. Non si è mai schierato, non si occupa di politica, ha semplicemente “dimenticato” le sue origini e la situazione della sua gente, per lui l’essenziale è salvare vite umane.
«Tu hai scelto di uccidere, io di salvare. Quello che per te è un nemico, per me è un paziente. Non sono egoista né indifferente e ho lo stesso amor proprio di chiunque altro. Voglio solo vivere la mia vita senza essere costretto a rubarla agli altri. Non credo alle profezie che privilegiano il supplizio a danno del buonsenso. Sono venuto al mondo nudo, lo lascerò nudo; quel che possiedo non mi appartiene. Non più della vita degli altri. Le disgrazie degli uomini nascono da questo malinteso: quel che Dio ti presta, devi saperlo restituire. Niente sulla Terra ti appartiene davvero. Né la patria di cui parli né la tomba in cui tornerai polvere fra la polvere.»
All’improvviso, si trova metaforicamente e brutalmente, rigettato nel mondo da cui aveva voluto allontanarsi: sua moglie si rivela essere una kamikaze che si è fatta esplodere in un ristorante nel centro di Tel Aviv seminando morte e distruzione.
Per lui inizia un viaggio nell’inferno: non solo deve elaborare la tragica fine della compagna, essere interrogato per giorni dai servizi segreti, aggredito dai vicini, subire l’ostilità della società israeliana che lo considera una serpe in seno, e di conseguenza veder deflagrare la sua carriera e la sua intera vita, ma anche affrontare una serie di strazianti interrogativi: chi era in realtà quella donna affascinante, intelligente e moderna che viveva al suo fianco?, perché ha deciso di farsi esplodere?, come ha trascorso gli ultimi mesi?, chi frequentava?, perché non si è reso conto di nulla?
Pensiamo di sapere. Allora abbassiamo la guardia e facciano come se tutto andasse per il meglio. Con il tempo finiamo per non prestare più attenzione alle cose come si dovrebbe. Siamo fiduciosi. Cosa possiamo volere di più? La vita ci sorride, e anche la sorte. Amiamo e siamo amati. Possiamo realizzare i nostri sogni. Tutto va bene, tutto ci arride… poi, inaspettatamente, il cielo ci cade sulla testa. Una volta a terra ci accorgiamo che la vita, tutta la vita – con i suoi alti e bassi, le sue fatiche e le sue gioie, le sue promesse e i suoi fallimenti – è attaccata ad un filo inconsistente e impercettibile, simile a quello di una ragnatela. D’un tratto il minimo rumore ci spaventa e non abbiamo più voglia di credere a nulla. Vogliamo solo serrare gli occhi e non pensare più a nulla.
Inizia una sua personale indagine sulla donna misteriosa che ha vissuto per anni insieme a lui. Amin deve sapere capire, comprendere chi era Sihem. Passando attraverso una varietà di stati d’animo, dall’incredulità e dolore per la morte della moglie, allo sbigottimento di aver avuto accanto un’estranea, allo sconcerto di non aver conosciuto gli stati d’animo, le passioni, le idee della donna che amava, fino alla necessità di sapere il perché: perché Sihem, bellissima e apparentemente appagata, ha fatto una scelta così radicale e terribile. E per farlo è disposto a mettere a rischio la sua stessa vita. Nel suo intimo è convinto che sia stata manipolata, spinta a fare qualcosa che non le corrispondeva e che non avrebbe mai commesso, sicuramente qualche religioso o qualche setta l’hanno manovrata. Arriva addirittura a pensare che avesse una relazione extraconiugale. Per lui lo choc di ciò che è accaduto fa il pari con il tradimento della moglie, che ha vissuto per mesi in un mondo parallelo senza mai far emergere e nemmeno sospettare che cosa stava vivendo e pensando.
Questa indagine lo porterà a tornare nelle terre dove è nato, in un viaggio a ritroso dal suo piccolo paradiso privato (e definitivamente perduto) di Tel Aviv, al purgatorio di Betlemme, per finire nell’inferno di Jenin, per vedere con i suoi occhi una realtà che a lungo ha fatto finta non esistesse.
Tutti sono contenti di rivedermi e di riavermi con loro per la durata di un abbraccio; tutti mi perdonano per averli ignorati in questi anni, per aver preferito i grattacieli scintillanti alle aride colline, i grandi viali alle mulattiere, i lustrini illusori alle cose semplici della vita. Vedendo tutta questa gente che mi ama e potendo condividere con loro soltanto un sorriso, mi accorgo di quanto mi sia impoverito. Voltando le spalle a queste terre sconvolte e imbavagliate, ho creduto di rompere i ponti. Non volevo assomigliare ai miei, subire la loro miseria e nutrirmi del loro stoicismo.
Pagina dopo pagina, incontro dopo incontro, la sua ricerca lo mette di fronte alle sue negazioni, lo costringe a ricomporre la “realtà” cui aveva voltato le spalle, e pertanto l’attenzione di Amin e di conseguenza del lettore si sposta sulle motivazioni profonde, sul vedere, forse per la prima volta una realtà su cui ha volutamente chiuso gli occhi, percepire l’orrore di chi vive senza speranza, di chi ha perso tutto, compresa la sua dignità. Perché alla fine quello che nasce come dolore privato di Amin diventa tragedia collettiva
«Nessuno si unisce alle nostre brigate per il proprio piacere, dottore. Tutti i ragazzi che hai visto, alcuni con le fionde, altri con i bazooka, detestano la guerra più di chiunque altro. Perché ogni giorno uno di loro muore nel fiore degli anni per un proiettile nemico. Anche loro vorrebbero godere di uno stato onorevole, diventare chirurghi, star della canzone, attori del cinema, correre in fuoriserie e toccare il cielo con un dito tutte le sere. Il problema che impediscono loro di sognare, dottore. Cercano di rinchiuderli in ghetti finché vi si annullano. Per questo preferiscono morire. Quando i sogni sono conculcati, la morte diventa l’ultima salvezza… Sihem l’aveva capito, dottore. Devi rispettare la sua scelta e lasciarla riposare in pace.»
Un libro scritto nel 2005 ma di un’attualità sconvolgente.
L’algerino Yasmina Khadra, ex ufficiale dell’esercito, testimone diretto della guerra civile che devastò il suo paese e del ruolo funesto che il fondamentalismo ebbe in essa, nei suoi romanzi prende sempre un punto di vista scomodo che lo ha costretto per motivi di censura e di sicurezza ad utilizzare lo pseudonimo femminile di Yasmina Khadra.
Nella trilogia, composta, oltre che da questo anche da Le rondini di Kabul e Le sirene di Bagdad, si rivolge, attraverso storie intime private, nel quale è facile riconoscersi, che però contengono tutta l’universalità delle situazioni che raccontano, evidenziando la visione miope e stereotipata, se non addirittura cieca in alcuni casi, del mondo occidentale, nei confronti delle realtà mediorientali e islamiche.
“Pensiamo di sapere… e finiamo per non prestare più attenzione alle cose.”
Senza prendere posizione, in modo il più possibile obiettivo invita il lettore a considerare ogni cosa da più angolazioni, sforzandosi a vedere una diversa prospettiva, per vedere il male, individuarne le cause, scandagliarlo, analizzarlo in profondità senza giustificarlo mai, né tanto meno accettarlo.
«Gli integralisti palestinesi spediscono ragazzini a farsi esplodere alle fermate degli autobus. Il tempo di raccogliere i morti, e i nostri stati maggiori mandano gli elicotteri a bombardare i loro tuguri. Quando i nostri governanti si preparano a cantare vittoria, un altro attentato riporta tutto al punto di partenza. Fino a quando durerà?»
L’attentatrice di Yasmina Khadra – Mondadori Strade Blu (2006) – traduzione di Marco Bellini – pag. 232