Un cold case per Cormoran

Robert Galbraith, alias scelto da J.K. Rowling,per questa serie poliziesca che ci accompagna ormai dal 2015, ha messo al centro della narrazione un investigatore privato, ex poliziotto dell’esercito, senza un gamba, con una storia familiare, a dir poco, disastrata (un padre rock star e una madre groupie, nonché una serie di fratellastri di varia natura). Gli ha affiancato una giovane donna, che libro dopo libro ha acquistato spessore ed importanza sia nell’agenzia investigativa che nella vita. Ha ambientato le storie in una Gran Bretagna pre Brexit, piena di tensioni e di novità. E ha affidato a questa coppia indagini sempre più complesse.

Nella gran parte di libri che hanno protagonisti seriali, la storia orizzontale quella che segue i protagonisti che setaccia le loro motivazioni, che porta alla luce il loro passato e li rende sempre più vicini al lettore fa la parte del leone. Non fa eccezione questo corposo romanzo in cui accanto alle indagini su un caso vecchio di quarant’anni la misteriosa scomparsa di Margot Bamborough, una giovane dottoressa uscita dallo studio medico dove lavorava e non più ritrovata, si intreccia con le vicende private di Cormoran Strike e della sua socia Robin Ellacott.

E’ il primo “cold case” della coppia. Un caso intricato e complesso sia per il tempo trascorso, sia perché le indagini condotte della Polizia non sono state molto accurate. In quel periodo agiva un efferato serial killer, Dennis Creed, meglio noto come il Macellaio dell’Essex per le torture, violenze sessuali, fisiche e psicologiche afflitte alle sue vittime, e i detective incaricati dell’indagine, pur non essendoci delle prove concrete che permettessero di accreditare a lui anche la sparizione della dottoressa, sulla base di una serie di indizi che rendevano per lo meno probabile un suo coinvolgimento, si erano convinta della colpevolezza di quest’ultimo e avevano fatto quadrare gli elementi a disposizione, forzando la mano e non seguendo altre piste. In più l’investigatore che aveva seguito il caso ne era rimasto talmente ossessionato da finire ricoverato per un fortissimo esaurimento nervoso. Nel suo taccuino immagini ricorrenti di capri, segni zodiacali, rune, immagini e appunti in cui astrologia ed esoterismo si fondono.

Strike pur consapevole della difficoltà e complessità dell’indagine (è passato troppo tempo, molti dei testimoni dell’epoca sono ormai morti, e non si può fare affidamento nemmeno sul fascicolo della polizia così oscuro e contorto), è però intrigato dalla storia e soprattutto dalla possibilità di ricostruire e fare luce su un mistero di quarant’anni prima. Sarà un lavoro complesso, impegnativo, lungo. Le piste da seguire sono molte, i testimoni da ascoltare e ritrovare tantissimi e la possibilità di non riuscire a risolvere il mistero enorme, eppure… Cormoran e Robin metteranno tutta la loro determinazione, arguzia, intuizione per dare un nome all’assassino e pace postuma alla vittima.

Un’indagine che si intreccia con le vicende private dei due investigatori. Se Robin è alle prese con il divorzio da Matthew e la inevitabile sensazione di fallimento personale e di solitudine, unita alla consapevolezza di essere molto diversa dall’immagine e dalle aspettative di sua madre e della sua famiglia; Cormoran deve fare i conti con la fulminante malattia della zia Joan, la donna che gli ha fatto da madre, che gli ha fatto sentire il calore e l’affetto di una famiglia, nel vuoto desolante della sua infanzia caratterizzata da una madre grupie e da un padre rock star totalmente assente.

Tanti sono i momenti introspettivi del libro, la necessità di fare chiarezza in se stessi è presente in entrambi: Cormoran non può fare a meno di ripensare alla sua infanzia e adolescenza, Robin sente più l’esigenza di mettere in chiaro qual è il suo ruolo nell’agenzia, non più segretaria, neanche collaboratrice sottoposta, ma capo al pari e al fianco di Cormoran. Un groviglio di emozioni e di sentimenti repressi lega poi i due, sempre più vicini, sempre più consapevoli del legame e dell’importanza reciproca ma anche pieni di paure, terrorizzati dal lasciarsi andare, troppo impegnati a preservare quanto di bello, importante ed unico hanno creato, lavorativamente e non solo.

Come poteva dire: Senti, ho provato a negare che mi piacevi, fin dal primo giorno in cui ti sei tolta la giacca in questo ufficio. Provo a non dare nomi a quello che sento per te, perché so già che è troppo, e voglio una tregua dai casini che l’amore si porta dietro. Voglio stare solo, senza legami, libero. Però non voglio che tu stia con altri. Non voglio che qualche altro bastardo ti convinca a sposarti di nuovo. Mi piace pensare ci sia la possibilità che noi due, forse… A parte il fatto che andrebbe male, ovviamente, perché va sempre male, perché se fossi quel tipo d’uomo sarei già sposato. E quando andrà male ti perderò per sempre, e questa cosa che abbiamo costruito insieme, che è letteralmente l’unica cosa buona della mia vita, la mia vocazione, il mio orgoglio, il mio risultato migliore, sarà rovinata per sempre, perché non troverò nessun altro che mi diverta a fare tutto come questo come mi diverto a farlo con te, e tutto sarebbe guastato dal tuo ricordo.

Se solo lei fosse potuta entrare nella sua testa e vedere cosa c’era dentro, pensò Strike, avrebbe capito di occupare un posto unico nei suoi pensieri e nei suoi affetti. Sentiva di doverglielo dire, ma temeva che dirlo avrebbe spostato la conversazione su un terreno dal quale sarebbe stato difficile ritirarsi.

Un romanzo per certi versi cupo, caratterizzato da una sorta di nebbia reale e metaforica. Nebbia nella soluzione del caso principale, nebbia negli altri casi minori di cui si occupa l’agenzia sempre più lanciata e piena di clienti. E nebbia soprattutto nel cuore e nella mente dei protagonisti, addolorati, insicuri, soli.

Galbraith, ci ha abituato ad una narrazione lenta, con descrizioni accurate, ma mai noiose, che paiono pennellate per far risaltare la tela, dialoghi serrati, un indagine vecchio stampo, in cui tutti i vari tasselli vanno a poco a poco a ricomporre il quadro finale e caratterizzazioni precise dei personaggi. Lo scavo psicologico che già ha reso magistrale la prosa della più famosa saga, Harry Potter, è presente e peculiare anche qui. La soluzione dei casi, per quanto a volte appannata dalle vicende personali e trasversali della storia, è sempre coerente e lucida. Però, ebbene sì, c’è un però, sinceramente, nonostante la penna dell’autrice sia assolutamente perfetta e i due personaggi abbiano assunto, romanzo dopo romanzo, un posto speciale nel mio cuore di lettrice, ho trovato eccessiva la lunghezza di questo romanzo. La sensazione di avvitamento e a volte di ripetizione c’è stata spesso e due-trecento pagine in meno su un tomo di 1100 avrebbero reso il tutto più scorrevole e la storia non avrebbe perso di interesse.

Un consiglio: meglio leggere i romanzi di questa serie nell’ordine di pubblicazione. I casi di volta in volta risolti sono autoconclusivi, ma la storia dei personaggi è trasversale e si evolve man mano che si prosegue con i capitoli, quindi, è preferibile seguire l’ordine per apprezzare la narrazione a tutto tondo.

Sangue inquieto di Robert Galbraith – Salani editore (2021) pag. 1085 – traduzione di Valentina Daniele, Barbara Ronca, Laura Serra e Loredana Serratore

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