Una piccola casa all’ombra delle montagne più alte, una donna bellissima dai capelli corvini e gli occhi neri che ama indossare camicie bianche quasi per metter ancora più in risalto il suo viso. Una donna che avrebbe dovuto nascere e vivere in una grande capitale, in una città che sapesse apprezzare la sua bellezza, prendersene cura e non disprezzarla come in quel piccolo paese sperduto tra le montagne austriache.
«Non so niente dei sogni di mia nonna… Ne ho ereditato solo uno dalla splendida Maria: il suo campionario. La zia Kathe me lo diede con una mano appoggiata sopra, come se dovesse benedirlo. Il cognato, Kaspar, l’uomo di mondo, lo aveva portato da Vienna, la sua idea era quella di aprire uno stabilimento tessile a Bregenz, il primo nel Paese, e vendere stoffe fino all’estremo Est, nella capitale. Questo prima della guerra. Maria amava i tessuti, proprio come me, non riusciva – e io non riesco – a tenere fermi i polpastrelli davanti a batista di seta, tulle, velluto, taffetà, voile. Anche solo sotto forma di quadratini in un campionario, grande quanto la cartella di un bambino. […]
Maria era Biancaneve, nera come l’inchiostro, rossa come il sangue, bianca come un foglio di carta. Il cognato le portò il campionario, Maria lo aveva sempre ammirato durante le sue visite. Disse che glielo regalava. Maria fece scorrere la punta delle dita sui preziosi quadratini, e sognò. Sognò di essere lontana da tutto, lontana dalla famiglia, dai figli. Senza avere la coscienza sporca, così me la vedo, così me la immagino. Come se la famiglia non fosse mai esistita. Come se fosse nata a Vienna, o a Berlino, in città dove una come lei avrebbe spiccato. […] Sognava di essere all’Opera, da un palco, guardava giù in sala e si accorgeva del mormorio generale riferito a lei. Era la bellezza di cui si parlava. Si vedevamo gentildonne e lei era una di loro. Indossava un abito azzurro ghiaccio, il colore della neve congelata quando in cielo splendeva il sole, un abito scintillante, e aveva occhi luminosi come quelle delle gentildonne nei romanzi. Le dita rovinate a furia di lavare i panni le avrebbe nascoste sotto i guanti di raso. Anzi, le dita rovinate non le avrebbe neanche avute!»
Siamo nell’Austria dei primi del Novecento, alle soglie della prima guerra mondiale e l’autrice parte da delle matite con cui disegnare una casa, dei monti e un filo tra due ciliegi su cui una donna stende dei panni ad asciugare e da lì inizia a raccontare la storia di sua nonna Maria. Il suo racconto intreccia i fili del passato con tutti gli avvenimenti accaduti dopo. In un inevitabile ordito di trame diverse, di vite diverse, quelle della stessa Maria, di suo marito Josef e dei suoi figli, quattro avuti prima della guerra e i tre successivi: la vita di sette fratelli fino ad arrivare a quella della autrice stessa. I Moosbrugger sono poveri ed emarginati, al paese li chiamano proprio cosi “Emarginati”, perché vivono lontani da tutti, in mezzo a quelle montagne che li proteggono e li allontanano.
Mónika Helfer racconta una storia che sembra inventata, pare quasi una fiaba amara che ha per protagonista una donna troppo bella, un marito taciturno e diffidente partito per il fronte, che ha lasciato il sindaco del paese a controllare la moglie, inconsapevole di quanto il sindaco brami la sua donna. Una storia che parla di quanto possono essere invidiose le donne che tengono lontana Maria solo perché la sua bellezza è pericolosa, attira anche senza volere gli sguardi e il desiderio degli uomini; ma anche della meschinità degli uomini, della cattiveria gratuita e feroce di un prete; di figli che sanno essere scudo e salvezza per una madre; di una gravidanza inopportuna e di una figlia che per il padre sarà sempre e per sempre trasparente. In mezzo una gita ad un paese vicino ed un incontro con un forestiero che per Maria sarà amore, anche se nulla di inopportuno accadrà tra i due, solo sguardi, parole, un bacio famelico e violento e un ricordo imperituro.
E la zia che a distanza di anni, e vedendo ormai la morte avvicinarsi, racconterà alla nipote la storia della nonna e ricostruirà avvenimenti e personalità della sua grande e composita famiglia.
Un libro che mescola ricordi e li trasforma nella storia potente di una famiglia che vive ai margini della società e ne paga le conseguenze, con dei piccoli protagonisti che devono arrangiarsi per sopravvivere ai torti, alla fame, ai pregiudizi e alle questioni d’onore, maturi e scaltri loro malgrado, soprattutto Lorenz, che assume il ruolo di capofamiglia e di sostituto del padre nonostante abbia appena undici anni.
Un romanzo senza sbavature, senza eccessi, intenso e vero. I Moosbrugger è il memoir di una donna alla ricerca delle proprie radici e della storia della sua famiglia persa tra le montagne austriache di un secolo fa.
I Moosbrugger di Mónika Helfer – Keller editore (2022) traduzione di Scilla Forti – pag. 210