Cosa nasconde “L’Alto Nido”?

Come spesso mi capita, compro e soprattutto leggo i libri un po’ a scatola chiusa. Mi piace lasciarmi travolgere dalla storia e farmi sorprendere da quello che è racchiuso tra quelle pagine. E così è capitato anche con questo. Sapevo che la storia riguardava gli ebrei, era ambientato durante l’occupazione nazista dei Paesi Bassi e niente di più.

Con mia grande meraviglia e alla fine enorme soddisfazione ho scoperto che L’Alto Nido di Roxane Van Iperen non è un romanzo, ma una storia vera. Un testo nato in modo davvero inusuale perché l’autrice, dopo aver comprato la casa, chiamata L’Alto Nido, scopre durante i lavori di ristrutturazione, botole e nascondigli, nascosti nei pavimenti o tra le intercapedini dei muri, e al loro interno trova mozziconi di candela, spartiti musicali e vecchie riviste della resistenza antifascista. Da lì inizia un incredibile lavoro di ricerca bibliografica e storica, le fonti a cui attinge non sono solo scritte, archivi e documenti, ma soprattutto orali, interviste ad abitanti della zona, negozianti dei paese limitrofi, ex proprietari della casa e soprattutto incontri con gli eredi della famiglia Brilleslijper. L’Alto Nido ricostruisce, quindi, in maniera dettagliata una pagina di storia densa di dettagli e fatti realmente accaduti, raccolti dalla scrittrice dopo accurate ricerche storiche. Inusuale anche la scelta di iniziare la storia con un prologo in cui Van Iperen racconta l’origine della casa, che viene costruita nel 1920 su incarico di Dirk Witte, paroliere e cantante olandese, autore di una delle canzoni più famose in Olanda, amata da ogni classe sociale e interpretata da voci di ogni generazione: “Mensch, durf te leven” tradotto in italiano con “Uomo, osa vivere”. Un inno e una canzone, il cui spirito saranno una sorta di grido di battaglia negli anni successivi.

In un luogo fiabesco nel cuore dell’area naturale di Naarden, tra il bosco e la brughiera, sorge una robusta villa di campagna. Le ampie finestre offrono una vista completa sui dintorni, e, in lontananza, perfino sul Zuiderzee. Vista dall’alto, la casa si fonde con l’ambiente circostante, il grande giardino è racchiuso da querce oltre le quali si estende il bosco, e sul tetto si nota uno strato di canne dorate, le stesse presenti in riva al mare, più a nord”.

L’autrice, all’interno del libro, ricostruisce la politica razziale tedesca, dalle “Leggi di Norimberga”, promulgate il 15 settembre 1935, che fondandosi su una base pseudo-scientifica, privava i cittadini ebrei di ogni diritto, qualificandoli come sub-umani, fino alla “Soluzione finale della questione ebraica” decisa nella Conferenza di Wannsee (gennaio 1942), che coinvolse loro malgrado i cittadini di tutti i territori occupati dalla Germania durante la seconda guerra mondiale. Allo stesso destino furono accomunati gli ebrei olandesi, nonostante fossero perfettamente integrati e, nonostante le forti proteste, tramite scioperi e manifestazioni, della popolazione non ebraica alla politica razziale. Grazie però alla mappatura fatta su ordine dei tedeschi, anche nei Paesi Bassi per gli ebrei iniziano prima le restrizioni alla libertà di movimento, poi la concentrazione in alcune zone e infine la deportazione: dei 160.000 ebrei presenti nei Paesi Bassi nel 1939, alla fine della guerra nel 1945 ne erano rimasti solo 35.000.


“Nell’estate del 1941 i tedeschi accelerano i preparativi per raggruppare e mappare tutti gli ebrei olandesi. Oltre 160.000 ebrei sono stati registrati, la loro libertà di movimento è limitata, non possono più frequentare mercati, piscine o spiagge, le loro aziende sono state rilevate e le radio confiscate. Gli impiegati del comune di Amsterdam, città in cui vivono oltre 80.000 ebrei, hanno compilato su richiesta dei tedeschi la famigerata “mappa dei puntini”, una cartina in cui la presenza ebraica nella città è riportata con precisione assoluta – per ogni dieci ebrei è stato aggiunto un puntino. Basta un colpo d’occhio per capire quanto lavoro ci sia da fare: alcuni quartieri sono zeppi di puntini, in altri la densità è inferiore. Poco a poco, e senza un’opposizione degna di tale nome da parte del governo olandese, un intero gruppo della popolazione è stato derubato dei suoi diritti e della sua dignità, isolato dal resto della società e mappato nel dettaglio.”

E’ in questa cornice storica che si innesta la vicenda, reale, delle due sorelle ebree Lien (Rebekka) e Janny (Marianne) Brilleslijper. Entrate nella resistenza, grazie alla rete clandestina di cui fanno parte distribuiscono documenti falsificati, tessere di razionamento e riviste clandestine, cercando in ogni modo di aiutare più persone possibili e al contempo ostacolando la folle politica nazista. Quando la situazione diviene sempre più pericolosa e la loro permanenza ad Amsterdam impossibile, si trasferiscono con tutta la famiglia nell’Alto Nido, trasformando l’abitazione in nascondiglio e vivendo però anche una sorta di tranquilla normalità, fatta di momenti speciali, quasi impensabile in un simile momento storico.

Dando però rifugio a parecchie persone, anche solo di transito e per brevi periodi di tempo, il loro rifugio viene scoperto e tutta la famiglia viene catturata. Inizia il vero viaggio all’inferno: prima Westerbork, il campo di transito da dove poi partono i convogli diretti verso Auschwitz, infine Bergen-Belsen. Qui la loro vicenda si intersecherà con quella delle sorelle Margot e Anne Frank, a cui cercheranno di dare tutto l’aiuto e il sostegno possibile sia materiale che psicologico.

Roxane Van Iperen racconta una storia vera, fatta di coraggio e solidarietà, che vede protagoniste due donne straordinarie, che, credendo fortemente in un ideale di amore che vince su tutto, non si sono mai arrese di fronte alla follia e all’odio ingiustificato, cercando anche nei momenti peggiori di restare insieme, di sorreggersi l’un l’altra, di infondersi vicendevolmente il desiderio di rimanere in vita, per poter un giorno tornare a casa e ricostruire almeno in parte la famiglia perduta.

Una lettura forte e intensa, che, nonostante lo stile diretto e poco emotivo, riesce a descrivere gli orrori della guerra e portare alla luce una vicenda poco conosciuta ma assolutamente da non dimenticare.

Devi raccontare questa storia, perché non ha niente a che vedere con molte delle storie che il mondo già conosce. Gli ebrei non si sono lasciati ammazzare in maniera accondiscendente – ci sono ebrei che hanno combattuto in prima persona nella resistenza, uomini ma anche donne.”

L’alto nido di Roxane Van Iperen – Bompiani Overlook (2020), traduzione di FCancesco Panzeri – pag. 456

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