Una famiglia come tante, o forse no

Rebecca Kauffman ci porta nella Virginia rurale della prima metà del Ventesimo secolo per raccontarci la storia di una famiglia composta da un padre, una madre e sette fratelli. Una famiglia normale spezzata dalla malattia e poi dalla morte della madre.

Il racconto non è lineare ma episodico, come una raccolta di tanti eventi vissuti dai protagonisti che portano il lettore avanti e indietro nel tempo, per raccontare la loro infanzia, giovinezza e maturità. Un’opera corale, molto meglio rappresentata dal titolo originale, Chorus che descrive e racchiude il senso di quest’opera.

Fulcro della famiglia è il padre Jim, un brav’uomo, un coltivatore schivo, costretto a vendere a poco a poco porzioni della sua terra per sopravvivere, un uomo che ha messo al centro della sua vita l’amore per la moglie Marie. Un amore schietto e incrollabile, nonostante questa sia sempre malata, fragile e depressa, alle prese con la sua “oscurità”. Negli anni se n’è sempre occupato e l’ha sempre difesa, senza critiche, senza rinfacciarle nulla.

Qualcuno doveva essersi interrogato sulla base stessa del loro matrimonio, chiedendosi se Jim non fosse pentito di aver sposato una donna così tormentata: Marie stessa, nei momenti più bui, aveva ripetuto che era difficile, impossibile amarla. Doveva per forza essersi pentito di averla presa in moglie, gli diceva. Il giorno dopo il matrimonio, Jim le aveva promesso: Ti sarò sempre fedele. Più tardi si rese conto che aveva promesso fedeltà a lei e alla loro unione senza avere la più pallida idea del tipi e della quantità di fedeltà che gli sarebbe stata richiesta. Tuttavia, anche nei momenti peggiori, Jim non viveva il dolore come rimpianto. L’amore che provava per lei e la fedeltà che continuava a dimostrarle erano una montagna. Una montagna di una grandezza stupefacente, dura, imponente misteriosa. Seppure inestricabile dalle sofferenze, non era il tipo di sentimento per cui si potesse provare rimpianto.

Accanto a loro i figli che formano delle sorti di alleanze tra loro: Wendy e Sam i più grandi e anche i più tranquilli, Maeve e Jack i più irrequieti, Bette ed Henry i più piccoli, che hanno sentito maggiormente l’assenza/presenza della madre, e, in mezzo a loro, la solitaria Lane. Ognuno di loro ha affrontato in modo diverso la malattia mentale della madre e la sua morte prematura anche se per ognuno di loro è rimasta una ferita aperta con cui fare i conti per tutta la vita, che ha condizionato, seppur inconsapevolmente, tutte le loro scelte.

C’è chi ha rinunciato alla propria vita per rappresentare il punto fermo della famiglia. Chi si è appoggiato alla moglie, perché il modo in cui palesa le sue emozioni, sempre, è l’aspetto che ama di più di lei. Chi affoga i dispiaceri nella bottiglia, non per dimenticare ma per sentire che appartiene a qualcosa. Chi passa da una relazione all’altra perché non sa dare né ricevere amore. Chi capisce che il figlio sta seguendo la sua stessa strada e l’unico modo giusto per non perderlo, è lasciarlo fare. Chi va nel panico ogni volta che la moglie si allontana. Chi ha sposato l’uomo sbagliato, sperando in una vita diversa.

Un mosaico di emozioni, esperienze, ricordi, che alla fine permettono di conoscere la storia della famiglia, l’intero tortuoso percorso che l’ha resa ciò che è. Una famiglia unita, nonostante tutto, nonostante le scelte, nonostante le rimozioni e gli alibi di cui, infondo, è costellata la vita di tutti.

La famiglia Shaw di Rebecca Kauffman – BigSur (2022) – pag. 238 – traduzione di Alice Casarini

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