Una mezza delusione

Se c’è un argomento difficile da trattare o da approcciare, sebbene sia l’unica cosa certa che abbiamo nella vita è la morte.

Nasciamo con la consapevolezza che prima o poi moriremo, eppure per tutta la vita cerchiamo di scansarla la morte, di averci il meno a che fare possibile, la consideriamo una nemica implacabile, che ci porta via le persone care, o che ci strappa dalla nostra esistenza quando meno ce lo aspettiamo e a volte anche nel modo più cruento, duro, o doloroso possibile.

Accettiamo poco e male anche le morti belle, quelle che arrivano al termine di una vita lunga, che arrivano mentre uno dorme e lasciano il volto rilassato e pacificato.

Per questo trovare un romanzo, oltretutto per ragazzi, che affronti questo argomento è tutto fuorché scontato. Con questa idea e la consapevolezza di aver amato tantissimo il precedente libro dell’autore, La casa sul mare celeste, ho iniziato la lettura di Sotto la porta dei sussurri.

La lettura si è presentata quasi da subito estremamente faticosa: troppi argomenti, troppi temi affastellati, ho avuto più di una volta la voglia di mollarlo e forse se non lo avessi letto con Filippo, lo avrei anche fatto. Ho faticato a ritrovare l’atmosfera magica che mi aveva conquistata nel precedente. E ho avuto bisogno di più di un giorno per ragionare se alla fine avessi apprezzato o meno questo romanzo.

Klune cerca di descrivere il momento del passaggio tra la vita e la morte e ambienta il suo romanzo in una sala da tè che nasconde nella soffitta una porta, che conduce nell’aldilà. La sala è gestita da un uomo Hugo, aiutato da una ragazza Mei, che sono stati incaricati da uno strano personaggio, il Direttore, ad aiutare i trapassati che si trovano confusi e spaventati perché non hanno ancora completamente abbandonato la vita e non sono pronti ad attraversare la porta, a farlo. Tra questi c’è Wallace Price, avvocato di successo, totalmente assorbito dal suo lavoro da non aver spazio per altro, nessun sentimento, nessun empatia. La sua prima reazione alla scoperta di essere morto, oltre all’incredulità, è la rabbia e il sentirsi vittima di un errore a cui qualcuno in qualche modo deve rimediare. L’incontro con Hugo, una sorta di Caronte moderno – non per niente la sala da te si chiama “Il passaggio di Caronte – Tè e dolcetti” – suo nonno Nelson e il cane Apollo gli apriranno un mondo e lo renderanno in grado di riscattarsi e assaporare la vita in tutte le sue sfumature.

Sotto la porta dei sussurri è un libro lento, di una lentezza quasi sicuramente voluta, perché l’autore vuole che il lettore entri poco a poco nella quotidianità della sala da tè, nei suoi ritmi, vuole che conosca i singoli personaggi, che capisca le motivazioni di ognuno di loro, veda il percorso che ognuno sta facendo. E così facendo emergano le difficoltà ad accettarsi e trovare la propria strada.

«No. Solo… allora qual è il punto? Di tutto questo? Di tutto? Se niente di ciò che facciamo ha importanza, perché dovremmo impegnarci?» stava entrando in una spirale senza via d’uscita, ne era consapevole. Una spirale d’angoscia. Aveva la pelle gelida, ma non per l’aria della sera. Serrò i denti per impedire che sbattessero.

«Perché è la tua vita» intervenne Nelson, comparendogli accanto. «E’ nelle tue mani. No, non sempre è giusta. No, non sempre va bene. Può bruciare, lacerarti, a volte infierire al punto da renderti irriconoscibile. Certe persone combattono. Altre… non ci riescono, anche se non credo che bisognerebbe biasimarle per questo. Arrendersi è facile. Tirarsi su molto meno. Ma dobbiamo credere che se ci riusciamo, potremo fare un altro passo. Potremo…»

In queste quattrocento pagine:

C’è l’incredulità e la rabbia di chi muore e non capisce perché né dove si trova

C’è chi in questa sorta di limbo si perde e diventa un guscio vuoto che ha smarrito la propria umanità

C’è la difficoltà di chi fa il mietitore o il traghettatore, figure umane ma che vedono e sentono i defunti e li aiutano ad attraversare

C’è il lutto, il dolore terribile per chi rimane, soprattutto se a morire è un figlio

C’è una sorta di aldilà che però è volutamente non descritta, se non come una porta chiusa da cui si sentono arrivare voci, canti ed un’immensità di luce

C’è un sistema ultraterreno fatto di cose incomprensibili

C’è la presenza di sensitivi che non sentono nulla ma si approfittano della debolezza di chi soffre

E dopo averci riflettuto parecchio, credo che questo non sia un libro sulla morte, ma un libro sull’accettazione, sull’elaborazione del lutto. Non per nulla vengono citate anche le cinque fasi del lutto: la fase del rifiuto e della negazione, quella della rabbia, quella del patteggiamento o contrattazione, quella della depressione e infine la fase dell’accettazione.

Perché in realtà Klune non affronta l’argomento morte, lo lascia ai margini, quello che descrive è un mondo di passaggio, un momento in cui chi non è ancora pronto a proseguire il suo cammino, si ferma, riflette, elabora. Il suo aldilà è solo un riflesso, un’immagine fatta di luci e suoni, lontanissimo da qualsiasi visione religiosa, Dio è addirittura un ossimoro creato dall’uomo nel suo essere pace e ira allo stesso tempo.

«Dio non esiste, almeno non come te lo immagini tu. E’ un costrutto umano, capace di pace assoluta e ira suprema. Una dicotomia simile si trova solo nella mente degli uomini, quindi è ovvio che l’abbiate creato a vostra immagine. Ma temo che non sia più di un favola. La verità è infinitamente più complicata.»

All’autore non interessa guardare al di là della porta, ma raccontare la confusione, lo sbigottimento, la negazione che accompagna quasi sempre l’evento. E lo fa sia dal punto di vista di chi muore che da quello di chi rimane in vita.

Il problema è che T.J. Klune a mio parere inserisce troppi argomenti che non sviluppa nemmeno completamente, in alcuni casi anche forzatamente rispetto alla storia e, nel caso di Wallace, lo rende protagonista di un cambiamento radicale poco credibile, da cinico avvocato senza scrupoli e senza remore a uomo sensibile e attento al prossimo.

Per questo tanto ero rimasta affascinata da La casa sul mare celeste, e all’inno all’unicità, all’affrontare la diversità non come un limite ma come un’occasione, tanto sono rimasta perplessa da questo. Mi aspettavo un libro diverso, un libro che contenesse una visione sull’aldilà. Invece ci si ferma sulla soglia, in tutti i sensi. Non mancano riflessioni interessanti, anche se a volte un po’ scontate, ma manca quel qualcosa che rende magico o speciale un romanzo.

E dopo lunga riflessione non posso dire altro che il romanzo mi ha lasciato perplessa, manca la malia che avevo trovato ne La casa che mi porta via di Sophie Anderson e l’atmosfera avvolgente de La casa sul mare celeste.

Concludendo: copertina stupenda, storia sulla carta suggestiva, ma romanzo troppo lento, a tratti ripetitivo, a volte noioso, che mette troppa carne al fuoco, ingrana troppo lentamente e alla fine mantiene molto meno di quello che promette.

Sotto la porta dei sussurri di T.J. Klun- Mondadori (2022) – pag. 399

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