Il baratro nascosto nell’animo di un uomo

«Ho tentato di raccontare con precisione, giorno dopo giorno – spiega Carrère –, questa vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare cosa gli passava per la testa durante le lunghe ore vuote, senza progetti né testimoni, che avrebbe dovuto trascorrere al lavoro e invece passava nei parcheggi autostradali o nei boschi del Jura. Di capire che cosa, in un’esperienza umana tanto estrema, mi ha toccato così da vicino. E tocca, credo, ciascuno di noi».

Emmanuel Carrère parte da un terribile fatto di cronaca nera accaduto nel 1993 in Francia: l’assassinio di moglie, figli e genitori da parte di Jean-Claude Romand. La storia di un uomo che non esisteva, che aveva inventato un lavoro, una carriera, mentendo a tutti, ai genitori, alla moglie, agli amici, lo affascina. Vuole scoprire cosa si nasconde tra le pieghe di una mente che ha escogitato e vissuto una simile esistenza e commesso un eccidio di quella portata.

Eppure pagina dopo pagina, l’idea che l’autore francese conduca il lettore in una sorta di viaggio nella testa di un “mostro” si perde e lascia spazio ad una ricostruzione precisa e dettagliata del processo, in cui viene ripercorsa la vita di Romand, la sua infanzia, la sua giovinezza, gli studi, gli amori, spiegando quando quell’esistenza ordinaria ha lasciato spazio ad una vita finta. Un’intera esistenza costruita su bugie: nessuna laurea in medicina, nessun lavoro prestigioso presso l’OMS di Ginevra, ma tante piccole truffe a danno dei genitori, della moglie, dei suoceri, che si fidano di lui, che lo vedono un onesto e probo cittadino. E poi le prime crepe nel castello di carta, l’impossibilità a mantenere ancora a lungo in piedi quell’incommensurabile cumulo di bugie e la scelta della via di fuga più semplice, che, a detta di chi l’ha commesso avrebbe dovuto portare anche alla sua morte, ma con i mille dubbi sollevati dall’accusa al processo sul mancato suicidio finale.

Carrère mescola reportage, autobiografia e lettere private per scrivere una sorta di analisi giornalistica estremamente scarna ed essenziale. Seppur parta dall’idea di cercare di capire se in quell’uomo dall’apparenza mite, comune, senza nulla che spicchi all’occhio dell’osservatore, si nasconda «colui che la Bibbia chiama Satana: l’Avversario», pagina dopo pagina, la narrazione non indaga più di tanto sulle motivazioni, sul perché Romand arrivi a distruggere la sua intera famiglia per coprire quello che non è. Come se Carrère si fermi di fronte al baratro dell’animo umano. Come se sia, in definitiva impossibile, riuscire a penetrare tra le pieghe di una mente che ha fatto della finzione il suo modo di essere. Un uomo mite, che non ha nulla del furore dell’assassino, come un burattino manovrato da qualcos’altro. Come se al suo interno coesistessero due Jean-Claude e la finzione abbia talmente preso la mano da far sì che la vita finta sia diventata quella vera, quello che immagina e racconta sia diventato giorno dopo giorno la sua vera esistenza. Romand appare indecifrabile, nelle sue deposizioni non si percepisce mai il senso di colpa per ciò che ha commesso, il rimorso, il pentimento, seppur dica di aver trovato Gesù in carcere, di essersi convertito, non traspare mai il tormento di un’anima che si è resa conto di ciò che ha commesso e se ne pente.

“Gli psichiatri incaricati di esaminarlo sono rimasti colpiti dalla precisione con cui si esprimeva e dalla sua costante preoccupazione di dare di sé un’immagine positiva”.

Sarà che ho finito di leggere da poco I demoni di Fedor Dostoevskij ma ho risentito l’eco dell’autore russo in queste pagine. La questione del male, la responsabilità umana, la presenza di un’entità che possa volgere l’uomo al lato oscuro, lo possa convincere dall’interno a commettere le cose più abiette, è presente in entrambi i romanzi. L’idea del male, come demonio che si insinua, che corrompe, che porta a commettere turpitudini, manovrando l’anima dell’uomo, lascia spazio, a mio parere, ad una sorta di irresponsabilità di ciò che si è commesso. Se è Satana che ha determinato tutto, allora non esiste colpa, né responsabilità, né libero arbitrio. Una delle questioni filosofiche, morali, religiose in cui si imbatte e dibatte l’uomo da sempre.

Per questo L’avversario è una lettura che lascia smarriti, confusi di fronte al mistero di che cosa si agiti nella mente del protagonista e che cosa lo spinga a tali efferati delitti. Carrère non dà giudizi, non prende posizione, riporta i fatti, le deposizioni, le ricostruzioni, e lascia al lettore di trarre le conclusioni e porsi le domande.

L’avversario di Emmanuel Carrère – Adelphi Edizioni (2013) – pag. 169

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