Fabio Genovesi dopo il viaggio immaginifico di Nuno in ‘Oro puro’ torna a raccontare il suo piccolo microcosmo, la sua Versilia, i fatti minimi della sua esistenza, la sua filosofia di vita e lo fa attraverso il ritratto di sette donne che lui stesso definisce sue magnifiche maestre. Donne che non hanno realizzato nulla di eclatante, che non hanno scritto, scoperto, inventato o fatto chissà che, ma che con il loro esempio, con la loro presenza, con il loro affetto, hanno rappresentato per lo scrittore qualcosa di importante.
Lo scrittore immagina di incontrare ognuna di loro durante il sonno, nella settimana alla vigilia del suo cinquantesimo compleanno. Una data tonda che spaventa lo scrittore, soprattutto perché non sa come ci è arrivato, lui che si sente ancora e sempre eterno bambino. Un compleanno che pare invitarlo a rivivere in qualche modo la sua vita e quella della sua famiglia attraverso la compagnia di queste maestre.
Si inizia con la bisnonna quella senza la quale non ci sarebbe stata tutta la linea femminile della sua famiglia: Isolina scambiata dal padre per un maiale investito da Fortunato e per quello divenuto per caso suo marito. Una passione eccessiva per il vino, lo spettro di una vita di botte, attese e violenze, bloccata da subito grazie ad un falcetto. E da quel giorno una coppia esempio di amore all’infinito diventata per tutti Falce e Martello.
Tutto l’amore della mia famiglia, tutti i nostri nomi e le storie, i disastri e le glorie, i pianti i canti il carbone e i diamanti sono nati così, da un colpo di falce, da un buongiorno, da una notte senza luna che è diventata un mattino nuovo.
Nella vita è difficile immaginare come andranno a finire le cose, impossibile sapere da dove sono iniziate.
Si prosegue con la zia Gilda e il suo risotto alla tinca dal sapore incommensurabile anche per il marito parco di complimenti. Quella che non perdeva mai un funerale della zona, e ci portava anche Fabio bambino, seduti sotto la statua di san Felice, per fargli capire come la morte e la vita siano indissolubilmente legate.
Con Irene che teneva i bimbi degli altri, non avendone di suoi. Amorevole e disponibile, lo portava in vespa e al cinema e gli ha insegnato il senso del vivere senza schemi.
Le stesse parole tornano stanotte nel mio sogno, ed è incredibile quanto non siano le stesse. Quanto cambiano le cose nella vita. Ma non sono loro, siamo noi. Rileggiamo un libro, rivediamo un film dopo tanti anni, ed è così diverso che forse nel frattempo l’hanno cambiato. Invece siamo cambiati noi. Quel che abbiamo visto e vissuto, che ci ha accompagnato o sbattuto dove siano adesso.
Con Benedetta, talmente bella da essere stata scelta per la pubblicità del Cornetto Algida Cuore di Panna, la ragazza più grande che lo aiutava ad attaccare bene le figurine sugli album che gli ha mostrato come la vera bellezza sia sempre un pochino imperfetta.
Poi ho abbassato gli occhi all’album, a quel teschio magico che avevo appiccicato senza nemmeno accorgermene. Non era perfetto, non era preciso, ma a questo mondo non c’è nulla di perfetto e preciso nella vera bellezza. Se non traballa un pochino, bellezza non è.
E ancora Azzurra, la bambina col sostegno, che non parlava ma emetteva una sorta di belato. Un modo per rimarcare il suo disappunto. Una lezione per sottolineare la distinzione, la non omologazione.
E La zia Violetta, sorella del babbo, tanto bello lui, tanto brutta lei, più vicina ad un cinghiale, le sue carezze parevano schiaffi e gli abbracci rischiavano di farti collassare un polmone, ma a cui deve la vita e non metaforicamente.
Sei donne, più una, che gli hanno lasciato un’impronta, un atteggiamento, un’idea, che lo hanno fatto diventare quello che è.
Lungo la narrazione non mancano aneddoti sulla madre, la nonna Giuseppina, la bisnonna Archilda, terribile e severa, la cui passione e cura per le ortensie magnifiche, folte e spumose da sembrare alberi, continua anche dopo morta. Sul suo amore per Godzilla, che non somiglia a nessun altro mostro o creatura fantastica, ed è talmente solo da cercare per mari e terra qualcuno come lui: il suo urlo non nasce per terrorizzare ma “è un richiamo d’amore e un pianto di dolore”. Episodi, ricordi, sensazioni che si intrecciano con le visite notturne delle sue maestre e con l’avvicinarsi del compleanno tondo.
Così è la vita, è un canto che sbaraglia il tempo, scalda quel che è stato, infiamma quel che c’è, accende quel che sarà. Mescolando ricordi e sogni, memorie e desideri, in un unico ballo che ci porta via con sé.
Quello che, però decreta la bellezza di questo romanzo non sono i racconti, né i ricordi di tempi passati, è la magia degli ultimi due capitoli: l’ode alla vita, alla sua imperfetta capacità di sorprenderci, se solo le permettiamo di farlo. Se solo ci fermiamo, senza perderci dietro inutili rovelli, voglia di cose beni ricchezze, che alla fine non valgono assolutamente nulla se paragonate alla bellezza di ciò che circonda. E allora vien voglia di stendersi su un prato, perdersi nell’azzurro infinito del cielo, dietro al movimento delle nuvole e all’intrecciarsi del volo degli uccelli, ascoltando il canto d’amore delle cicale. Chiudere gli occhi e rincontrare anche noi le nostre magnifiche maestre, le loro storie, i loro insegnamenti, perdendosi nel profumo di un loro abbraccio.
Alla fine Mie magnifiche maestre è un romanzo sghembo, poetico e struggente per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Un inno all’infinita poesia che c’è in ogni cosa se solo accantoniamo quella corsa infinita ed inutile verso non si sa neanche bene cosa. Un invito a lasciar perdere il superfluo e andare all’essenziale.
Un’esortazione a non fare sempre le formiche laboriose che trafficano senza ascoltare nulla, che si muovono frenetiche senza sentire il mormorio del vento, il cinguettio degli uccelli o lo stesso stridio delle cicale, che vivono senza assaporare il piacere e la bellezza della vita; ma a farsi ispirare dalle cicale, dal loro bellissimo canto d’amore, che vivono brevemente ma intensamente, assaporando ogni istante e gustando ogni momento.
Mie magnifiche maestre di Fabio Genovesi Mondadori (2025)