Inutile dirlo ci sono libri e autori che non deludono mai, che sono una sorta di genere di conforto a cui tornare sempre con estremo piacere: i nostri guilty pleasure, che poi cosa ci debba essere di colpevole, inconfessabile o sconveniente nell’amare un certo genere letterario proprio non lo capirò mai!
Fatta questa pressoché inutile digressione veniamo a parlare dell’ultimo romanzo di Antonio Manzini dedicato a Rocco Schiavone Il passato è un morto senza cadavere.
Un libro che non solo nel titolo ma già nel capitolo di apertura si mostra incentrato sul passato. Il romanzo si apre con un sogno in cui Schiavone si rivede bambino chiamato dalla madre a pranzo, in compagnia degli amici di sempre. E svariati saranno nel corso della narrazione questi momenti di ricordo, finestre sul passato, immagini, profumi, suoni, che lo porteranno alla sua infanzia, alla sua vita precedente. E anche le conversazioni con Marina, la moglie morta ma sempre presente, per lo meno, nella sua mente, avranno lo stesso tenore, perché Marina non perde occasione per ribadire a Rocco che lui vive in una sorta di limbo, che mangia, beve, dorme, fuma, tanto, tantissimo, accende le sue cellule grigie per risolvere i casi più ingarbugliati e complicati che gli capitano, ma in realtà la sua è mera sopravvivenza, totalmente concentrato sul passato, su quello che è stato, ma indifferente al presente e al futuro. Perché Schiavone vivendo nella memoria si sta di fatto impedendo di vivere.
«Davvero. Il presente è il momento in cui vivo, penso e lavoro. Il futuro? Lo sai che non ci penso proprio. Cosa avverrà fra un paio di giorni o fra un’ora questo sì, o la prima telefonata che dovrò fare domattina. Ma credo che quando parli di futuro tu intenda proiezioni, no? Progetti?»
«Esatto. Diciamo allora un 20 per cento nel presente, niente nel futuro e un buon 80 nel passato»
Sbuffo. «Se vuoi tirare fuori delle percentuali, va bene così».
Scuote la testa. « Non va bene, Rocco. Devi invertire questi numeri»
Vivere nel passato, in cui tutti i dolori, i tradimenti, le frustrazioni, i fallimenti sono già avvenuti, congela la possibilità di soffrire di nuovo, impedisce di rigettarsi nella mischia e riaffrontare di nuovo quello che già ha condizionato e travolto la vita una volta. Rocco Schiavone ha coscientemente deciso di vivere con il freno a mano tirato, con il cuore e l’anima ferme nel passato e il cervello che si accende ma senza coinvolgersi più di tanto, ma forse è arrivato il momento di girare pagina e ricominciare a vivere.
In questo romanzo si intrecciano due casi, uno effettivo, la solita rottura di coglioni, il decimo grado della personalissima Scala Mercalli del vicequestore e una che coinvolgerà Schiavone sul piano personale perché collegato ad una persona a lui cara.
La prima sarà un’indagine complessa che troverà la sua spiegazione nel passato della vittima e che porterà la squadra da Aosta nel Friuli e in altre parti d’Italia a cercare di sbrogliare una matassa spinosa anche per i depistaggi e l’omertà che circondano i fatti. Perché quello che a prima vista pare un incidente stradale con una vigliacca omissione di soccorso si trasforma ben presto in un’indagine per omicidio con una vittima assai strana, un uomo molto ricco che non ha un lavoro e che periodicamente si trasferisce cambiando città, casa, abitudini. Un uomo che nel cellulare ha pochissimi contatti e sulla schiena un tatuaggio risalente a tanti anni prima. Un uomo che vive nell’ombra come tentando di sfuggire a qualcosa.
«Viveva come un fantasma perché aveva paura, era preoccupato, cercava armi per difendersi, cambiava città di continuo, come se volesse far perdere le sue tracce. Insomma si sentiva braccato.»
La seconda metterà il vicequestore davanti ad un sentimento da lui sempre messo all’angolo ma invece assai presente e più importante di quanto non voglia ammettere nemmeno con se stesso. Un caso collegato a vicende tragiche dell’Italia degli anni settanta, la lotta armata, i profeti della rivoluzione, gli avvelenatori di coscienza, che hanno scaldato gli animi, pur non prendendo mai in mano le armi, istigatori di delitti senza sporcarsi le mani.
In Il passato è un morto senza cadavere, l’indagine è tesa e coinvolgente, le riflessioni di Rocco sulla sua esistenza malinconiche, ma non mancano i siparietti che coinvolgono soprattutto D’Intino che allentano la tensione e rubano più di una risata.
Domenico D’Intino è infatti l’agente abruzzese che parla solo dialetto, fa casini all’infinito, non ha spirito d’iniziativa, adora gli evidenziatori colorati e ora si è scoperto poeta e cerca una donna con cui condividere vita e poesie. Le pagine in cui Casella aiuta D’Intino a scrivere la scheda di presentazione per l’agenzia di cuori solitari, cui si è rivolto nella disperata ricerca di una donna che possa alleviare la sua solitudine e condividere l’esistenza, mi hanno ricordato quel capolavoro assoluto della comicità che è la scrittura della lettera in Totò, Peppino e la Malafemmina.
Antonio Manzini fa ancora una volta centro, mi piace la sua penna, il modo in cui, un po’ come faceva l’indimenticato Andrea Camilleri, metta qua e là spunti di riflessione sull’attualità politica e sui misteri del recente passato della nostra penisola. E adoro Schiavone meno duro e inavvicinabile dei primi libri, più umano, ma sempre capace di non guardare in faccia nessuno, di non piegarsi al conveniente, di andare dritto verso la verità.
Concludendo come ogni libro seriale ci sono pro e contro, meccanismi che a lungo andare possono venire a noia, e in più occasioni ho letto critiche che chiedono a Manzini di concludere definitivamente la serie, ma anche, almeno per me, l’infinito piacere di incontrare di nuovo dei protagonisti che diventano amici, persone care a cui non si vede l’ora di ritornare. Libro dopo libro, non solo Schiavone ma anche gli agenti della sua squadra, il magistrato, il questore, gli amici di Rocco hanno assunto uno spessore e un’importanza maggiore e il lettore è curioso non solo di sapere che cosa accadrà al suo “eroe” ma anche di seguire le vicende e le evoluzioni degli altri.
Il passato è un morto senza cadavere di Antonio Manzini – Sellerio editore Palermo (2024) – pag. 564