– […] adolescente e adulto sono due facce della stessa moneta. Hanno addirittura la medesima radice. Però adulto è un participio passato. Mentre adolescente è un participio presente. Capisce cosa voglio dire?
– No.
– L’adulto parla con l’esperienza. L’adolescente parla con la sofferenza. La sofferenza è il loro qui, l’adesso, il presente. E’ l’unico tempo che una adolescente sperimenta e che è in grado di capire. L’adulto, no. Ecco il problema.
Non avevo mai riflettuto sul fatto che adulto e adolescente abbiano la stessa radice e la stessa origine etimologica, ma con una differenza di fondo assai marcata. Per adolescente il participio del verbo latino “alere” (nutrire) è al tempo presente, per adulto al passato. Un individuo che “si sta nutrendo” e quindi è all’inizio della propria formazione, e uno che “si è nutrito” quindi ha già fatto questo percorso.
E forse è inserita già nella parola la difficoltà che si ha nel comprendere i figli adolescenti, nel capire il loro smarrimento, le loro complessità, nel riuscire a mettersi nei loro panni, nel provare la stessa confusione che si sente a quattordici, quindici anni. Per loro, che vivono nel presente e si nutrono di quello, le parole di rassicurazione ed incoraggiamento sul fatto che nel futuro le loro ansie saranno placate o che i loro problemi troveranno una soluzione o ancora che i loro sogni potranno realizzarsi, non interessa. Loro vogliono soluzioni qui e ora, subito, immediatamente. Da lì nasce la loro inquietudine e il loro malessere e anche l’incapacità del genitore e dell’adulto di dargli quelle soluzioni e rassicurazioni. E che spiega, ancora una volta magistralmente, Matteo Bussola, l’autore che più di tanti altri, riesce ad avvicinare con estrema semplicità a temi complessi.
Già nel libro precedente Un buon posto in cui fermarsi, Bussola aveva dedicato un capitolo ad un padre che assiste impotente un figlio adolescente che si taglia, con le braccia coperte di cicatrici, un primo squarcio sulla realtà del disagio mentale e dei tanti disturbi che popolano ormai i reparti di neuropsichiatria infantile.
E’ terribile assistere alla guerra di un figlio contro sé stesso. La lotta non è la tua ma è anche la tua, il dolore ti viene inflitto attraverso le ferite di un altro corpo. I genitori dei figli sani non sospettano nulla, sono convinti di essere al sicuro, magari dispensano consigli con la bonaria sicurezza di chi non li vede, i fantasmi. Non immaginano che basta un niente, una parola sbagliata, lo spostamento impercettibile di un’asse, l’incrinatura di un obiettivo, per precipitare un ragazzo giù, e fargli odiare ciò che è, il desiderio di punirsi che si accende proprio quando non lo guardi, che ritorna proprio mentre credevi che fosse tutto superato e volevi dimenticare, come le braci rimaste sotto la cenere a cui basta una folata per brillare ancora. Gli specialisti analizzano, gli educatori mediano, i medici prescrivono. Ma se non è tua la carne non lo sai, non puoi davvero capire il dolore muto dei genitori. Nemmeno i figli possono: la tua fragilità sono loro.
Con La neve in fondo al mare, Matteo Bussola torna sull’argomento e gli dedica l’intero libro, la storia di Caetano e suo figlio Tommy, che soffre di anoressia, ma anche le storie di Eva bulimica e con atteggiamenti infantili di regressione e sua madre Amelia che non sa più cosa fare, che non capisce l’atteggiamento della figlia; Nicolas che non sa controllare l’aggressività che diventa violenza e sua madre Elena che porta sul viso i segni di quella violenza; e ancora Marika autolesionista che si taglia per far uscire il dolore e suo padre Franco manager maniaco del controllo; e Giacomo che dopo un successo social quando i numeri non hanno continuato a crescere si è buttato dalla finestra e sua madre Giulia che di quello che ha provato a fare il figlio sa solo quello. Figli e genitori rinchiusi in un reparto che cercano un modo per tornare alla vita. Atteggiamenti diversi, diversi modi di affrontare la disperazione dei figli ma lo stesso sbigottimento, la stessa inadeguatezza di fronte al disagio dei figli.
Siamo ricoverati insieme, perché ciò che consuma la sua carne consuma pure la mia. Alla stregua di Franco, che sente sulla sua braccia i tagli della figlia, anche se non lo ammetterebbe, o di Elena, che assorbe la rabbia atavica di Nicholas come una spugna che filtra acqua inquinata, o ancora di Amelia, che porta il peso di Eva sulle proprie gambe, sulla propria schiena, nel proprio respiro.
In meno di duecento pagine Bussola mette in scena il dolore silenzioso dei figli, presi da una sofferenza interiore e da un’incapacità di vivere enorme, che li imbozzola ed imprigiona, che non gli permette di vedere il bello della vita. Ma anche e soprattutto quello dei genitori, che assistono impotenti alle sofferenze dei figli. Incapaci di comprendere fino in fondo quel dolore. Desiderosi di rivedere il bambino fiducioso ed allegro che erano solo fino a poco prima. Pieni di sensi di colpa, pronti a flagellarsi per qualsiasi cosa. Perché la sofferenza di un figlio colpisce e avvelena molto più della propria. Un genitore per il figlio vorrebbe solo il meglio, lo vorrebbe felice, sano, pieno di vita e vederlo ridotto ad un bozzolo che non sa né vuole uscire da se stesso è una sofferenza indicibile. Un dolore che a volte, come nel libro capita ad Amelia, la mamma di Eva, diventa rabbia, perché non si riconosce più il proprio figlio.Si ha davanti un estraneo, oltretutto da “maneggiare con cura”, con cui bisogna pesare ogni parola, a cui non si può dire fino in fondo quello che si pensa. Un comportamento che può sfociare in insofferenza se non addirittura odio, perché chi ti sta “rovinando la vita”, il nemico, è la persona che ami più al mondo ma a cui non riesci più ad arrivare, a comunicare, a sentire.
Sono anni che, soprattutto a casa, studio come mi devo comportare con mia figlia, sempre sul limite, sempre con la paura folle di commettere un errore, con il timore delle conseguenze. Ormai ho paura pure di dirle «salute» se starnutisce o di batterle piano sulla schiena se bevendo le va l’acqua di traverso. Sono così piena di angosce, così colma di rancore, sono una spugna imbevuta di veleno. E il veleno è lei. Lei con il suo male oscuro, arrivato da chissà dove, chissà perché, e io che ancora non riesco a capire la ragione per cui è diventata così, per cui ci intossica. […] Perché ci sono io a fare da filtro con chiunque […] sono io che trattengo il peggio perché nessuno pensi di lei l’unica cosa vera che c’è da pensare: che Eva ci sta rovinando al vita. Che è un’egoista, una parassita che non ama nessuno, nemmeno sé stessa.
Bussola alterna la narrazione presente, quello che accade nel reparto, i rapporti che si creano tra i ragazzi ricoverati e i genitori che li assistono, ad episodi del passato, momenti di vita felici: la nascita, l’asilo, la scuola, gli ottimi voti, i pomeriggi passati a nuoto, la fiducia illimitata che un figlio ha nei confronti del genitore, l’essere a cui fa assegnamento di più, di cui vuole affetto, approvazione, considerazione, tempo, l’essere perfetto capace di tutto. Un mito che si disgrega quando le risposte che un adolescente vorrebbe, il genitore non sa più darle, quando la realtà prende il posto al luogo per certi versi magico dell’infanzia.
E nel farlo ragiona sul perché accade, su quando ha avuto inizio tutto, l’origine della crepa e come sia difficile accorgersene. Riflettendo anche su quanto spesso le aspirazioni che i genitori hanno verso i figli, quello che auspicano e desiderano per loro, rischi di diventare qualcosa di così schiacciante da essere una sorta di condanna per il figlio, che si sente costretto a soddisfare quelle speranze, quelle ambizioni, quei sogni, fino a rimanerne schiacciato. E finisce per ribellarsi a questo colpendo se stessi.
La neve in fondo al mare è il libro più maturo e più doloroso di Matteo Bussola e anche il più vero. L’autore con una scrittura scarna racconta il dolore che colpisce i figli e soprattutto l’impotenza ed incapacità dei genitori che da questo dolore sono schiacciati, spesso senza sapere cosa fare e come fare a lenire le ferite dell’anima di chi amano di più al mondo.
La neve in fondo al mare di Matteo Bussola Einaudi Stile Libero Big (2024) pag. 182