L’incarnazione della disobbedienza civile

Prendete il personaggio simbolo della passione civile, aggiungete una ragazzina ribelle e determinata, inserite il tutto in un contesto sociale fatto di lavoro sottopagato in condizione di disumanità, frullate il tutto in una storia di denuncia e vi troverete tra le mani Antigone sta all’ultimo banco di Francesco D’Adamo.

Jo è una tredicenne che non vede l’ora di superare l’esame di terza media per andarsene in città e frequentare il liceo. Testarda, impulsiva, ama il teatro e le chiacchiere con la sua amica Carlotta la Rossa. Vive con suo padre medico, che da quando è morta la mamma chiama solo col nome Federico, e Pelù, suo fratello maggiore, così soprannominato per la passione per il cantante.

Jo è in attesa dell’esame ma soprattutto dello spettacolo teatrale che va in scena ogni anno. L’insegnate ha deciso che metteranno in scena Antigone di Sofocle e Jo spera di ottenere la parte principale. Perché lei si sente molto affine alla figlia di Edipo, la giovane coraggiosa e ribelle che non esita a mettersi contro il potere del re Creonte per dare degna sepoltura al fratello Polinice, ma le tocca la parte di Ismene, sorella molto meno coraggiosa di Antigone.

Adoravo quella parte perché mi faceva sentire giusta, coraggiosa, fichissima, cioè tutto quello che non ero nella realtà.

Giugno, però, non è solo sole caldo ed esami di fine anno scolastico. È anche il periodo della raccolta dei meloni, e dell’arrivo del “Popolo del Fiume”. È così che i concittadini di Jo chiamano i ragazzi di colore che arrivano ogni anno da chissà dove per la raccolta e che vivono in baracche di fortuna, sotto il sole a picco, in condizioni disumane, con paghe irrisorie, accampati sotto l’Argine Grande.

Quando viene ritrovato il cadavere di un ragazzo nero, un ragazzo senza identità, morto per il troppo lavoro, per fame e fatica, nessuno pare interessarsene. Come ha appurato l’autopsia è deceduto di morte naturale perché la città deve accollarsi le spese del funerale come vorrebbe il padre di Jo? Ma Federico, che fa parte anche del Consiglio comunale, non esita a dichiarare che è morto di fatica, non ha retto al caldo, al poco cibo, al lavoro massacrante per dieci dodici ore al giorno, non è solo un incidente, come afferma invece il sindaco.

E all’improvviso la tensione sale ci sono i presidi dei “bravi” cittadini che vogliono che gli extracomunitari se ne vadano, ci sono i compagni di lavoro del morto che manifestano silenziosamente il loro dolore, e in città compaiono dappertutto, persino sul muro del comune, murales, firmati dal misterioso Cat Fly che rappresentano i cittadini come “zombie”. Morti viventi che non riescono a vedere le disuguaglianze, che accettano la piaga del caporalato, che chiudono gli occhi di fronte all’ingiustizia, che non hanno pena per la vita inumana che conducono “Quelli del Fiume”.

Jo, non sa nemmeno bene perché si sente coinvolta nella storia, non riesce a smettere di pensare al Ragazzo come lo chiama lei, un giovane senza nome, senza identità, che non si sa nemmeno da quale paese provenga, quale sia la sua religione, la sua lingua, né se abbia una famiglia, una fidanzata rimasti a casa in attesa di notizie che non arriveranno più.

In lei cresce l’indignazione, la rabbia, il senso di giustizia incarnato perfettamente da Antigone. Perché tutti vorremmo essere come lei, protagonisti di prese di posizione coraggiose, impopolari, anche se farlo è meno facile di quel che sembra.

«L’Antigone non è solo la storia di una ragazza ribelle. È anche la storia di come bisogna sempre fare quello che è giusto, quello che è il nostro dovere morale. E di come è difficile fare questa scelta».

Francesco D’Adamo, ancora una volta, con la passione civile che lo contraddistingue, scrive un racconto pieno di umanità, attualità e bellezza. E ci porta a capofitto nella cronaca, come dimenticare quello che è accaduto solo poco tempo fa, a Satnam Singh, il bracciante indiano vittima di un incidente sul lavoro in un azienda agricola di Latina, rimasto mutilato per la perdita di un braccio e lasciato morire dissanguato. La piaga del caporalato, le file di uomini spesso extracomunitari, che ogni mattina aspettano che qualcuno li scelga per lavorare nei campi, nella raccolta della frutta e della verdura, che vivono in condizioni disumane per pochi euro al giorno, sfruttati, senza diritti e oltretutto disprezzati e maltrattati dai “bravi” cittadini che quei lavori non li vogliono fare, che si arricchiscono e si approfittano di loro, ma che li vorrebbero rimandare a casa loro, in una spirale di contraddizioni e ingiustizie senza fine. Perché quello che spesso chi ragiona così dimentica, è l’umanità, la giustizia che dovrebbe permeare ogni uomo a prescindere dalle ideologie politiche, il colore della pelle, la nazionalità, la religione…

D’Adamo parla il linguaggio dei giovani lettori: semplice, moderno, diretto, utilizzando un’efficace allegoria: zombie e nebbia aliena per parlare di razzismo, propaganda e intolleranza, che impedisce di vedere oltre e di credere a qualunque preconcetto.

Un libro che contiene e riflette su tutto quello che amo: la tragedia greca, il teatro, la denuncia sociale, la voglia di fare la propria parte per cambiare le cose e non accontentarsi della soluzione più facile. Davvero uno dei libri per ragazzi migliori mai letti: consigliatissimo.

E all’ultimo capitolo quando le parole di Antigone risuonano forti nella voce di Jo

 “Non per condividere l’odio ma per condividere l’amore sono nata”.

il suo esempio di disobbedienza civile, di coerenza ai propri principi, di ribellione a ciò che consideriamo iniquo e sbagliato, è un monito che ci indica, ancora una volta, a distanza di secoli, il cammino che ogni persona degna di questo nome deve fare. Ed io non ho potuto fare a meno di commuovermi…

Antigone sta all’ultimo banco di Francesco D’Adamo (2019) Giunti Tag Ragazzi (2023) pag. 173

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