Si è scritto e detto di tutto su questo imponente (soprattutto per il numero di pagine) romanzo. Una vita come tante di Hanya Yanagihara è stato definito commovente, indimenticabile, capolavoro assoluto degli ultimi anni, ma anche sopravvalutato, eccessivo, una sorta di compiaciuta pornografia del dolore formato deluxe.
La storia è almeno a grandi linee nota: la nascita e lo sviluppo dell’amicizia di quattro ragazzi, diversi per estrazione, famiglia, carattere, ambizioni, che si incontrano al college e diventano inseparabili.
«Ora non puoi capire le mie parole, ma un giorno capirai: l’unico segreto dell’amicizia, credo, è trovare persone migliori di te – non più furbe o più vincenti, ma più gentili, più generose, e più comprensive – apprezzarle per ciò che possono insegnarti, cercare di ascoltarle quando ti dicono qualcosa su di te, bella o brutta che sia, e fidarti di loro, che è la parte più difficile di tutte. Ma anche la più importante.»
L’autrice ci presenta prima JB, di origini haitiane, orfano di padre, cresciuto in una sorta di gineceo, ambizioso e complesso. Malcom, figlio di una coppia mista, padre nero madre bianca, ricco di famiglia, ma confuso su quello che è e vuole fare. Willem, figlio di una coppia che si è trasferita dalla Svezia dopo aver perso i primi due figli, con un fratello Hemming nato con una paralisi cerebrale, concreto, affettuoso, presente. E mentre nelle prime duecento pagine presenta e tratteggia JB, Malcom e Willem, l’autrice lascia, volutamente, Jude, che in realtà è il personaggio principale, sullo sfondo. Il ragazzo dal passato misterioso, che dice poco o nulla di sè, che non ha famiglia, che pare quasi essere venuto al mondo nel momento in cui ha messo piede al college e a cui gli altri tre fanno scudo, difendono, proteggono dalla curiosità o invadenza degli altri, è totalmente in ombra.
Il romanzo li segue per circa quarant’anni assistendo ai loro trionfi, guardando i tanti traguardi raggiunti, tutti diventano uomini brillanti e di successo, ricchi e apparentemente appagati, ma indugiando anche sui loro crolli, le loro debolezze, i loro fallimenti. Malcom architetto, JB pittore, Willem attore e Jude avvocato, quattro vocazioni, quattro temperamenti, quattro storie, anche se come detto prima, al centro della narrazione c’è Jude, il giovane dall’intelligenza pronta e vivace, che non fa nessuna fatica a saltare dal diritto alla matematica. L’uomo glaciale e privo di scrupoli che diventa un avvocato sensazionale ma che nasconde la sua parte più fragile dietro questa cortina di perfezione.
Mentre seguiamo le vite di Jude, Willem, JB, Malcom, scorrono gli anni dell’ambizione, dell’insicurezza, della gloria, delle illusioni, delle speranze e infine gli anni felici, il raggiungimento dei loro obiettivi, il consolidamento delle loro posizioni.
Un romanzo di luci e ombre, perché nonostante la sfavillante esistenza che tutti e quattro conducono, il successo, i soldi, la bellezza, la vita che pare un’interrotta catena di gioie, le ombre sono in agguato, come le iene che popolano gli incubi di Jude. Perché il passato di Jude, malgrado tutto incombe. E si vede nella sua incapacità di sentirsi degno dell’affetto che lo circonda, nella necessità di punirsi con atti costanti di autolesionismo necessario per far uscire il dolore che ha dentro, per controllarlo.
Un passato doloroso e tragico che conosciamo nella sua interezza soltanto alla fine perché la storia di Jude ci viene raccontata un po’ alla volta, tra i ricordi che l’uomo elabora e i frammenti di racconti e le rare confessioni che fa a Willem.
Si dice che di solito l’amore salva, ma è sempre così? E’ davvero una verità assoluta? Leggendo una vita come tante il dubbio sale e ci si domanda più volte se sia davvero così. Jude è amato tantissimo da Harold, che decide di adottare quel suo studente così schivo ma capace in tutto quello che fa, perfino nel preparare dolci o pulire casa, e da Willem che ad un certo punto pare più una sorta di fratello maggiore protettivo e accogliente che non un compagno, ma anche da Andy, il medico sempre pronto a curare, consigliare, strigliare, e pure da Richard, Malcom, JB eppure…. Tutto l’affetto, la stima, la considerazione che riceve non è mai abbastanza perché Jude non si giudica abbastanza, non si reputa degno di quell’amore, perché il problema fondamentale è che lui non si ama. E se non ti ami nessuno potrà mai farlo al posto tuo.
Riflettendoci a fondo credo che Una vita come tante sia come una serie tv a cui ci appassioniamo, da cui non riusciamo a staccarci, perché sebbene ci domandiamo più volte come certe cose siano possibili, sapere che cosa ancora lo sceneggiatore ha in serbo per il povero eroe tartassato ci rende necessaria la visione. La scelta di raccontare il passato di Jude in tutto l’arco narrativo àncora il lettore alle pagine. Ci si affeziona ai personaggi e le loro storie entrano a far parte almeno un po’ della nostra quotidianità, si vuole sapere come finirà, si tifa in qualche modo per loro. Ed ecco perché nonostante la mole è un libro che si legge in fretta, in cui ci si immerge completamente, se ne resta come ipnotizzati. E questo nonostante sia un romanzo senza redenzione, senza speranza, un melodramma di incommensurabile ed ineluttabile dolore.
Un libro in cui i protagonisti non hanno una vera e propria evoluzione, l’unico che cambia, che fra tutti è la figura più sfaccettata, più complessa è JB. La sua lotta alla dipendenza, la sua voglia di successo, il suo desiderio di emergere, di trovare la sua strada nella pittura figurativa che non è così “di moda” a New York, il suo essere irritante, arrogante, fuori dalle righe, lo rendono unico nel panorama del romanzo.
Appassionante e irreale quanto una lunga e travagliata soap opera che conquista e piace, a cui ci si sente legati anche se non si potrà mai annoverare tra i capolavori assoluti mai visti e si considererà sempre un po’ sopra le righe. Perché tutto in questo romanzo è eccessivo, ipertrofico a partire dalle 1091 pagine all’infinita lista di tragedie che capitano al protagonista. Pare che nessun dolore, nessun dramma, nessuna tragedia gli sia risparmiata. Eppure è difficile, o per lo meno per me lo è stato, empatizzare con il protagonista, talmente chiuso nel suo autolesionismo, nel suo sentirsi in colpa, nel suo crogiolarsi nella sofferenza da diventare alla fine irritante, da aver voglia di entrare nel libro e prenderlo a schiaffi, di dirgli “Forza Jude, lo so che hai sofferto, ma sei intelligente, capace, reagisci!”
Anche meno Jude! Ora basta Jude!
E verrebbe da scuotere un po’ anche gli altri che nonostante l’amore, nonostante la dedizione sono come incapaci di fare la differenza, e a questo punto almeno a me si è presentata la domanda sarà perché sono tutti uomini? Non c’è nessun personaggio femminile degno di nota in queste mille pagine. L’unica è Ana l’assistente sociale che compare e scompare nel giro di una manciata di pagine. Perché c’è amore ma manca quel sentimento salvifico che spesso è associato o si trova solo nelle figure femminili, nelle “mamme” intese come simbolo materno, che sono capaci di avvolgere e far sentire ad un livello più alto, più forte, di caricarsi il dolore della propria creatura e viverlo interamente come proprio.
Totalizzante, ipnotico per certi versi, ma anche smisurato, ridondante nella sua lista infinita di dolori: ci troviamo tutta la gamma dei sentimenti umani, l’abuso, il sadismo, il masochismo, l’autolesionismo, il senso di colpa, l’ambizione, la difficoltà a superare i traumi. Mi verrebbe da dire un riassunto di patologie psichiatriche e problemi psicologici sotto forma di romanzo.
Un lungo viaggio pieno di sensazioni, di emozioni contrastanti, di riflessioni, di domande che alla fine lascia anche un po’ stremati.
Concludendo un libro da leggere ma non capolavoro.
Una vita come tante di Hanya Yanagihara [A Little Life 2015] – Sellerio (2016) – traduzione di Luca Briasco – pag. 1091