Il verbo resistere deve sempre essere coniugato al presente.
Lucie Aubrac
Oggi più che mai è assolutamente necessario avere chiaro che cosa è stato il periodo fascista in Italia, che cosa è accaduto durante il ventennio, e in quale modo, attraverso quali sofferenze si è arrivati al 25 aprile 1945. E seguire la vita tragica e di resistenza di Ada Castelli protagonista de La quarta compagna di Orsola Severini apre più di uno spiraglio sul ventennio fascista e permette non pochi spunti di riflessione.
La storia di questa donna straordinaria, è ancora più preziosa visto che è ispirata e ricalca le gesta di una donna realmente esistita, Isolina Morandotti, detta Lina, che è stata tra le fondatrici dell’antifascismo, la cui storia è riemersa grazie alla lettura ‘I matti del Duce’ di Matteo Petracci, fatta dall’autrice, che, partendo da questa esile traccia, tramite testimonianze di archivio e ricerca storica, è riuscita a ricostruire la sua esistenza, decidendo poi, come dice nella postfazione, di romanzarla, riempendo vuoti e rendendo onore alle tante donne combattenti italiane, che hanno lottato per difendere la libertà e il diritto di autodeterminazione di tutti.
Ada, ormai anziana, rievoca la sua vita ricostruendone pezzo dopo pezzo. Nata a Milano e cresciuta in una famiglia di credo socialista, abbraccia fin da giovane gli ideali politici comunisti, crede nella lotta di classe, nelle rivendicazioni sindacali, nell’uguaglianza sociale e si dedica con entusiasmo alla distribuzione del giornale l’Unità, che, messo al bando e vietato da Mussolini, viene stampato clandestinamente e smistato alla stessa maniera. Il solo possesso di quei giornali nella sua abitazione fa scattare l’arresto. Iniziano per lei i giorni difficili delle torture, le violenze, le minacce, gli interrogatori nel carcere di Bardonecchia. Ma Ada non cede, conosce quali sono i metodi usati per estorcere informazioni, sa che quando viene citato un compagno lo si fa per avere informazioni e non perché sia già caduto nelle mani della polizia. Resiste perché nella sua vita ha già conosciuto il dolore più atroce e si aggrappa a quello per non cedere. Nonostante le lusinghe di un giudice che vuole convincerla ad abiurare la causa e dichiarare di essersi lasciata traviare da cattive compagnie, Ada non cede e per questo viene spostata e ricoverata in manicomio; luogo in cui solo la forza di volontà e i ricordi la tengono in vita e non le tolgono la ragione.
Il manicomio era peggio della prigione. Eravamo state messe lì dentro e qualcuno aveva buttato la chiave. Non c’era nessuna sentenza, nessuna condanna specifica. Non si poteva scrivere all’avvocato o chiedere la grazia a Mussolini.
Io cercavo di farmi notare il meno possibile, e di costruirmi il mio mondo nel pensiero. Sì perché nella mia testa ero libera, avevo raggiunto una rassegnazione completa, avevo dato tutto ciò che potevo dare al Partito.
L’esperienza in manicomio, le fa capire come questo sia spesso uno strumento usato per controllare le donne, spesso internate solo perché i mariti vogliono liberarsene o perché hanno tenuto comportamenti ritenuti non adeguati al vivere sociale.
Ci resterà tre anni e ne uscirà grazie all’aiuto di un medico. Riprenderà in mano la sua vita, ricominciando a lavorare e cercando di tenersi lontana dalla politica. Ma chi ha un fuoco di libertà dentro di se’ non può tacere per sempre. E per festeggiare il 1° maggio, la festa dei lavoratori soppressa dal regime, ritroverà l’antico e mai sopito ardore. Siamo ormai nel 1943, la caduta del regime si avvicina, ma non la fine della guerra, e per Ada che ormai vive in Friuli, gli orrori, le ingiustizie, e soprattutto la lotta di resistenza non sono antichi ricordi ma necessità di non chinare la testa e aiutare a contrastare chi ha imbavagliato la libertà.
La quarta compagna è un libro necessario ora più che mai. Ricordare chi ha combattuto per costituire una repubblica democratica, chi ha patito per avere una costituzione liberale, chi è morto perché i diritti iscritti nella carta costituzionale valessero per tutti, è doveroso e necessario, anche per ricordarci chi siamo: un popolo senza memoria. Quante volte sentiamo ripetere che Mussolini non è stato un dittatore, ha fatto cose buone e l’unica pecca che gli si può trovare tutt’al più è l’alleanza con Hitler. Dimenticando Matteotti, l’OVRA, la messa al bando di ogni opposizione, le leggi razziali, la politica coloniale…
Siamo un popolo senza memoria e senza senso di responsabilità.
La pacificazione nazionale dopo la fine della seconda guerra mondiale e la fine del fascismo è avvenuta senza una vera e propria presa di coscienza e senza aver fatto i conti col passato. In Italia non abbiamo avuto un processo di Norimberga, che ha visto imputati pochi rappresentanti delle SS, che può aver lasciato sfuggire dalle maglie chi avrebbe veramente meritato di essere giudicato, ma ha comunque permesso da parte di tutta la Germania una comprensione di quello che aveva portato alla nascita del nazismo. In Italia chi era nei ministeri, chi era giudice, chi ricopriva ruoli istituzionali dall’oggi al domani ha semplicemente cambiato casacca senza alcuna assunzione di responsabilità: il giorno prima fiero fascista, il giorno dopo fervente democratico. Uno schiocco di dita e un cambio di bandiera. Rappresentati egregiamente nel libro dalla figura del giudice Macis, collaboratore del regime, «un ratto schifoso che sapeva fiutare il senso del vento e cadere sempre in piedi». Uno dei tanti che ha contribuito attivamente al mantenimento della dittatura, ma, che mascherandosi da antifascista, alla fine della guerra ha proseguito la propria esistenza e la propria carriera come se nulla fosse, senza pagare per le conseguenze delle proprie azioni.
Orsola Severini in meno di duecento pagine ci regala un romanzo toccante, riportandoci agli anni bui di un secolo fa e rammentandoci, se ce ne fosse bisogno, che ogni libertà va tutelata perché può essere portata via.
Ho trovato particolarmente significativa questa frase che vale ancora oggi come monito:
Perché questo era il fascismo. Prevaricare sempre, giustificare l’ingiustificabile. E poi essere viscidi e mutaforma, non credere in nulla se non la legge del più forte; non varee nessun orgoglio, non lottare per nessuna battaglia se non per i propri interessi, a qualunque costo. Essere leccapiedi con i potenti e spietati con i deboli.
La quarta compagna di Orsola Severini -Fandango libri (2024) – pag. 173