Lolita

“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia…”

Sicuramente uno degli incipit più famosi della letteratura. Anche chi non ha letto il romanzo o visto i film che ne sono stati tratti, riconosce queste parole e sa a grandi linee di che cosa parla la storia.

Eppure Lolita è molto di più del racconto di un amore malato tra un uomo di mezza età e una ragazzina di dodici anni. E a scrivere “amore” sinceramente rabbrividisco, perché io in questo romanzo ci ho trovato tanto, ma non amore. Semmai ossessione, un’ossessione che si evolve, cambia, si dipana pagina dopo pagina. Un’ossessione che soprattutto all’inizio è frutto dell’immaginazione di Humbert, trova nutrimento e carburante nei suoi sogni, nei film mentali che si fa. Seguendo il viaggio del protagonista quest’ossessione si tinge di paranoia, sospetto, e finisce per assorbire e catalizzare tutto il resto.

H.H. racconta la sua storia partendo dall’inizio, dall’amore adolescenziale verso una coetanea, Annabelle, bruscamente interrotto senza essere stato consumato. E fa partire da lì l’inizio di tutti i suoi problemi. Quell’amore idealizzato lo ha traviato, da quel momento per lui la passione si accende solo di fronte ad una “ninfetta”, una creatura di circa 12 anni, non più bambina ma non ancora donna. Un essere quasi mitologico da osservare, desiderare, sognare.

Humbert nella sua lunga confessione non cerca la simpatia del lettore e in più occasioni si dà del pervertito, del malato, si dilunga in riflessioni moraleggianti ma allo stesso tempo cerca anche giustificazioni, perché, infondo, nell’antichità i fanciulli erano adibiti al piacere degli adulti e in alcune società, ancora oggi, il matrimonio è consentito a partire dai 10 anni. E in questa sua necessità di discolpa arriva a considerare il comportamento di Lolita come provocatorio e in fin dei conti corresponsabile di ciò che accade.

Impossibile leggere Lolita con un atteggiamento morale, impossibile parteggiare per Humbert, impossibile simpatizzare con Charlotte e alla fine impossibile legare anche con la piccola Dolores

Eppure…

Forse è proprio questa la grandezza di Nabokov aver scritto un romanzo in cui il bene e il male, il giusto e l’ingiusto restano sempre in bilico, in un precario equilibrio amorale. Amorale proprio nel senso letterale del termine con quell’alfa privativa di fronte ad un atteggiamento etico di condanna verso il protagonista e i suoi comportamenti.

Perché Nabokov, con una lingua sublime, ci prende nella sua tela, ci racconta una storia che scritta da qualcun altro eviteremmo come la peste, e così facendo ci rende in qualche modo suoi complici. Perché l’autore russo è un grande affabulatore che sa usare in modo sublime le parole e per rendersene conto provate a leggere, ad alta voce, l’incipit in inglese come lui lo aveva pensato:

Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth

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