La Mosè dei Neri

Quando si decide di saperne di più sull’obbrobrio della schiavitù e di quella che fu la tragedia di milioni di uomini e donne catturati nella loro terra e portati su navi negriere nelle Americhe, ad un certo punto e inevitabilmente, ci si imbatte nella “Ferrovia Sotterranea” (o meglio Underground Railroad) che raggiunse il suo apice tra il 1810 e il 1850, una rete segreta di itinerari e luoghi sicuri utilizzati dagli schiavi per fuggire negli “Stati liberi”.

I fuggiaschi lasciavano le piantagioni durante la notte, orientandosi con la stella polare o attraverso le vie d’acqua, e trovavano assistenza, cibo, rifugio, vestiti, in varie “stazioni” disseminate lungo il percorso. Spesso le indicazioni erano celate in canzoni, che indicavano sia la via da seguire che le persone che li avrebbero accompagnati per un tratto di strada.

Una delle maggiori promotrici ed organizzatrici della “Ferrovia sotterranea” fu proprio Harriet Tubman.

Una donnina piccina picciò, che da ragazza, senza nessun motivo riceve un colpo in testa da un bianco che le causa crisi epilettiche e mal di testa lancinanti, ma le dà anche la capacità di avere delle visioni e soprattutto non le toglie la voglia di essere qualcosa di più e qualcosa di diverso da una bestia.

Perché nelle piantagioni, i “nigger” non sono altro che questo: bestie, senza un compleanno, senza libertà, senza futuro. Solo fatica, lavoro, un giorno dietro l’altro per tutta la vita, senza sapere se persino la propria famiglia potrà rimanere unita o verrà venduta.
Esseri inferiori senza istruzione, senza educazione e soprattutto senza speranza.
Non sanno quando sono nati, a volte non sanno neanche chi sono i loro genitori, sanno solo che devono lavorare e ubbidire: “Si padrone”, “No padrone”.

Ma Harriet non ci sta, Lei, un soldo di cacio, diventerà il generale Tubman, “il Mosè nero” che farà uscire i suoi fratelli dalla schiavitù e li condurrà nella Terra Promessa.

Francesco D’Adamo presenta questa immensa e poco conosciuta figura di donna tramite un’intervista ad un giovane giornalista, che dapprima refrattario a perdere tempo, mentre il mondo tiene gli occhi incollati sul naufragio del Titanic, si troverà talmente coinvolto da diventare uno dei maggiori divulgatore in materia di diritti civili, fino ad assistere cinquant’anni dopo al discorso di Martin Luther King: “I have a dream…“

Se in Oh, Harriet! l’attenzione è tutta per questa incredibile donna in Oh, Freedom! l’attenzione si concentra sulle difficoltà delle fughe, sul modo in cui le guide delle “ferrovia sotterranea” si facevano riconoscere, sulle canzoni che usavano per indicare il percorso.
E racconta la paura, la fame, la tensione dei fuggiaschi sempre all’erta perché l’abbaiare di un cane o lo scalpiccio dei cavalli poteva significare la fine della loro fuga verso la libertà.

Vi lascio i versi della canzone di Harriet:
«Buia e ardua è la strada
Lungo la quale viaggia il pellegrino;
Ma oltre questa valle di tristezza
Giacciono i campi dei giorni infiniti
»

Oh Harriet! e Oh Freedom! di Francesco D’Adamo – Giunti editore (2018 – 2014) – pag. 155 e pag. 152

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