Essere donna a volte pare essere una maledizione. Per secoli le donne sono state rinchiuse, trattate come oggetti, utili solo per fare figli o per tirare avanti una casa, private dei più elementari diritti, senza voce, senza possibilità di esprimere le loro potenzialità. Pochi, pochissimi sono i nomi di donne, che per carattere, ribellandosi al sistema patriarcale, sono riuscite a far sentire il proprio grido e a non essere cancellate dalla storia. E anche lì troviamo storie tragiche, basti pensare a Ipazia o Artemisia, tanto per fare un paio di nomi. Non fa eccezione Maria Anna Walburga Ignatia Mozart di cui Rita Chabonnier ne La sorella di Mozart ricostruisce in modo romanzato ma fedele la storia.
Maria Anna Walburga Ignatia Mozart, meglio conosciuta come Nannerl, è una bambina prodigio. A 11 anni suona con estrema perizia il clavicembalo e sicuramente aiuta il fratellino più piccolo ad approcciarsi alla musica, oltre ad aiutarlo a scrivere e orchestrare la sua prima sinfonia. E’ testimonianza dell’epoca, 1763, quella che riporta questo giudizio:
“Immaginate una ragazzina di undici anni, che suona le sonate e i concerti più difficili dei più grandi compositori, al clavicembalo o al fortepiano, con precisione, con incredibile leggerezza, con un gusto impeccabile. È stata una fonte di meraviglia per molti.”
Il padre Leopold, musicista e compositore a sua volta, le insegna i primi rudimenti, e affianca i due fratelli in una serie di esibizioni che li portano in diversi tour nelle capitali europee.
“D’impeto la bambina attaccò a suonare e fu come un fulmine avesse squarciato il soffitto affrescato, e incenerito i tendaggi e gli arazzi. Quando faceva musica la piccola Nannerl non aveva nulla di umano; sembrava ci fosse in lei una divinità primitiva, che aspettava di accostarsi ad uno strumento per debordare e lasciare stupefatti. Le sue manine srotolavano suoni limpidi e velocissimi, obbedivano a un istinto armonico ineguagliabile e il risultato era insieme sicuro e disordinato. La contraddizione tra la sua maestria più che adulta e il suo corpo immaturo era sconcertante. Le sue note erano di un linguaggio ancora ignoto, che affascinava e disorientava”.
Rita Charbonnier, per ricostruire la personalità e la grandezza di Nannerl, imbastisce una corrispondenza fittizia tra lei e il maggiore Franz Armand d’Ippold, padre di una talentuosa giovane, Victoria, a cui la donna dà lezioni di musica. Nelle lettere Nannerl ricostruisce la sua vita. Ricorda come la musica abbia fatto parte della sua vita da sempre, come l’abbia plasmata. Rievoca il legame speciale con il fratello, i loro giochi, la loro incredibile capacità di dialogare attraverso la musica, passando da uno strumento all’altro, passandosi come un’immaginaria palla di suono e arpeggi. Rammenta anche, però, il divieto del padre a toccare un violino, strumento inadatto ad una donna, e a scrivere musica, altra attività assolutamente tabù. E’ sempre il padre, dopo aver sfruttato le doti della figlia, a relegarla in casa e a costringerla a dare lezioni di musica per poter finanziare i viaggi del figlio, ormai visto come unico depositario del genio musicale e destinato ad emergere anche a danno della sorella. Per Nannerl è la fine di un sogno, sente che la sua vita, come la voleva vivere lei, è finita, niente ha più senso, cerca di ribellarsi e cova un enorme rancore verso la cecità del padre ma anche e soprattutto verso l’egoismo del fratello, a cui la unisce un affetto incommensurabile che, però, da quel momento si sfalda, fino a perdersi negli ultimi anni di vita di Amadeus.
Rita Charbonnier in questo romanzo ci restituisce la voce di una donna straordinaria, una donna che nell’accettare le scelte di altri, non si piega ma si spegne. La sua è una ribellione che la porta a rinchiudersi in se stessa, a non prendersi cura di sé a non suonare più il pianoforte, a bruciare tutte le sue composizioni, a cercare di bloccare la musica fiori dalla sua esistenza.
E dopo una prima parte improntata sul rapporto tra Maria Anna e il maggiore Armand, in cui racconta l’infanzia e la giovinezza, soffermandosi sul rapporto con il fratello e il padre, nonché sulla sua passione per la musica. La seconda si sofferma sulle fasi in cui la donna riprende in mano la sua vita lontano da Salisburgo. Personalmente sono le pagine che mi sono piaciute di più, che mi hanno coinvolto maggiormente. Lontano dall’ambiente in cui è cresciuta, dalla famiglia che l’ha costretta a scelte dolorose, Nannerl è in qualche modo costretta a prendersi cura di sé: ad accettarsi e perdonarsi e lo fa accudendo una cavalla dal brutto carattere e dall’aspetto tozzo e inelegante. Da quell’incontro tra due anime incomprese inizierà l’accettazione e la rinascita della donna.
La sorella di Mozart è un tributo ad una grande artista mancata, una donna dotata per la musica, per lo meno al pari del geniale fratello, ed è anche un prezioso omaggio a tutte le donne che la storia ha dimenticato. Nannerl viene ricordata tutt’al più come eccellente pianista, insegnante di musica molto apprezzata e ovviamente sorella del ben più celebre Wolfang. Recentemente alcuni studiosi hanno addirittura ipotizzato che le opere giovanili di Mozart possano essere state composte dalla sorella, che ebbe comunque una grande influenza sul fratello.
La sua vita ci fa capire come nelle pieghe della storia si nascondano tanti talenti femminili ignorati, ostacolati, dimenticati, da riscoprire per dare finalmente il giusto valore e peso a tante artiste ignorate.
La sorella di Mozart di Rita Charbonnier – Corbaccio (2006) – pag. 328