Al Salone del Libro di Torino durante la presentazione di V13 di Emmanuel Carrere, l’autore francese in dialogo con il giornalista del Corriere della Sera corrispondente da Mosca Marco Imarisio, parlando dell’attuale situazione russa, definita “distopica”, ha citato il romanzo di Giuliano da Empoli, Il mago del Cremlino. I due si sono trovati d’accordo sul fatto che l’autore francese, di origini italiane, attraverso la forma del romanzo scriva un saggio potentissimo, che permette a noi occidentali di comprendere la politica di Putin, l’invasione dell’Ucraina e soprattutto la storia recente della Russia.
Un romanzo che ha riscosso enorme successo in Francia, mentre è passato quasi in sordina da noi, ma che merita di essere recuperato per chi voglia comprendere un po’ meglio alcuni dei meccanismi della recente storia russa. Per questo Il mago del Cremlino si è rivelata una lettura, non solo interessante, ma anche illuminante. Mi ha permesso di capire un po’ di più lo spirito russo, i demoni ancestrali ma anche identitari di una nazione enorme, variegata e complessa, una potenza economica e nucleare, ma anche un popolo rimasto fortemente attaccato alle tradizioni e alla grandezza storica della propria terra.
Protagonista de Il mago del Cremlino è il personaggio immaginario Vadim Baranov, ispirato al vero consigliere e spin doctor di Putin, Vladislav Surkov, diventato famoso come “Rasputin dello zar”.
E’ questo uomo potente, ormai ritiratosi a vita privata, a raccontare, in un lungo monologo, la sua vita ad un giovane europeo, assiduo frequentatore di biblioteche ed archivi. Li accomuna la passione per Evgenij Zamjatin, autore del romanzo distopico Noi scritto tra il 1919 e il 1921, un’opera che non racconta solo ciò che è stato, ma pare lanciare uno sguardo profetico sull’avvenire, concentrando tutti gli interrogativi che scaturiscono da un’osservazione oggettiva del mondo.
«Noi non descriveva l’Unione Sovietica, raccontava il nostro tempo, il mondo liscio, senza asperità degli algoritmi, la matrice globale in costruzione e, di fronte ad essa, l’irrimediabile inadeguatezza dei nostri cervelli primitivi. Zamjatin era un rabdomante, non si rivolgeva solo a Stalin, ma inchiodava tutti i dittatori del futuro, gli oligarchi della Silincon Valley come i Mandarini del partito unico cinese.»
Baranov si sofferma sulla sua storia familiare, dal nonno aristocratico travolto dalla rivoluzione d’Ottobre, ma comunque rimasto sempre fedele a se stesso; al padre, “il piccolo ragioniere rosso” sempre ligio alle direttive del partito, fino a lui, iscritto all’accademia di arte drammatica, amante del teatro, divenuto pubblicitario nel momento in cui la vita in Russia era esplosa. Perché negli anni ‘90, i giovani, che credevano di essere destinati ad una vita grigia e monotona, si erano visti spalancare le porte del mondo. Un decennio dove i soldi si erano moltiplicati, ma la confusione, il caos, il livello di violenza era diventato insostenibile. E i presidenti che avevano guidato la cosi detta “perestrojka” avevano perso di vista la grandezza della Russia, permettendo un’umiliazione continua a livello internazionale e un disordine costante in patria. Ed ecco la necessità, sentita in primis dagli oligarchi che detenevano il controllo del potere economico, di ridare al paese stabilità e sicurezza, scegliendo un presidente credibile, allontanando un malato e sempre più imbarazzante Eltsin, e sostituendolo con un funzionario fedele, ligio alle regole, ma comunque manovrabile e controllabile. La scelta cade sul capo dell’FSB, ex KGB, giovane, competente, moderno, un uomo dai tratti slavati: Vladimir Vladimirovic Putin. Ma Putin si rivela subito un uomo consapevole dell’interesse pubblico, interprete del sentimento di sconfitta dei russi e deciso a ridare al popolo nuovi motivi d’orgoglio: ordine all’interno e potenza all’esterno.
Nel ripercorrere i primi passi del governo di Putin emerge la visione politica di un uomo che vuole ridare alla Russia la sua grandezza, sconfiggendo i nemici, veri e presunti. Per questo la lotta al terrorismo ceceno diventa centrale, così come la messa al bando degli oligarchi, arricchitisi negli anni novanta, accaparrandosi l’immenso patrimonio dell’Unione Sovietica – esemplare il caso di Michail Chodorkovskij, l’uomo più ricco della Russia finito in carcere e spogliato del suo immenso patrimonio. Putin segue l’esempio di Stalin, perché quando qualcosa non funziona, parlare di sabotaggio è più convincente che non parlare d’inefficienza, perché per l’opinione pubblica la condanna di qualcuno implica che giustizia è fatta. Rientrano in questa visione anche la guerriglia nel Dumbass, prima e l’invasione dell’Ucraina poi, per impedire al paese di diventare troppo indipendente dalla Russia, dando la stura a tutte le autonomie dei vari paesi satelliti.
Putin è un uomo enigmatico e paranoico che ha saputo riunire intorno a se anime distanti e disparate accomunate però dal medesimo amore per il proprio paese e la stessa voglia di vederlo ancora giganteggiare come potenza mondiale.
Chi è al servizio dello Stato deve anteporre l’interesse pubblico a qualsiasi altro, incluso il proprio.
Nel libro è spiegata molto bene la sostanza del potere in Russia, un potere che non è dato dai soldi ma dalla vicinanza al vertice, una visione piramidale contrapposta all’orizzonte senza verticalità del liberalismo, dove ogni cosa è frammentata, dove ogni concezione del mondo ha la sua legittimità e nessuna idea imprime il suo modello sulla comunità. Una visione che promana dalla sua storia, che vede una continuità costante da Ivan il terribile, agli Zar, dal potere di Stalin a quello di Putin oggi. Duecentotrenta pagine che si leggono come un appassionante romanzo di Le Carrè, ma che aprono migliaia di riflessioni sulla situazione politica mondiale, sulle forze di potere in gioco, sull’idea di democrazia dell’occidente che non trova corrispettivo in tante parti del mondo e che non è esportabile come un fast food.
Un libro che permette di approfondire la storia attuale della Russia, capire un po’ meglio i motivi dell’invasione in Ucraina, le cause della guerra e di comprendere almeno un po la personalità e il carisma, almeno in patria, di Putin. Un romanzo saggio, in cui nomi, date, circostanze sono assolutamente veri e il resto appare per lo meno più che verosimile. La forma del romanzo consente, inoltre, all’autore di rendere più accessibile una materia intricata, fatta di nomi, dati, fatti non sempre noti a chi non si occupa di attualità politica o di geopolitica. Una lettura da cui si esce sicuramente arricchiti anche se in un certo modo destabilizzati. Quanto è lontana la visione dell’uomo occidentale da quella russa. Noi imbevuti di libertà, di diritti, di voglia di manifestare il proprio pensiero, non possiamo che cozzare con questo monolite in cui tutto è concentrato sul Cremlino, su chi lo abita, e definisce cosa si può e cosa non si può fare.
Il mago del Cremlino di Giuliano da Empoli, Mondadori (2022) – (pag. 230)