Torna Rocco Schiavone e torna la penna pungente e diretta di Antonio Manzini. Due sono i casi in cui si trova coinvolto, suo malgrado, il vicequestore romano trasferito ad Aosta: violenza sulle donne e ambiente. Due casi che non hanno nessun punto di contatto se non la terribile attualità.
Questo nuovo romanzo si apre, infatti, con le azioni più o meno plateali (come liberare le galline di un allevamento intensivo in autostrada o lasciar pascolare centinaia di mucche nel centro storico di una città d’arte) di un’organizzazione che si fa chiamare ELP, ovvero Esercito di Liberazione del Pianeta, che cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica verso i temi dello sfruttamento degli allevamenti intensivi, del disboscamento, dell’incuria totale verso l’ambiente. Questa organizzazione che si rappresenta con quattro linee in un cerchio (ad indicare i quattro elementi: acqua, terra, fuoco e aria) vuole richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui problemi che ci riguardano tutti, ma che tutti in un modo o nell’altro, bellamente ignoriamo o facciamo finta non siano nelle nostre capacità risolvere.
Schiavone sente una immediata simpatia per questi giovani che manifestano per avere un futuro: un pianeta più pulito, aria respirabile, acqua bevibile, animali che non vivano accatastati in pochi centimetri. Atteggiamento non condiviso dalla questura che invece è in massima allerta nel timore di un escalation di questa fantomatica associazione. Escalation che si realizza in modo, secondo Schiavone, incongruente ed esagerato. Il suo fiuto lo porta ad indagare su piste diverse da quelle su cui procura, questura e stampa puntano il dito.
Accanto a Rocco, imbestialito per la violenza maschile contro le donne e incuriosito, oltreché simpatizzante, per l’organizzazione in difesa dell’ambiente, sfilano i soliti coprotagonisti, che ormai ogni lettore di Manzini conosce e apprezza. Accanto ai vecchi amici d’infanzia Brizio e Furio, ormai sempre più frequentemente in trasferta ad Aosta, ci sono i nuovi amici Michela e Alberto, l’esuberante commissaria della scientifica e il medico legale cinico e disincantato. Mentre il rapporto con il procuratore Baldi si fa sempre più solido e l’ispettore Scipioni, diventa, indagine, dopo indagine, spalla solida del vicequestore. Questa volta, però, la parte del leone la fa D’Intino, il goffo, incapace e sprovveduto agente abruzzese, che si trova alle prese con una vecchia fiamma, arrivata direttamente da Mozzagrogna, che si insinua nella sua minuscola mansarda, accompagnata dalla madre e da nove grosse valigie.
Elp è il dodicesimo capitolo della serie di Rocco Schiavone, il dodicesimo romanzo – oltre ai tredici racconti contenuti nelle raccolte gialle di Sellerio – che ha come protagonista un poliziotto che non rinuncia a Loden e Clarks, nonostante il clima di Aosta consiglierebbe un abbigliamento diverso, che ha una sua personale e sempre aggiornata lista di rotture di coglioni ai diversificati livelli, su cui ovviamente primeggia il decimo livello dell’omicidio; ma che ogni volta ci mette l’anima per risolvere le indagini assegnate e ridare, almeno nella consegna del colpevole alla giustizia, una sorta di pace all’assassinato.
Mi sono spesso chiesta cosa mi piace tanto di Rocco Schiavone. Perché tra tanti vicequestori, commissari e ispettori letterari, il vicequestore romano abbia un posto così speciale nel mio personale pantheon letterario. Intanto il suo essere sgualcito, non perfetto, la sua vita così poco convenzionale e dolorosa, il senso fortissimo dell’amicizia e il senso della giustizia. Un senso della giustizia vero e spesso lontano, troppo lontano, da quella che vediamo comminata nelle aule di tribunale. A volte ricorda un po’ i pistoleri del Far West, uomini solitari con la sigaretta in bocca e la pistola facile. Il che pare stridere con il lavoro che fa: un vicequestore che si fa giustizia da solo, che utilizza metodi poco ortodossi, che si fuma una canna la mattina prima di iniziare a lavorare alla sua scrivania in questura, che passa informazioni alla stampa, che ha come migliori amici dei noti pregiudicati…
Eppure è proprio in tutte queste contraddizioni che si trova lo spirito di Schiavone, il suo essere contro un sistema che spesso è al servizio del potente di turno, che non ha nessuna remora o rimorso a schiacciare il disgraziato che si è trovato incastrato tra i suoi ingranaggi, in cui i soldi, gli interessi economici e il potere sono sempre più importanti di tutto il resto. Rocco va contro tutto questo, sbagliando e pagando questo atteggiamento, ma senza abbassare la testa, inghiottendo e a volte quasi soffocando nello lordura che certe cose si portano appiccicate addosso. Sempre più stanco e deluso da ciò che lo circonda, sempre più disilluso e desideroso di trovare una sorta di pace; ma nonostante la stanchezza e la voglia di fuga, ancora emerge e vince il suo istinto di poliziotto bravo e il suo fiuto di investigatore provetto che lo portano a cercare e a trovare la verità.
“Era convinto che gli articoli di politica interna fossero gli stessi riciclati da anni. Cambiavano solo il nome del ministro o sottosegretario di turno. Una melma grigiastra, in cui non si registrava nessun volto, nessuna visione. Solo noia e populismo. L’unico ideale che erano riusciti a costruire era l’odio verso il più debole. Rocco era convinto che l’avessero pensato a tavolino. Una piramide, dove al vertice siedono i più ricchi, gli intoccabili, i grandi evasori, la mafia, la bella società politica, mondo imprenditoriale e grandi professionisti. Poi a scendere fasce via via più povere. Gli autonomi, le partite Iva, gli stipendiati, i lavoratori al nero, gli studenti, i disoccupati, i percettori di sussidio, i senzatetto e infine gli immigrati. Ognuno a odiare a morte la fascia a seguire, un’ostilità a cascata che levava malta e cemento alla coesione sociale, all’identità di intenti nelle persone, isolate e impegnate ciascuna nell’esecrazione del vicino, e quindi deboli e indifese davanti a chi aveva costruito quella stratificazione sociale. La ciliegina sulla torta era poi l’attacco più che ventennale alla cultura, all’università e all’istruzione, agli intellettuali, al teatro, alle voci di chiunque avesse posto delle domande critiche che, in dittatura come in democrazia, resta solo il pericolo principale. Ed era quello, in fondo, il motivo per cui gli piacevano quelli dell’ELP.”
In questa nuova avventura ritroviamo quindi tutto quello che abbiamo tanto apprezzato di Manzini: un protagonista in evoluzione, da lupo ferito che non ha più fiducia in nulla e nessuno, tradito dagli affetti più cari, disilluso, a uomo che sta tentando di trovare una sua possibile pace; un’indagine approfondita e due temi estremamente attuali; oltre alla penna acuta e puntuale dell’autore romano.
Insomma, se non si fosse capito, a me Schiavone continua a piacere e tanto.
Elp di Antonio Manzini – Sellerio editore Palermo (2023) – pag. 533