Un retelling davvero riuscito

Non so da quanto non mi capitava di rimanere letteralmente incollata ad un libro. Complice il tempo brutto, il primo maggio, la pigrizia, ho letto le 450 pagine di questo libro in meno di 24 ore. Certo ha aiutato i capitoli brevi, la narrazione incalzante ed una storia avvincente e meno banale di quanto il titolo o la trama possa far sospettare.

Ebbene sì lo ammetto fin da piccola una delle mie storie preferite era Cenerentola, la sua umiltà, la sua dolcezza me l’hanno sempre resa cara, forse anche per la totale differenza dal mio carattere. E nel tempo non ho mai perso l’occasione di leggere una delle tante varianti della fiaba classica di Perrault o di gettarmi in una delle tante riscritture più o meno riuscite, o di vedere film ispirati o dedicati a lei, su cui capeggia, ovviamente l’immortale e straordinario cartone animato di Walt Disney. Questo romanzo di Jennifer Donnelly non poteva quindi non finire nel mio radar, soprattutto dopo che Francesca @fatinadeilibri lo aveva letto e suggerito.

L’autrice americana non mette al centro della narrazione la bella e modesta Cinderella ma una delle due sorellastre (termine quanto mai sgradevole e irritante!) e ci porta a conoscere la storia di tre sorelle cresciute insieme, compagne di giochi e di avventure ma messe poi una contro l’altra dall’invidia e dalla gelosia, fomentata dalla madre delle prime due, decisa a far fare un ricco e brillante matrimonio alla sua prole e a non farsi scoraggiare dall’aspetto non proprio avvenente delle due.

La storia inizia con la famigerata “scena della scarpetta” nella sua versione più cupa e macabra: le due sorelle, prima l’una poi l’altra accettano il suggerimento della madre di tagliarsi l’una il calcagno, l’altra le dita dei piedi pur di entrare nella minuscola scarpina e sposare il principe. Peccato che il loro inganno venga svelato e discredito e onta ricadano su di loro, oltre all’ostilità di tutto il piccolo paese in cui vivono.

Le due sorelle in realtà hanno personalità più complesse ed interessanti di quanto la tradizione ci racconti e il matrimonio è l’ultimo dei loro desideri.

Octavia è un’appassionata di matematica, non perde occasione per tenere gli occhi fissi su un libro ed elaborare, oltre poi a mettere in pratica, le sue teorie scientifiche, tanto da guadagnarsi il soprannome, tra gli altri, di Leo Newtanardo.

«Volevo libri. Volevo matematica e scienze. Volevo un’istruzione» disse Tavi, gli occhi lucidi per l’emozione. «Invece, ho ottenuto corsetti, abiti e scarpe con il tacco alto. Tutto questo mi ha riempito di tristezza, Hugo. Mi ha riempito di rabbia. Perciò, no. Non mi sforzerò di essere simpatica. Ci ho provato mille volte. Non funziona. Se non piaccio a me stessa per prima, perché dovrei piacere a te?»

Isabelle ha sempre adorato le storie che raccontavano le imprese più mirabolanti e intanto sognava di essere un grande generale e condottiero come Alessandro Magno o Scipione, i suoi giochi preferiti erano le imprese di pirati e le sue attività l’andare a cavallo all’impazzata, saltando fossi o muri con l’abilità e la perizia del più esperto cavallerizzo. Ovviamente tutte queste cose sono sempre state viste come fumo nell’occhio dalla madre, che è totalmente disinteressata dalle passioni delle figlie e le infiocchetta ed imbelletta per renderle a suo dire “presentabili” in società in vista del famoso “acchiappa marito” a cui agogna.

Ripensò al giorno in cui Felix se n’era andato e a tutti gli anni che erano seguiti. Agli insegnanti di musica e ai maestri di ballo. Alle prove degli abiti. Alle ore trascorse seduta a ricamare, con il cuore che anelava cavalli e colline. Alle cene strazianti con i pretendenti che la guardavano dall’alto in basso, i loro sorrisi forzati, i loro occhi schiusi nel tentativo di nascondere il disappunto. Alla solitudine dolorosa derivata dalla scoperta che niente le si adattava. Né scarpette eleganti né rigidi corsetti. Né conversazioni né aspettative. Né amicizie né desideri. Tutta la sua vita era parsa come un abito elegante, confezionato per un’altra ragazza.

In questa cornice si inserisce lo scontro, che tra le righe si comprende essere eterno, tra le Moire, o meglio la più vecchia delle tre sorelle che determinano il Fato dell’uomo e il marchese de la Chance un personaggio eccentrico, che gira con una compagnia di artisti e cerca di dare sempre una possibilità a dispetto di quanto hanno determinato le Moire. La loro è l’eterna sfida tra destino e casualità, tra una mappa già disegnata e la possibilità di scrivere da soli il proprio domani. A cui si aggiunge Tanaquill, la regina della fate, colei che vive da ben prima degli altri due, potente e feroce, disposta a dare una mano a Isabelle se riuscirà a recuperare i pezzi del suo cuore.

Inutile dire che tra colpi di scena, avventure, ricerche e scoperte la storia di Isabelle, di sua sorella e di tutti gli altri protagonisti di questa vicenda prenderà una strada del tutto inaspettata e movimentata. Anche perché un esercito invincibile sta facendo strage di innocenti, la miseria più nera incombe e Isabelle deve trovare dentro di sé il modo per riscattarsi e ridare un futuro a tutti.

La protagonista indiscussa di questo romanzo è Isabelle, indomita, coraggiosa, preda delle sue passioni e delle sue ire, ma pronta a fare la cosa giusta. Non è perfetta, non è bella, è ribelle, spesso insicura, ma avrà il coraggio e la determinazione per intraprendere la ricerca che rappresenterà anche il suo riscatto.

«“Brutta” è niente» disse la diva. “Bella”, quella sì che è una parola pericolosa.»
«Bella ti cattura subito e ti uccide piano piano» confermò l’acrobata.
«Di’ “bella” a una ragazza una volta, e vorrà sentirselo ripetere all’infinito» aggiunse l’illusionista. […] «Una bella ragazza deve piacere al mondo, ma una brutta? È libera di piacere soltanto a se stessa».

Jennifer Donnelly con uno stile estremamente scorrevole avvince il lettore e lo tiene incollato alla pagina, donando nel frattempo spessore e sostanza ai suoi personaggi che compiono tutti una vera e propria evoluzione e crescita psicologica.

«Era dispiaciuta per tutte le ragazze delle fiabe oscure. Rinchiuse in torri solitarie. Intrappolate in case di marzapane. Smarrite in boschi tetri, insieme a un cacciatore incaricato di strappare loro il cuore. Era dispiaciuta per le tre bambine alle quali fu offerta una mela avvelenata, mentre giocavano sotto un albero di tiglio in una luminosa giornata d’estate.»

Il tutto intrecciando momenti cupi, elementi fiabeschi e considerazioni sull’importanza di credere in se stessi, non farsi schiacciare o determinare dalle apparenze, essere sempre consci del proprio valore e soprattutto non adattarsi ad una strada già scritta, perché tutti abbiamo la possibilità di prendere in mano il nostro destino e vivere la nostra vita come preferiamo, cucendo il nostro avvenire nel modo più adatto a ciò che siamno. E possiamo e dobbiamo farlo nonostante la paura che ci blocca, perché spesso i nostri peggiori nemici siamo noi stessi. Perché è più facile seguire una strada già tracciata, anche se non nelle nostre corde; assecondare i sentimenti e le aspirazioni di chi ci vuole bene, anche se sono contrari alla nostra essenza; soffrire in silenzio del tacito disprezzo di chi ci giudica senza conoscerci.

«Questo mondo, le persone che lo abitano – mia madre, Tantine – ci classificano. Ci chiudono in gabbie. Tu sei un uovo, tu una patata, tu un cavolfiore. Ci dicono chi siamo, cosa faremo, chi diventeremo.»

«Perché hanno paura. Paura di ciò che potremmo essere» disse Tavi.

«Ma noi glielo lasciamo fare!» esclamò Hugo con rabbia. «Perché?»

Tavi gli rivolse un sorriso mesto. «Perché anche noi abbiamo paura di ciò che potremmo essere.»

E’ la regina delle fate a ricordarci:

«In questo triste, difficile mondo esiste la magia. Una magia più potente del destino, più potente della sorte. Visibile nei luoghi più improbabili. Di notte, presso un focolare, dove una ragazza lascia un pezzo di formaggio per un topo affamato. In un macello, dove i vecchi e gli infermi, i deboli e gli emarginati contano più dei soldi. Nella piccola mansarda di un povero carpentiere, dove tre sorelle imparano che il prezzo del perdono è perdonare. E ora, su un campo di battaglia, dove una semplice ragazza tenta di rovesciare le sorti di una guerra sanguinosa. È la magia di una fragile e fallibile creatura, capace sia di indicibile crudeltà sia di estrema gentilezza. Risiede in ciascun essere umano, pronta a redimerci. A trasformarci. A salvarci. Se soltanto troviamo il coraggio di ascoltarla. È la magia del cuore umano.»

Stepsister di Jennifer Donnelly – Mondadori (2020) – pag. 463 traduzione di Barbara Servidori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *