Mentre leggevo Planimetria di una famiglia felice ripensavo alla casa della mia infanzia, ma la mente non andava all’appartamento in cui ho vissuto fino ai 13 anni, fatto tra l’altro, da un lungo corridoio e da una camera su cui incombeva un enorme armadio a muro, incubo di tante mie notti, ma alla casa dei miei nonni. Una casa enorme piena di entrate e uscite, luoghi in cui nascondersi, oggetti da scoprire, stanze immense in cui poter fare piroette e prove di ballo, un ambiente in cui l’immaginazione poteva sbizzarrirsi. Un posto magico, che mi rimanda ai ricordi più belli di quando ero piccola. Alle sensazioni di un tempo e di un luogo in cui tutto era possibile e ogni sogno o fantasia poteva anche trasformarsi in realtà.
Ecco, il grande pregio di questo libro di poco più di centocinquanta pagine, che si legge tutto d’un fiato, è proprio quello di trasportare in un’altra dimensione, di tornare, per il tempo della lettura, bambini.
Lia Piano riesce a raccontare la sua infanzia, trasfigurandola, ricreandola e soprattutto non inducendo alla malinconia, ma riempendo ogni pagina di allegria e ironia, dando alla narrazione quel tono spensierato e naif del racconto dei bambini, che quando descrivono qualcosa lo ammantano di fiabesco e riescono ad essere poetici, senza cadere mai nella nostalgia.
Lia Piano lo dice da subito, in una nota iniziale, che l’unico personaggio realmente esistito presente in queste pagine è la casa di famiglia, tutto il resto, persone, situazioni, immagini seppur reali, sono frutto di fantasia.
Tra queste pagine ci sono una madre anticonformista, che perde in continuazione gli occhiali da vista, regala un cane ad ogni figlio e cova pulcini nella vasca da bagno; un padre che smonta marchingegni a tavola e costruisce barche a vela in cantina senza tener conto delle misure; un fratello in preda agli ormoni che si diletta con la telecamera; un altro balbuziente e col vezzo della chimica; la governante calabrese, Concepita Maria, che dispensa con lo stesso aplomb, saggezza in dialetto e sberle educative; e il cane Pippo, fedele compagno di tutte le avventure, nonché bambola – pupazzo (lo trucca e lo veste con tulle e chiffon) della protagonista. E c’è soprattutto la casa bellissima, enorme, magica: stanze dai soffitti altissimi, saloni di rappresentanza con grandi vetrate da cui ammirare il plenilunio stesi per terra, un giardino selvaggio dove, per non perdersi nell’erba mai tagliata, il piccolo io narrante indossa un cappellino con la bandierina, un vecchio cancello da cui non passa mai nessuno, tenuto in piedi dalle piante e una libreria che si snoda lungo tutte le stanze, come un enorme serpente di storie.
Mio padre si sfilò il metro dalla tasca, e iniziò a misurare. Un mese dopo una mensola lunga 307 metri percorreva tutte le stanze, avvolgendo i muri come un nastro. Libri lungo il vano scale e in cucina, fughe di libri lungo corridoi, stanze vuote, gabinetti. La mensola si abbassava e alzava come un’onda: nei punti più bassi mia madre metteva quelli per me. Quando di notte la sentivo spostare le scatole di libri attraversavo tutta la casa in punta di piedi per andare a vedere. La maestra aveva spiegato che i libri erano stati un tempo alberi, che la cellulosa proviene dal legno. Anche questo non era del tutto vero, gli adulti la facevano sempre troppo semplice: i libri erano ancora alberi, e dove li posavi mettevano le radici. Se c’erano i libri significava che quella era casa. Finalmente ci eravamo fermati.
Il risultato è il colorato affresco di “una famiglia insonne e perdutamente felice”, una famiglia libera dagli schemi, assolutamente fuori dal comune, dove in ogni stanza vi è un cartello che recita: “Vietato vietare”; l’unica regola impone di ragionare con la propria testa, la vera conoscenza si ricava dall’esperienza diretta, il mondo va sempre osservato da un’altra angolazione, come riesce a fare fa la piccola protagonista quando il padre la solleva sulle spalle. Certo ogni tanto a lei verrebbe voglia di essere come tutti gli altri bambini: frequentare il catechismo, andare in chiesa la domenica, essere invitata da qualche compagna di scuola a giocare con le Barbie, salvo poi annoiarsi a morte e voler tornare nel giardino dall’erba alta in compagnia del suo cane travestito.
Planimetria di una famiglia felice è un libro magico, una sorta di fiaba che trasforma ogni cosa in epopea comico-grottesca, mantenendo la narrazione perfettamente in bilico tra reale e surreale, nel ricordo di un’infanzia diversa, incantata, magica e felice, elaborata tramite la “virtù straordinaria della scrittura: che può prendere il mondo e capovolgerlo, farlo volteggiare, farlo addirittura esplodere (!), senza che nessuno si faccia male”.
Planimetria di una famiglia felice di Lia Piano – Bompiani (2019) – pag. 157