Sulla scelta narrativa di 4321 credo di non svelare assolutamente nulla. Paul Auster racconta quattro versioni di una stessa persona, Archibald Isaac Ferguson.
Dopo un meraviglioso prologo, che pare un romanzo nel romanzo, che racconta dell’arrivo del nonno paterno del protagonista negli Stati Uniti dall’Est Europa e del successivo incontro tra i genitori, Stanley il silenzioso proprietario di un negozio di mobili e l’affascinante Rose aspirante fotografa, Auster, nel primo capitolo, inizia a raccontare dell’infanzia di Archie. Il lettore, però, affrontando il secondo capito rimane per un attimo perplesso, non sta rileggendo nuovamente cose già accadute nel primo, ma leggermente diverse? Ed ecco svelato l’arcano, capitolo dopo capitolo, aiutati dalla numerazione progressiva, seguiremo gli avvenimenti di quattro distinte vite. Quattro possibili scenari, quattro versioni alternative della stessa persona.
Se Chuckie non fosse venuto a chiamarlo quel mattino, e non gli avesse chiesto di uscire a giocare, non sarebbe stato uno stupido. Se i suoi genitori si fossero trasferiti in uno degli altri posti dove avevano cercato la casa giusta, lui non avrebbe conosciuto Chuckie Brower, non avrebbe nemmeno saputo che Chuckie Brower esisteva, e non sarebbe stato uno stupido, perché si sarebbe arrampicato su un albero di un altro giardino. Interessante, si disse Ferguson, immaginare che le cose potevano essere diverse anche se lui era lo stesso. Lo stesso bambino in una casa diversa con un albero diverso.
Auster imbastisce un incredibile gioco di riflessi, rimandi e citazioni da una storia all’altra: personaggi fondamentali nella vita di un Archie hanno un ruolo secondario o addirittura inesistente in quella di un altro; il nucleo familiare rimane immutato, ma, da una vita all’altra, subisce gravi stravolgimenti che modificano tenore di vita, ambizioni, prospettive; lo stesso protagonista ha sogni, idee, interessi diversi: se in una è appassionato di tutti gli sport, nell’altra predomina l’aspetto letterario; e così anche le vicende politiche degli Stati Uniti degli anni sessanta per un Archie sono la ragione di vita, mentre per un altro sbiadiscono sullo sfondo. Nelle varie vite il protagonista assisterà la sua famiglia distruggersi a causa del dio denaro o ricomporsi in virtù dell’amore dei suoi genitori; vedrà infrangere i suoi sogni a causa di un incidente; sperimenterà le proprie pulsioni sessuali; si dedicherà anima e corpo allo sport, alla poesia, alla letteratura, ad Amy, di volta in volta, fidanzata, cugina, sorellastra.
Ferguson è dotato di qualità e talento in tutte le sue vite, i tanti libri che legge, seguendo i più svariati consigli, i film che guarda in cinema polverosi, le poesie che traduce dal francese o quelle che compone, gli articoli che scrive, la musica che ascolta lo rendono quello che è.
Paul Auster, in questo colossale romanzo, distilla per noi il concentrato delle quattro vite di Ferguson e ci fa comprendere che tutte le scelte che facciamo sono un’arma a doppio taglio che con ogni probabilità ci ferirà mortalmente, ma a cui non possiamo comunque rinunciare. Inutile mettere da parte i propri sentimenti. Illusorio pensare che amare incondizionatamente un altro garantisca l’essere felici o corrisposti. Ingannevole credere ad una durata illimitata di tutto quello che ci circonda, comprese le passioni. La vita insegna che nulla è impossibile, nulla duraturo e che in un momento tutto può essere sconvolto e rivoluzionato.
Auster orchestra magistralmente questo romanzo di formazione, che segue la crescita del suo protagonista, facendo risaltare i travagli di un’anima quadripartita alle prese con l’amore, il dolore, le delusioni, la scoperta della sessualità, e dominata dall’immenso amore per l’arte e la letteratura.
Una sorta di romanzo POP UP che apre caselle corrispondenti a storie, pezzi di romanzo, racconti, aneddoti, liste infinite di libri, opere d’arte, autori assolutamente da leggere. Ponendoci al centro New York, la metropoli dalle mille opportunità, in cui i vari Archie (residenti a Newark (New Jersey) sognano di vivere, meta e miraggio a cui tendere. Ma sublimando Parigi, quale capitale bohémien, ideale per chi vuole vivere d’arte e di scrittura.
Nel mezzo tanta, tantissima storia americana degli anni cinquanta e sessanta, l’epoca delle illusioni e la caduta delle stesse. Una storia che, dopo l’impeto dei movimenti di lotta dei diritti civili, con i giovani galvanizzati dall’idea di un mondo unito, si infrange nella reazione armata, nella violenza della risposta della polizia, nelle vittime degli scontri razziali e nelle tante, troppe bare dei caduti in Vietnam. Dopo il sogno americano incarnato da Kennedy, e l’idea che un mondo nuovo, la moderna Camelot, sia possibile e raggiungibile da tutti, il suo assassinio seguito da quello del fratello, di Martin Luther King e molti altri lascia spazio all’abominio della guerra del Vietnam, una guerra senza senso che falcia i suoi giovani e rappresenta il crollo del sogno americano, nonché la fine di un’intera generazione: non solo chi sul suolo asiatico ci è morto, o ne è tornato menomato nel fisico e nella psiche, ma anche chi si è sentito tacciato di essere traditore della patria solo per aver fatto di tutto per non finire nella carneficina, accettando anche il carcere per il rifiuto di imbarcarsi in un’impresa assurda e senza senso. Ne scaturisce il ritratto impietoso della politica statunitense. La nitida fotografia di uno scontro tra chi reputa gli Stati Uniti un faro di libertà e di opportunità e chi invece la vede come fucina di oppressione, perché, alla fine, solo se sei bianco e privilegiato, puoi emergere.
Impossibile dire come va a finire, ma Paul Auster termina il suo mastodontico romanzo con un “coup de theatre” strepitoso e un finale a dir poco geniale. La degna conclusione di un grande romanzo.
E mentre ci si perde nelle quattro possibili vite di Archie e nelle altre inevitabili miriadi di probabili vite, è inevitabile pensare, all’idea che sta alla base del famoso film Sliding Doors: la nostra vita non è forse una delle tante possibili, infinite vite che avremmo potuto vivere? Infondo ogni volta che intraprendiamo una strada anziché un’altra la nostra esistenza svolta, si modifica. Se non avessimo fatto quella scuola, non ci fossimo laureati in quella materia, se avessimo cambiato città, sposato o meno quella persona, cosa sarebbe cambiato, quale corso avrebbe preso la nostra esistenza?
E le possibili vite non dipendono solo dalle nostre decisioni, ma anche da quelle degli altri che ci stanno accanto e dai fatti storici, in cui comunque siamo immersi anche se a volte in modo del tutto inconsapevole.
Sto dicendo che non saprai mai se hai fatto la scelta sbagliata. Avresti bisogno di conoscere tutti i fatti in anticipo, e l’unico modo per disporre di tutti i fatti è essere in due posti nello stesso momento, ma è impossibile.
E a pensarci bene è proprio questo che rende la nostra, come le vite di Archie, straordinarie. Vite normali ma al tempo stesso complicate, paradossali, difficili e meravigliose al tempo stesso.
Sicuramente 4321 è un libro complesso e sfaccettato, forse non per tutti. Di certo non è un romanzo da leggere nei ritagli di tempo, necessita di attenzione, anche per i continui richiami e le piccole briciole, che Auster, odierno Perrault, lascia lungo la narrazione, briciole che il lettore può decidere di ignorare, o raccogliere per vedere le infinite possibilità di questa storia. Chi decide di leggerlo, però, non potrà alla fine non sentirsi arricchito dalla conoscenza con Archie e con le sue quattro possibili vite.
4321 di Paul Auster – Einaudi (2017) – pag. 939