Non sapevo bene cosa aspettarmi da questo romanzo, se non che era piaciuto molto ad Elena @lettriegeniale, del cui giudizio mi fido che lo aveva definito una delle migliori letture 2024.
E mi sono trovata tra le mani una somma di libri. Perché Un uccellino mi ha detto di Susan Fletcher è la storia di una donna di 87 anni ancora piena di vita, della sua esistenza straordinaria, ricca di avvenimenti, viaggi, amori, ma anche un’appassionante indagine su uno strano tentato suicidio nonché un segreto traumatico che ha cambiato il sentire della protagonista per sempre.
Quattrocento pagine che scorrono via grazie ai tanti piani temporali, al racconto della vita quotidiana di una donna al termine della vita, senza una gamba a causa di un incidente domestico tanto buffo se non fosse per le conseguenze, costretta per quello ad andare a vivere nell’Oxfordshire in una casa di riposo, Babbington Hall, curata, tranquilla, anche se con residenti per lo meno eccentrici.
La prima cosa che colpisce è la personalità della protagonista, nonostante la vecchiaia, l’amara constatazione che “la società ha dimenticato che i vecchi sono stati giovani”, l’assottigliarsi delle possibilità, il suo atteggiamento è di gentilezza e fiducia verso il prossimo.
Grazie al suo carattere aperto e ad un cervello ancora acuto riesce ad avere un sorriso per tutti, una parola di incoraggiamento, non disdegna una visita agli altri ospiti ma anche alla direttrice della struttura, Renata, riservata e schiva, che pare però aver voglia di condividere con l’anziana signora “questioni di cuore”. La conversazione con la direttrice, che sta organizzando un viaggio a Parigi e vuole dare una scossa alla sua vita, le riporta alla mente i suoi amori passati ed è pronta a condividere con Renata la sua esperienza. Per questo quando il giorno dopo Florrie assiste impotente alla caduta di Renata dalla finestra del suo alloggio, non crede che sia il gesto di una donna triste e sola che non ha alcuna speranza nel futuro, ma crede possa esserci qualcosa dietro. Inizia così ad indagare tra gli ospiti della casa di riposo, cercando di saperne di più sulla direttrice. Ad aiutarla un ex professore di latino, l’alto e allampanato Stanhope, dagli abiti sgargianti e le bretelle inverosimili.
Susan Fletcher riesce da subito a catturare il lettore stillando a poco a poco dettagli sulla vita della protagonista che fanno nascere un’immediata curiosità verso questa donna che ha avuto una vita a dir poco avventurosa. La narrazione quindi è come se procedesse su tre filoni paralleli: i ricordi di Florrie, le indagini sull’incidente di Renata e il misterioso segreto che ha causato un trauma irreversibile nella protagonista bloccandola a ciò che è accaduto agli albori della sua esistenza, il “luccio”, come lo chiama lei, metafora del “fatto”, che si muove nell’oscurità e l’attanaglia impedendole di essere completamente se stessa.
Sta perdendo l’equilibrio. E si rende conto, con orrore, che il luccio – quel sentimento saggio e oscuro che è rimasto acquattato nel profondo del suo essere per tutto il pomeriggio (o che è in agguato da tutta la sua vita adulta) – è salito così in alto che ora si ritrova a pelo d’acqua. La fissa con il suo occhio. Oh, io ti conosco. Certo che sì. E’ stato l’amore ad evocarlo. E’ stato l’amore a richiamarlo dalla sua grotta salmastra, e lui la morderà. Se ne avrà occasione. In passato, ha afferrato Florrie trascinandola a fondo e facendola riemergere giorni dopo piena di lividi e ridotta a brandelli.
Durante le indagini risaltano tutta una serie di personaggi che nonostante siano di contorno emergono tramite rapide pennellate: le cosiddette sorelle Ellwood, in realtà cognate nonostante si assomiglino come gemelle, impiccione all’inverosimile, la snobbissima Marcella Mistry, che guarda sempre tutti da sotto in su, l’infermiera Marta truccatissima e piena di piercing e il reverendo Joe, un ex buttafuori tutto tatuato convertito alla Chiesa.
E se la personalità e la simpatia della protagonista con cui è impossibile non empatizzare sono il centro e il motore della narrazione, anche la parte gialla, le indagini, e gli elementi che permetteranno all’instancabile ottantasettenne e al suo fidato compagno di arrivare alla verità non sono da meno.
Tra le pagine di Un uccellino mi ha detto si sta davvero bene, un giallo cozy unito ad un romanzo di narrativa che copre un lungo arco temporale e ricostruisce pezzo a pezzo la vita di Florrie: la famiglia composta dal padre poliziotto e dalla madre che parla con le piante e appare sempre un po’ svagata, il fratello Bob, la concreta zia Pip, l’amica del cuore Pinky, (l’amica che ognuno di noi vorrebbe al proprio fianco!) e poi i sei amori della donna. Tra le pagine scorrono pezzi di vita, incontri, scelte, viaggi, L’Aia, l’Avana, Kampala, Kathmandu, la Svizzera, l’Egitto, l’India, la Scozia, luoghi dove la protagonista ha vissuto, dove ha lasciato un pezzetto di cuore. Un viaggio meraviglioso come meravigliosa è stata la vita di Florrie. Una donna che al tramonto della propria esistenza è grata di ciò che ha avuto, adora aprire la scatola che custodisce i suoi ricordi più preziosi ma ha ancora voglia di vedere il bello che la circonda, di regalare un sorriso e di scoprire cosa nasconda la caduta di Renata.
Oggi è una scatola di ricordi. Dentro ci sono frammenti di tutto ciò che Florrie ha amato, dalla sua bambola preferita di quando era bambina alla bibbia dei nonni, fino a una fotografia sbiadita scattata a Vicarage Lane il giorno prima che Bobs partisse per la guerra, che ritrae tutti e quattro i Butterfield, sani e sorridenti (C’è anche Gulliver, impegnato nella sua toilette con una zampa in verticale.)
Un uccellino mi ha detto di Susan Fletcher è un romanzo che grazie ad una scrittura brillante, piena di humour inglese, ci regala la storia di una vita con tutte le sue sfaccettature e le sue ricchezze che fa riflettere, una protagonista indimenticabile e insieme un bel mistero appassionante. Consigliatissimo.
Un uccellino mi ha detto di Susan Fletcher [The Night in Question 2024] – traduzione di Matteo Camporesi – Rizzoli (2024) – pag. 422