La virtù della pazienza

E’ capitato di nuovo, immergermi in un libro e ritrovarmi fagocitata in una storia inaspettata.

Sempre alla scoperta di autori e storie provenienti dal continente africano ho iniziato e finito in una giornata, ma probabilmente se avessi avuto il pomeriggio libero lo avrei letto nel giro di un paio d’ore Le impazienti di Djaïli Amadou Amal.

Un libro che ci porta in Camerun, in una composita famiglia “fulani” dove si sta preparando un matrimonio. E la parola che apre il libro e ricorre sulla bocca delle donne di famiglia, delle zie della madre e poi del padre, è “Munyal”, pazienza. La pazienza che è la virtù assoluta, esaltata dai proverbi, dagli esempi degli anziani, addirittura dal Corano ed è la virtù che deve caratterizzare il comportamento delle donne. Sono loro a dover essere pazienti. Pazienti nei confronti dei futuri mariti, delle famiglie in cui andranno a stare, verso le altre mogli del marito. Perché essere pazienti significa sopportare tutto, rassegnarsi a qualunque cosa, sottomettersi al marito e alla sua famiglia e rimanere in silenzio di fronte a tutte le prove, le sofferenze e i dolori che le possano capitare; in una parola, accettare il destino che gli altri hanno deciso per lei.

E quello che all’inizio pare un clima di festa, un momento di gioia, vira quasi subito verso una sorta di horror, perché le donne che stanno per sposarsi non sono consenzienti, perché queste ragazze avevano aspettative, sogni, desideri diversi, ma il clan familiare così ha deciso, gli interessi dei padri, la loro volontà ha schiacciato e reso del tutto influente il volere delle figlie.

Le impazienti intreccia i destini di tre donne Ramla, Hindou e Safira.

Ramla ha diciassette anni, adora studiare e sogna di diventare farmacista, ma è già eccezionale che il padre le abbia permesso di prendere il diploma. Appena preso, però, deve sposarsi con un ricco e importante commerciante di cinquantanni con cui padre e zio intrattengono affari economici, rinunciando al matrimonio, già concordato, con un amico del fratello che vive in Tunisia e che acconsentirebbe a farle proseguire gli studi.

Mentre le mie sorelle rinunciavano agli studi appena possibile […], io mi ostinavo ad andare a scuola. E spiegavo alle donne della mia famiglia la mia ambizione di diventare farmacista, cosa che le faceva ridere di gusto, dopodiché mi davano della pazza e al contempo lodavano le virtù del matrimonio e della vita da casalinga. Quando sottolineavo l’appagamento che una donna può trovare nel piacere di avere un lavoro, di guidare un auto, di gestire il proprio patrimonio, ponevano bruscamente fine alla conversazione, esortandomi a tornare con i piedi per terra e a vivere nella vita reale.

Sua sorella Hindou è invece destinata ad unire il proprio destino a quello del cugino Moubarak, pecora nera della famiglia, che beve, si droga, frequenta cattive compagnie e ha un indole violenta. E del tutto inutili sono le suppliche, le lacrime, le preghiere della ragazza al padre per evitare il matrimonio.

Infine Safira, prima moglie “daada-saaré” dell’uomo che sposa Ramla. Costretta a subire l’onta di condividere l’uomo che ama e che supporta da più di vent’anni con una donna più giovane e bella. Perché in una cultura poligamica come quella descritta è del tutto naturale che un uomo abbia più mogli, con ruoli diversi e sebbene alla prima sia affidato il ruolo di gestione e controllo della casa, Safira trova ingiusto dover far spazio ad una nuova donna. Ciò la induce a scatenare nei confronti della nuova arrivata una vera e propria guerra senza esclusioni di colpi, tra dispetti e piani sempre più arzigogolati che comprendono anche pozioni, ricorsi a stregoni e marabutti per indurre il marito a ripudiarla.

Ed ecco il continuo richiamo al MUNYAL, alla pazienza, alla tolleranza, all’accettazione della volontà altrui e di conseguenza alla sottomissione. In un universo che vede le donne prive di qualunque diritto, oggetti più che soggetti, sottoposti alla volontà paterna prima, e a quella dei mariti dopo, questo anche grazie ad una lettura antiquata e limitata del Corano, le donne non hanno nessuna possibilità di compiere scelte autonome e personali, perché la cultura patriarcale priva le donne di voce, di volontà, di desideri, e le condanna così ad una violenza sistemica irreparabile.

A proposito di dovere coniugale, mi hanno citato un hadith del Profeta: Guai alla donna che fa arrabbiare suo marito e felice la donna il cui marito è contento di lei. Dovevo imparare subito a soddisfare mio marito.

Djaïli Amadou Amal ci racconta la condizione delle donne “fulani” in Camerun, basata su matrimonio forzato, poligamia, violenza coniugale, mancanza di consenso, ma tratteggia comunque un quadro universale nel quale tutte possiamo riconoscerci: perché pur avendo conquistato molti dei diritti a loro negati alcune delle situazioni narrate non sono poi così lontane da alcuni resoconti delle cronache. E se ci pensiamo bene quante volte anche a noi ci è stato detto da madri, sorelle, zie, parenti, amiche di essere pazienti, di aspettare, di sopportare, che tutto poi si sarebbe aggiustato. Perché la pazienza è veramente la virtù muliebre per eccellenza. Quella che secondo la cultura patriarcale rappresenta e valorizza maggiormente la condizione femminile.

L’autrice, inoltre, mette l’accento sulla piaga dei matrimoni precoci e lo scarso accesso all’istruzione femminile, che come sottolinea anche l’Unicef procedono spesso di pari passo. In molte culture sub-sahariane, sposare le figlie molto giovani ha una forte valenza economica e rappresenta un sollievo per la famiglia della sposa. Ma il matrimonio precoce impedisce di fatto l’accesso all’istruzione per queste giovani donne, che si ritrovano prigioniere, a volte inconsapevoli, del sistema che le opprime.

Djaïli Amadou Amal in questo romanzo brutale racconta un destino di cui lei stessa è stata vittima: sposata a diciassette anni con un uomo di cinquanta, si è liberata del suo primo marito fuggendo nella capitale e lavorando sodo, scrivendo, studiando, è stata in grado di trovare la sua voce e a darla anche a chi non ce l’ha “non solo credo che la letteratura possa cambiare la realtà, ma ne sono la prova, mi ha salvato la vita.

Con questo intento e obiettivo nel 2012 ha fondato un’associazione (Femmes du Sahel) che promuove l’istruzione femminile. La sua spinta è stata quella di di evitare alle proprie figlie il medesimo futuro, è, infatti, convinta che sia fondamentale “mostrare alle ragazze un’altra immagine” della donna nella quale possano identificarsi. Se l’unico modello di riferimento è quello di diventare mogli e madri come possono immaginarsi in un altro modo?

La scrittrice camerunense con “Le impazienti” ha vinto il premio Goncourt des Lycéens nel 2020 in Francia.

Le impazienti di Djaïli Amadou Amal [Les impatientes 2020] Solferino (2021) – traduzione di Giovanni Zucca – pag. 220

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