Su Instagram partecipo ad un progetto nato con l’intento di associare almeno un libro ad ogni paese del mondo, un libro scritto da un autore originario di quel paese e possibilmente ambientato lì.
Il progetto, ideato con Marta, Sam, Silvia e Beatrice, si chiama #libramondo e ci ha permesso di andare a scovare quelle letterature poco conosciute e solitamente snobbate. Se ci pensate bene credo che ognuno di noi abbia letto tantissimi libri di autori italiani, francesi, inglesi, statunitensi, ma se solo ci spostiamo in Bulgaria, in Egitto o in Perù le cose cambiano. Eppure ci sono libri bellissimi che ci aspettano e che hanno l’incommensurabile valore di farci conoscere culture diverse, luoghi, sapori, risonanze che non fanno parte del nostro orizzonte.
Se questo è vero per la letteratura sudamericana o orientale, che comunque è composta di tantissimi paesi ed altrettanti richiami, lo è ancora di più quando parliamo di letteratura africana: praticamente sconosciuta.
Per questo il progetto ha acceso in me la curiosità di andare alla scoperta della letteratura del continente più antico e più misterioso, incappando in vere e proprie perle.
E Il fuoco e la farfalla di Yvonne Vera scrittrice dello Zimbabwe non fa eccezione.
Devo dire che la prima cosa che mi ha attirato è stata la copertina: un viso femminile bellissimo con un occhio coperto da una foglia dorata, che descrive molto bene la complessità di quest’opera.
E a scanso di equivoci è meglio dire subito che questo romanzo non è un libro facile, narrazione frammentaria, salti temporali, personaggi che si intravedono più che essere descritti.
Un libro da leggere interamente prima di cominciare a comprendere il disegno finale. Come un puzzle, un mosaico, o un ricamo che solo una volta terminato mostra il soggetto che vuole rappresentare.
Il fuoco e la farfalla racconta una storia d’amore, ma anche la storia dello Zimbabwe alla fine degli anni quaranta, la richiesta d’indipendenza dalla Gran Bretagna, la segregazione tra bianchi e neri (sui marciapiedi possono camminare solo i bianchi), la piaga della prostituzione e dell’alcool, l’emancipazione femminile.
La particolarità e bellezza di questo romanzo sta soprattutto nel linguaggio usato dall’autrice, evocativo e poetico. Soprattutto nelle prime pagine si ha la sensazione che Yvonne Vera stia descrivendo una realtà fumosa che si intravede, che si immagina, ma che non si staglia mai perfettamente come vera: come raccontasse un sogno. La descrizione del taglio dell’erba, come una danza sincrona; di un’esecuzione avvenuta anni prima, con i condannati legati ad un albero; di una strada su cui scorrazzano bambini, curiosi e giocosi, in un sovrapporsi di immagini.
Ma Il fuoco e la farfalla è soprattutto la storia di Phephelaphi e Fumbatha, che si sono conosciuti al fiume. Lei giovane e bellissima, lui più anziano ma altrettanto piacente. Lui vorrebbe un figlio, lei sogna di diventare infermiera, visto che da poco è stata data anche alle persone di colore la possibilità di frequentarne la scuola. A loro modo due vittime di una società e di un sistema in cui è estremamente difficile capirsi e riconoscersi.
Voleva un’opportunità per essere una donna differente e il 1948 era un anno in cui la speranza si apriva come un cielo splendente e una donna nera e istruita poteva fare di più. L’offerta era lì e le faceva mancare il fiato anche soltanto immaginare di essere qualcos’altro di diverso da quello che era. Non era niente che conosceva ma lo voleva, in qualche modo sentiva nostalgia del futuro. Ora lei non era niente. Non era niente che fosse capace di sentire. Voleva essere qualcosa con dei lineamenti, e anche se non era sicura di cosa lei stessa volesse dire, voleva qualche forma di rispetto, di dignità, di equilibrio, e di potere proprio. Trovare se stessa: la sua passione era segreta e incomunicata. Eppure poteva cambiare qualcosa. Fumbatha non avrebbe mai capito così lei non gli diceva niente.
Intorno a loro una serie di personaggi soprattutto femminili che non sono chi paiono essere Zandile, Deliwe, Getrude, ognuna con una storia dolorosa, con segreti e bugie da nascondere.
Un libro di cui è impossibile dire di più. Bisogna immergersi e lasciarsi portare dalla voce della scrittrice, fidarsi di quello che ci vuole raccontare, anche se all’inizio si resta spiazzati e non si capisce granché. Alla fine, anche grazie ad alcune scene potentissime, non si rimane minimamente delusi.
Come dice nella postfazione la traduttrice Francesca Romana Paci, Yvonne Vera è una tessitrice di linguaggio, occorre avere pazienza e saper cogliere i richiami ricostruendo poi la storia che la scrittrice vuole narrare attraverso frammenti scelti. Una lettura impegnativa proprio per la tecnica narrativa utilizzata e la pluralità di temi messi in campo che disorienta il lettore ma lo conduce anche per mano verso un libro che colpisce e lascia il segno.
Il fuoco e la farfalla di Yvonne Vera [Butterfly Burning 1998] Frassinelli (2002)– traduzione di Francesca Romana Paci – pag- 218