Inizio subito dicendo che era davvero tanto che un romanzo non mi commuoveva così, l’ho terminato con le lacrime agli occhi e una voglia matta di abbracciare il burbero Maurice Hannigan.
Quando tutto è detto di Anne Griffin è il lungo racconto in prima persona della sua vita. Maurice si trova nel bar del Rainsford House Hotel, nella contea di Meath, in Irlanda pronto a fare cinque brindisi alle cinque persone che ha amato di più nella sua lunga esistenza.
E così seduto nel bar dell’albergo, ex magione della famiglia proprietaria i Dollard, di cui scopriremo mano a mano le vicende legate a doppio filo al protagonista, assaporando varie qualità di whisky ed intervallandole con birra scura Stout, Maurice rivive tutta la sua vita.
Un’infanzia in una famiglia povera, con il padre e il fratello a lavorare nei campi come mezzadri e la madre a spezzarsi la schiena come cuoca dalla famiglia ricca e potente della zona, i Dollard.
L’esperienza umiliante della scuola, da cui nonostante tutti gli sforzi non riesce a cavar fuori nulla, legge con difficoltà, le lettere gli si impigliano negli occhi, fino a farlo sentire incapace, ritardato. Soltanto anni dopo scoprirà che il suo problema si chiama dislessia e non è una sua colpa o una sua incapacità non riuscire a leggere e farlo con fatica.
L’abbandono della scuola e il conseguente lavoro pesante ma soprattutto mortificante, anche per le continue violenze psicologiche e fisiche nella tenuta dei Dollard, guardato con astio e sospetto dal figlio del padrone Thomas.
E il lavoro duro, costante, senza tregue, che ha caratterizzato e forgiato carattere e destino, insieme con la voglia di rivalsa che lo accompagnerà per tutta la vita, così come il desiderio di guadagnare e comprare terra per dimostrare a tutti a soprattutto a se stesso il proprio valore.
E brindisi dopo brindisi rivive l’affetto profondo verso il fratello Tony, che lo ha sempre spronato ed incoraggiato chiamandolo “Grande uomo” e la cui precoce scomparsa ha marchiato la vita della famiglia, in particolare della madre.
Mi chiesi quanto fosse difficile per lei, vedere un figlio attraversare le tappe della vita mentre l’altro, ormai freddo nella terra, non ne aveva mai avuto l’opportunità.
L’amore verso Dolly la figlia morta prima ancora di nascere ma comunque presenza costante nella memoria e nei ricordi dell’uomo, che la immagina nelle varie tappe della vita e la rivede in Emily, la fiera e determinata proprietaria dell’Hotel. Una ragazza che, nonostante abbia sangue Dollard nelle vene, lui stima e a cui a suo modo vuole bene.
La figura della cognata Noreen, un’anima semplice, con disturbi di mente, perennemente attratta da ciò che luccica.
L’incapacità di comunicare con il figlio Kevin uomo di lettere, diventato giornalista e trasferitosi in America, a cui non è mai riuscito a dire fino in fondo quanto è orgoglioso e soddisfatto di lui.
E su tutti la figura dell’amatissima moglie Sadie, la donna che ha rappresentato il centro della sua vita, una vita che, da quando lei non c’è più, non ha più senso.
Nessuno, nessuno conosce davvero la perdita finché non si tratta di qualcuno che ami di quell’amore profondo che ti tiene insieme le ossa e che scava a fondo fin sotto le tue unghie, difficile da scalfire come anni e anni di terra compatta. E quando va via… è come se ti fosse stato strappato di dosso. Ora sei nudo ed esposto, sei lì in piedi che goccioli sangue dappertutto sulla tua bella moquette. Per metà umano e per metà morto, con un piede già nella fossa.
Quando tutto è detto mi ha riportato alla letteratura irlandese che ho bazzicato e amato anni fa. La miseria raccontata da Le ceneri di Angela di Frank McCourt, le opere di Joseph O’Connor, William Trevor, Edna O’Brien, Catherine Dunne, sempre intrise di malinconia, ma anche con una vitalità e amara ironia sottotraccia, che raccontano di un passato duro, faticoso, senza vie d’uscita e un futuro spesso legato ad emigrazione e distacco.
La storia che racconta Anne Griffin non è certamente la più originale che si possa trovare, un bilancio esistenziale e una resa dei conti come epilogo della vita, ma le vicende di quest’uomo semplice e duro, temprato dagli eventi della vita, marchiato dagli eventi della sua giovinezza e assetato di vendetta nei confronti delle persone responsabili di tanto dolore, è raccontata con grande sensibilità ed empatia. La povertà della sua terra l’Irlanda, la voglia di riscatto, si mescolano ai sensi di colpa, agli errori evitabili a quello che ormai non può più cambiare come ordinare un Earl Grey in più alla moglie.
E alla fine anche Maurice comprenderà come ogni esistenza è fatta di tasselli che non sempre conosciamo e che possono però essere determinanti ed essenziali nelle scelte e negli sbagli che commettiamo.
Bravissima l’autrice a tratteggiare e dare spessore alla figura di Maurice, personaggio non facile da descrivere: uomo complesso, sfaccettato, pieno di luci ed ombre, non completamente positivo, ma comunque dotato di una determinazione di ferro e di uno spirito che non lo abbandona mai.
E per questo Maurice non potrà non diventare uno dei protagonisti più cari a cui tornare pensando a quanto il dolore, l’umiliazione, l’incapacità a lasciar andare il passato influiscano sulle nostre scelte e pesino sul nostro presente.
Quando tutto è detto di Anne Griffin [When All is Said 2019] – traduzione di Bianca Rita Cataldi -Blu Atlantide (2022) pag. 277