“Meizoun” luogo dell’anima

Una scatola di latta, quelle per biscotti, ammaccata e arrugginita che contiene diari, scampoli di vita, foto, poesie.

Una stanza che è diventata il magazzino di tutte quelle esistenze ormai finite. Immagini di un mondo che fu: ogni persona una scatola che contiene brandelli di un’esistenza, foto, fiori, ricordi.

Un vecchio paese ormai abbandonato. Un paese dove l’inverno morde ancora, dove le stufe devono essere tenute sempre accese e sui tetti di formano stalattiti di ghiaccio.

Un mondo duro fatto di lavoro, di rinunce, anche di violenze, ma soprattutto di legami, di rapporti veri, di solidarietà, di condivisione.

Adelaide, detta Ade, alle prese con i cocci della sua vita si rifugia nel paese della sua infanzia tra i ricordi del nonni Memè e Granpapà, dove vive ancora Nanà unica sopravvissuta di un mondo in estinzione. Una novantenne tosta, ormai unica custode del borgo e delle sue storie.

Nanà che sferruzza maglioni con le trecce seguendo schemi intricatissimi, che indossa occhiali neve, che porta i lunghi capelli radi chiusi in una crocchia, che cataloga in scatole con etichette la vita di chi ha amato perché non si disperda, che utilizza le pagine di vecchi libri come erbari, per poter sfogliare l’intera esistenza di un fiore.

Due anime che nella cura reciproca ritrovano quell’equilibrio precario che è la caratteristica di ogni esistenza.

Perché Ade ha bisogno di tornare al suo luogo dell’anima, alla sua “Meizoun”, per ritrovare se stessa, per rispondere alle domande che le si agitano dentro, per prendere fiato e ripartire e lo fa attraverso il rapporto speciale che instaura con Nanà ormai agli sgoccioli di un’esistenza piena, che sente la solitudine e il dolore di essere l’ultima sopravvissuta e ha bisogno di trasmettere i suoi ricordi, le sue esperienze a qualcuno che sappia ascoltare e diventare a sua volta testimone.

Attraverso i suoi ricordi tra le pagine tornano in vita le feste nel fienile, gli amori nascosti, le gioie e i dolori, gli abbandoni, i lutti, la guerra, le diversità di religione che dividono oggi come allora. E attraverso le parole di Nanà torna in vita l’amicizia di quattro donne diverse come le stagioni.

Nanà è primavera, così attenta alla vita, speranzosa, anche oggi, timida come un bucaneve.

Dando Irma sventola l’estate, con la sua vivacità e il temperamento spensierato.

Memé è come l’autunno: premurosa e pronta al sacrificio; poi, dando Lena: l’inverno. Così rigido e severo eppure custode dell’amore dolce, ben riparato sotto strati di ghiaccio. Sorprendente, nel suo ermetismo di neve.

Le loro esistenze che si sono intrecciate con quelle di Levì, di Memè e Granpapà di bar Tricot, sempre capace di imbastire una storia

Una storia vale solamente se ci sono: un oratore, una buona dose di dettagli, ritmo e la curiosità dell’uditorio. Se c’è tutto questo la storia rimane. Sennò passa.

Un libro che anche attraverso il linguaggio, il patois, il dialetto provenzale parlato in Valle d’Aosta e in alcune vallate piemontesi, tra cui la Val Germanasca, dove è ambientato il romanzo, trasporta il lettore in un’atmosfera lontana nel tempo e nello spazio. Là dove la tecnologia non esiste, dove il telefonino non prende, la televisione non c’è, dove l’esistenza segue ancora il ritmo della natura, dove un tramonto infuocato dice più di mille parole.

Un libro che anche per il mix tra dialetto e italiano richiede tempo, tempo per immergersi, tempo per assaporare ogni singola parola o immagine, tempo per entrare in queste anime antiche, e per capire il mondo che raccontano ma che alla fine ripaga per la bellezza struggente e malinconica che regala.

E tra queste pagine si ritrova il senso delle piccole cose, del potere della memoria, quella che racchiude piccoli fatti apparentemente senza importanza, ma che sono, invece, il tessuto di ogni storia. Il senso di avere un luogo della memoria a cui tornare, da poter chiamare casa nel senso più intenso e vero della parola. Quel luogo in cui siamo veramente noi stessi, dove le barriere che creiamo crollano, dove non c’è bisogno di maschere o di illusione, dove l’essenza più profonda del nostro essere emerge.

Un libro sul passato, sui legami, sull’importanza della memoria, anche come trasmissione di ciò che è stato.

Un romanzo che mi ha toccato dentro, mi ha commosso, mi ha fatto pensare e mi ha ricordato come spesso prendendoci cura di qualcun altro, curiamo anche noi stessi, le nostre ferite, accantonando per un attimo il nostro io per rifletterci in chi ci sta davanti.

Imperdibile

L’equilibrio delle lucciole di Valeria Tron – Salani Le Stanze (2022) – pag. 394

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