Negli ultimi due anni mi sono trovata a recuperare una serie di romanzi per ragazzi, classici della letteratura dell’inizio del novecento. Dopo aver conosciuto l’incredibile ottimismo di Pollyanna e l’irresistibile energia di Anne di Tetti Verdi, mancava all’appello la piccola Sara Crewe.
Sara ha sette anni quando il padre l’accompagna a Londra nel collegio di Miss Minchin per farla studiare. Il Capitano Crewe adora la sua bambina e la vizia come una piccola principessa, cercando di soddisfare ogni suo piccolo o grande capriccio ed esaudendo desideri anche quando non sono nemmeno richiesti. Per questo Sara ha un guardaroba degno di una regina, una cameriera francese, un calesse e un cavallo e una meravigliosa bambola con un corredo identico a quello della sua padroncina. Per lui niente è troppo per la sua bambina.
La direttrice del collegio, pur non avendo simpatia per la bambina, asseconda questo sfarzo e mette in mostra la bambina di fronte ai genitori degli altri allievi. Eppure Sara non è altezzosa, è conscia della sua fortuna ed è sempre pronta ad aiutare chi è difficoltà.
Quando per un rovescio di fortuna, le miniere di diamanti acquistate dal padre si rivelano improduttive e, a causa di questo, il capitano Crewe muore, la piccola Sara si trova sola al mondo e anche totalmente priva di mezzi. Miss Minchin immediatamente caccia Sara dalla sua camera, le sequestra tutti i suoi averi e la retrocede a fare da tuttofare nel collegio. La vita dorata della bambina subisce una dura sterzata, costretta a dormire in una soffitta, piena di spifferi su un vecchio e bitorzoluto materasso, con delle misere e lise coperte, vestita dell’unico abito nero del suo guardaroba, seppur stretto e corto.
Sara però non si perde d’animo, in cuor suo sente di essere ancora una principessa, accetta tutti i compiti che le vengono affidati, non degna di attenzioni il trattamento umiliante che le riserva la signora Minchin e alcune delle sue vecchie compagne, trova conforto in alcune amiche, come Ermengarde e Lottie, ed è lei a confortare loro e la sua compagna di sventura Becky, inventando storie magnifiche ed abbellendo la realtà, grazie alla sua prodigiosa immaginazione.
Sara trova conforto dalla presenza degli uccellini a cui getta briciole e di una famiglia di ratti, capeggiati da Melchisedec a cui riserva sempre un po’ della scarsa razione di cibo che la cuoca le riserva.
Nonostante il freddo, la fame, il logorio di lavori troppo pesanti per la sua età e per il poco cibo che riceve, Sara cerca di resistere, continua a studiare, cerca di non perdere la speranza e quando la realtà sembra sopraffarla si rifugia nella sua fervida immaginazione per trovare la forza di non scoraggiarsi.
E la sua forza d’animo verrà infine ripagata: troverà una casa accogliente pronta ad accoglierla nuovi amici e una nuova consapevolezza che le farà tendere la mano a chi è in difficoltà.
Frances H. Burnett, autrice tra l’altro del bellissimo Il giardino segreto, ci regala una protagonista resiliente e coraggiosa e tra le pieghe della storia denuncia la piaga del lavoro minorile in Inghilterra e il destino terribile dei bambini indigenti costretti ad elemosinare per le strade, al freddo e al gelo, nell’indifferenza di tutti o obbligati a lavori massacranti per pochi spiccioli al giorno.
Ed è proprio l’immaginazione ad accomunare Sara alle altre due orfane letterarie Anne e Pollyanna? Tutte e tre trovano nel fantasticare ad occhi aperti la via d’uscita dagli inciampi dell’esistenza. Il sogno le aiuta a a sopportare una vita dura, inadatta alla loro età e alle loro forze.
Il loro modo di fare e sognare le rende tre personaggi da cui farsi ispirare quando abbiamo l’impressione che la vita sia diventata troppo dura. La realtà può destinarci cose orribili ma se sapremo indossare un paio di occhiali rosa potremo adornare ogni orrore e immaginare di essere sempre e comunque piccole principesse, per lo meno nel cuore.
Una piccola principessa di Frances H. Burnett – traduzione di Andrea Gide – illustrazioni di Massimiliano Modica – Caravaggio editore (2023) – pag. 326