Alessandro Magno morì a soli trentatré anni senza aver in nessun modo pensato alla propria successione.
Il loro fuoco fu il primo a essere spento. Nel tempio di Mitra, custode dell’onore del guerriero, signore della lealtà e della parola data, un giovane sacerdote si trovava nel santuario con in mano una brocca d’acqua. Sopra l’altare era scolpito il simbolo del sole alato in guerra con l’oscurità, era dopo era, fino alla vittoria finale. Il fuoco ardeva ancora alto, perché il giovane l’aveva alimentato in maniera smodata, come se le fiamme avessero il potere di riaccendere la vita del re. Sebbene avesse ricevuto ordine di estinguerlo, posò la brocca, corse verso una cassa di incenso arabico e ne gettò un pugno tra le fiamme per sprigionare la fragranza. Ultimo degli officianti, attese che la sua offerta si levasse nel cielo estivo prima di versare l’acqua sibilante sulle braci.
Era giovane, era passato indenne da ferite gravissime, ma nonostante la pericolosità della sua vita non aveva mai messo in conto di essere mortale.
Proprio per questo al momento della morte si creò un immenso vuoto di potere e una corsa sfrenata ad accaparrare e controllare l’immenso territorio che aveva conquistato.
Fino a quando rimase in vita la slealtà, l’ambizione sfrenata, la spregiudicatezza di chi lo circondava furono tenute a freno. Morto lui i suoi successori tornarono alle antiche lotte tribali e familiari, tipiche della storia macedone, per conquistare il trono.
Ciò diede origine a circa dieci anni di sanguinose lotte che portarono alla morte di quasi tutti i pretendenti. L’unico che rimase al di fuori delle faide fu Tolomeo che per lungimiranza si accontentò dell’Egitto, terra che riteneva congeniale e molto amata, dove continuò a vivere e regnare dopo avervi fatto trasportare il corpo di Alessandro.
Ancora una volta Mary Renault stupisce i lettori della sua trilogia, cambiando ancora una volta tono e registro narrativo e tornando ad uno stile descrittivo, che aveva abbandonato ne Il ragazzo persiano per dare voce alla passione e all’amore di Bagoa. In queste trecento pagine ricostruisce i dieci anni, successivi alla morte di Alessandro, che portarono all’annientamento dell’impero da lui faticosamente conquistato e consolidato, tratteggiando i vari protagonisti, amici, generali, parenti, che erano stati delineati in Fuoco dal cielo, resi ciechi dalla sete di potere e dalla voglia spropositata di dimostrare la propria grandezza.
Dalla regina Olimpia, che nel vuoto di potere seguito alla morte del figlio cerca di far valere la sua autorità e la sua sfrenata e folle ambizione. Ad Arrideo, fratellastro di Alessandro, che alla sua morte salì al trono con il nome del padre Filippo, sebbene soffrisse di turbe mentali e di epilessia. Una figura debole, che aveva seguito il famoso fratello durante la campagna in Asia, ma che fu utilizzato come una marionetta nelle contese per il potere. Prima da Perdicca poi dalla moglie Euridice.
Dalle due mogli di Alessandro, entrambe incinte di un suo erede, Rossane figlia di Oxiarte, satrapo della Battriana, regione montuosa dell’Asia, e Statira figlia di Dario. A Cassandro, figlio di Antipatro, reggente della Macedonia, che si era sempre sentito in competizione con Alessandro e che mal aveva tollerato la sua ascesa e che ora vedeva l’occasione che aspettava da una vita di prendere il potere.
Violenze inusitate, fame di potere, arrivismo, incapacità di gestire il grande sogno e l’immenso progetto di Alessandro animano queste pagine, restituendo tutta la confusione, lo sbigottimento, il dolore seguito alla morte improvvisa del grande condottiero, seguite dalla miopia dei suoi generali che, senza il suo acume politico, non seppero mantenere intatto quell’impero smisurato e depauperarono in pochi anni tutte le conquiste realizzate dal Macedone.
Giochi funerari di Mary Renault – Mondadori (2023) – pag. 297 – traduzione di Maria Grazia Bosetti