Indimenticabile Violette

Un romanzo che si svela a poco a poco e un personaggio femminile tra i più belli mai letti.

Mi chiamo Violette Toussaint. Facevo la guardiana di un passaggio a livello, ora faccio la guardiana di un cimitero. Assaporo la vita, la bevo a piccoli sorsi, come un té al gelsomino con un po’ di miele. E la sera, quando il cancello del cimitero è chiuso e la chiave appesa alla porta del bagno, sono in paradiso.

Violette è una donna che nella vita ha avuto solo calci. La sua lotta è iniziata appena nata, data per morta e messa per sbaglio su un termosifone, dove riprende vita, abbandonata dalla madre, è cresciuta fra tante famiglie affidatarie, senza affetto, senza sostegno. Eppure è una donna luminosa, solare, piena di vita, veste l’estate sotto e l’inverno sopra. La incontriamo mentre si prende cura delle tombe, sistema i fiori, consola, offrendo una tazza di tè o una frase gentile, i familiari o gli amici prostrati dal dolore. Fa la custode di un piccolo cimitero in Borgogna. La sua famiglia sono i becchini, gli impresari delle pompe funebri, il prete. Nella sua casa accogliente e nel suo orto rigoglioso hanno trovato riparo gatti randagi e cani che non sono riusciti ad abbandonare il loro padrone. La sua porta è sempre aperta per chi cerca un fiore, un sorriso o una parola di conforto.

Pur essendo ambientato in un cimitero e parli di morte non è un libro triste, anzi, è un libro che fa assaporare la vita, un vero e proprio inno alla vita.


Parlo da sola. Parlo ai morti, ai gatti, alle lucertole, ai fiori, a Dio (non sempre gentilmente). Parlo a me stessa, mi interrogo, mi chiamo, mi faccio coraggio.

Non rientro negli schemi. Non sono mai rientrata negli schemi.

Violette non può non entrare nel cuore. Una donna che dalla vita ha subito di tutto, eppure riesce a mantenere inalterato il suo sguardo limpido, a mantenere una gioia di vivere, seppure minata dalla inevitabile malinconia. Una donna che avrebbe tutti i diritti di essere arrabbiata, furiosa, cattiva con la vita, eppure non si inaridisce, non si incattivisce, continua ad essere presente ed aperta a chi va da Lei in cerca di una parola di conforto, di un abbraccio.

Una donna che a sua volta ha trovato una persona Sasha, il vecchio guardiano del cimitero, che le ha insegnato a prendersi cura delle piante, le ha donato una serie di perle di saggezza, che non hanno nulla di banale o di scontato e grazie a quello le ha permesso di riappropriarsi di se stessa e di dare un senso anche al dolore.

Un inizio lieve, per una storia che via via cede il passo ad una struttura stratificata su più piani narrativi: oltre all’incrocio tra passato e presente, c’è anche un intreccio di vite e un indagine che si risolverà solo nelle ultime pagine.

Se un unico neo si può trovare a questo romanzo che rimane dentro e a cui non si può fare a meno di ripensare anche a distanza di tempo è la storia di Irene e Gabriel, una inutile digressione che poteva essere semplicemente raccontata senza ulteriori approfondimenti che appesantiscono e non aggiungono nulla alla storia principale.

Una storia di resilienza, seppure di questo termine ormai si abusi fin troppo. La storia di una donna che non si piega di fronte agli orrori della vita, ma che riesce ad andare avanti, a trovare in tutto, persone in un cimitero, la bellezza che spesso ci sfugge.

Assolutamente consigliato.


Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin – edizioni e/o (2019) – pag. 476

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