Ho acquistato il primo libro di questa saga spinta dalla curiosità e dalle mille foto e post dedicatigli all’inizio del 2019. Infondo, mi sono detta, il fantasy mi piace, le saghe pure, le copertine sono strabilianti, mi lancio, ma compro solo il primo, se non mi piacesse, mollo la saga. Nel luglio 2020 mi sono decisa, era arrivato il momento di imbarcarmi alla scoperta delle Arche. E? Preso in mano questo volume non l’ho più mollato fino alla fine.
La storia di Ofelia, una ragazza goffa e riservata, sempre imbacuccata nella sua lunghissima sciarpa, e Thorn scostante, brusco e parecchio antipatico, mi ha avviluppato. Volevo saperne di più sulle arche staccatesi a causa della lacerazione, sulla lettura degli oggetti, sul passare attraverso gli specchi, volevo scoprire il mondo di illusioni, i doppio giochi, gli intrighi, le ambiguità, conoscere i vari clan che imperano al Polo, dove nulla che è come appare… insomma, sono stata trascinata nella storia come non mi capitava da tempo. Erano anni che non rimanevo sveglia fino all’una di notte senza riuscire a chiudere un libro perché completamente ammaliata.
Sono stata rapita da questa storia appassionante, conquistata dalla costruzione di un mondo incredibile e assolutamente originale, dall’idea di queste arche sospese, residuo della nostra vecchia terra e degli spiriti di famiglia che le governano.
Ho trepidato con Ofelia, vissuto i suoi dubbi e le sue incertezze nella scoperta di un mondo ostile e soprattutto imprevedibile, creato dai poteri illusori. Ho diffidato della corte del Re Faruk e dei mille intrighi dei cortigiani di Chiardiluna. Mi ha incuriosito la figura di Thorn, così rigido, freddo e apparentemente distaccato e i mille segreti che sicuramente nascondeva dentro di sé.
Ho letto subito il secondo e sebbene mi sia piaciuto l’ho trovato meno avvincente del primo, troppe domande senza risposta, troppi misteri che si sommano l’uno all’altro.
La Dabois ha sicuramente la grande capacità di tratteggiare un mondo e inserire qua e là indizi che spieghino che cosa è accaduto, perché c’è stata la lacerazione e si sono create le Arche. Capacità che diventa limite nel momento in cui non fornisce quasi nessuna spiegazione e lascia il lettore sperso in una nebbia di domande (Perché Il passato va rimosso? Gli spiriti di famiglia sono privi di memoria proprio per evitare che possano ripensare al passato? Perché le arche si vanno disfacendo?), che cerca confuso di capire qualcosa di più. Le nostre domande sono anche quelle che si fa Ofelia, così come l’impressione che tutto quello che conosce non sia completamente reale e che gli spiriti di famiglia, o le Decane o qualcun altro manipoli volontariamente alcuni argomenti per evitare che queste domande trovino riposta diventa sempre più, oltre che una possibilità, una certezza.
Alla fine del secondo volume le domande superano di gran lunga le risposte. Il puzzle è sempre più incompleto.
Thorn ha nascosto ciò che sapeva per proteggere Ofelia, ma la ragazza non intende essere protetta. Nonostante la sua goffaggine è intenzionata a saperne di più.
Alla fine l’unica certezza è che Chiardiluna sia un mondo effimero costruito sulle illusioni che distraggono, danno piacere ma imprigionano, rendendo impossibile uscirne. Sulle Arche niente è ciò che sembra.
Per questo ho aspettato quasi cinque mesi prima di decidermi a riprendere in mano il terzo.
E lì è stata folgorazione. Lo ritengo il migliore della serie. Il più compiuto, pieno di colpi di scena, di trovate originali, ma anche di riflessioni. Perché Babel apparentemente è democratica, multirazziale, aperta a persone provenienti da ogni dove, tecnologicamente avanzata, ma in realtà è retta da un ordine e una gerarchia terribile, una sorta di dittatura nascosta, i cui effetti si riverbereranno nell’ultimo capitolo.
Nel terzo alcuni pezzi del puzzle vanno finalmente al loro posto e l’indagine che la goffa animista conduce è decisamente avvincente. Una volta iniziato si ha solo voglia di proseguirlo e vedere come va a finire, anche perché non mancano colpi di scena e avventure rocambolesche.
Poi spinta dall’entusiasmo del terzo volume mi sono gettata a capofitto nell’ultimo. Un romanzo denso, pieno di colpi di scena, di teorie, di rivelazioni, un libro estremamente filosofico. Non è un libro perfetto e capisco le perplessità dei critici, ma a me sinceramente è piaciuto. Ha risposto a tutte le domande, ha fornito delle spiegazioni, arzigogolate, complesse ma plausibili. Ha chiuso la storia. E’ vero strada facendo l’attenzione si è spostata verso altri personaggi e il finale lascia un po’ d’amaro in bocca ma l’ho comunque trovato credibile.
La Dabois ha senza ombra di dubbio l’innegabile capacità di tratteggiare un mondo e renderlo talmente vivido e reale che pare di veder comparire sulla pagina ciò che descrive. C’era riuscita benissimo con il gelo e l‘illusorietà del Polo, ci riesce ancora meglio con Babel, un’arca cosmopolita e piena di vita, in cui i robot fanno i lavori manuali e le menti più eccellenti lavorano nel grande Memoriale, metà faro e metà biblioteca.
Altro pregio? Aver dato vita ad una serie di personaggi ben caratterizzati a cui non si può non affezionarsi: l’impacciata Ofelia, il gelido Thorn, la bellissima Berenice, l’affascinante Archibald, ma anche la Zia Rosaline, Renard, Gaela, la determinata Elizabeth, lo iellatore Blasius, il tenero Ambroise e il coraggioso Octavio.
Libro dopo libro la sensazione è stata che l’autrice volesse alzare l’asticella, da storia fantasy a metafora del nostro mondo: la folle corsa agli armamenti che porta alla distruzione totale, la presunzione di volersi sostituire a Dio che genera mostri, la ricerca di controllo che poi sfugge con conseguenze inaspettate, la società cosmopolita basata sull’uguaglianza che è solo apparente perché il controllo e il potere sono nelle mani di pochi, l’istruzione come manipolazione delle idee…
Se siete alla ricerca di un fantasy, che vi trasporti in un mondo fantastico, con personaggi che si evolvono e crescono libro dopo libro, avete voglia di avventura e colpi di scena, io una possibilità a questa saga gliela darei