Una ferita aperta

Il 23 settembre 1989 Silva Vela, una diciassettenne disinibita e caparbia, definita dalla zia “una brigante”, esce di casa al tramonto per recarsi alla festa di pescatori del suo piccolo paese, vicino a Spalato, a picco sul mare, e non ritorna più a casa. Il giorno successivo, il padre Jacov, il fratello gemello Mate e poi l’ispettore Gorki Săin iniziano una frenetica ricerca della ragazza. Dopo la festa, l’ultimo ad averla vista viva è il figlio del fornaio Adrijan Lekaj, con cui ha trascorso la serata e che l’ha vista scendere verso il paese. Poi più nulla.

Nonostante niente venga tralasciato dalla Polizia, siano sentiti tutti gli abitanti del posto e gli alibi di tutti vengano analizzati e passati al setaccio, la ragazza è svanita. Che cosa è successo davvero a Silva? Si è allontanata volontariamente, come una testimone oculare dichiarerà sei mesi dopo la sua scomparsa, è stata rapita ed è trattenuta a forza da qualche parte, o è morta in circostanze tutte da chiarire?

Nel frattempo la ragazza è diventata maggiorenne e la Jugoslavia si avvia verso il lento processo di disfacimento che porterà alla guerra civile e alla fine della sua storia come nazione unitaria e nessuno ha più voglia, tempo o risorse per cercare una ragazza che pare aver scelto di andarsene all’estero, allontanandosi dalla famiglia e dalla vecchia vita. Solo i genitori e il fratello gemello Mate continueranno per anni a tappezzare i muri di mezza Europa nella speranza di trovare una traccia di Silva. E sempre Mate imposterà tutta la sua vita, fino a veder disgregarsi il matrimonio, inseguendo ogni labile traccia, pur di ritrovare la sorella.

Un romanzo che parte in sordina, ma che a poco a poco immerge il lettore nel senso di sfinimento e di impotenza che investe ogni personaggio della storia. L’autore sceglie di dare voce a tutti i protagonisti che, nessuno escluso, non si sono più risollevati dalla sparizione di Silva. Chi perché accusato di essere coinvolto; chi perché incapace di ricominciare a vivere senza sapere che cosa è successo alla figlia, alla sorella; chi perché ritenuto incapace di svolgere e portare a compimento l’indagine.

Tutte quelle voci che all’inizio, mi avevano disorientato, come piccoli pezzetti di puzzle, frammenti apparentemente senza senso, solo alla alla fine trovano una collocazione che, nel restituire l’immagine unitaria, permettono di cogliere l’intensità e la violenza della tempesta che la sparizione di Silva ha causato.

Inevitabile porsi la domanda di quanto debba essere terribile la sparizione di chi si ama, il dubbio che, anche a distanza di tempo, continua a scavare nella mente: sarà ancora viva? Si sarà allontanata volontariamente? Se lo ha fatto perché non dare un segno di vita? Speranza che si alterna a disperazione. Ma anche rabbia, incomprensione. Meglio una tomba su cui piangere che una porta socchiusa che non lascia intravedere che cosa c’è dietro.

Soltanto gli anni porteranno una risposta a ciò che è accaduto quella notte di settembre e le tessere del mosaico andranno finalmente a posto. Seppur un posto e una pace per chi è rimasto coinvolto non potrà più esserci.

Guardò ancora una volta il volantino. All’epoca della scomparsa di Silva, volantini del genere si potevano vedere ovunque – sulle tettorie, sui pali della luce, sulle vetrine. (…)

Tutti i volantini erano come quelli che ora vedeva vicino all’ingresso del bagno. Riportava il nome della scomparsa, la descrizione di cosa indossava al momento della sparizione, il contatto telefonico con il prefisso della Jugoslavia. E quell’immagine del suo viso – l’espressione imbronciata, il ciuffo sopra la fronte. Altri volantini erano svaniti da tempo, tolti, strappati o portati via dalla pioggia. Vi era rimasto solo quello, lontano da casa, in una altro Stato, al di là del fronte, vicino alla porta del bagno. Nel frattempo erano trascorsi sei anni, due guerre. Per due volte il fronte era passato attraverso quella valle, si erano succeduti due eserciti. Mentre le formiche gialle incendiavano le case di quelle nere, e viceversa, il foglio con l’immagine di Silva continuava a rimanere intatto vicino all’ingresso del bagno. Mentre gli altri morivano e invecchiavano, Silva era l’unica a restare giovane, congelata in quel quadrato bianco.

Un romanzo che oltre a mettere in scena un dramma familiare, avvince il lettore con la tensione di un giallo, e, seppur le dedichi solo poche pagine, racconta la dissoluzione della Jugoslavia, la follia della guerra e il disfacimento di una società e di un’epoca, soffermandosi sul cambiamento sociale ed economico che ne seguì.

Se devo trovargli un neo è l’elemento storico appena accennato, ovviamente l’intento del libro non era quello di raccontare il conflitto della ex Jugoslavia ma forse qualche parola in più avrebbero permesso una maggiore messa a fuoco, di una guerra che è stata a noi vicinissima sia geograficamente che storicamente ma di cui conosciamo davvero molto poco.

Comunque bello, amaro, devastante ma bello

Acqua rossa di Jurica Pavičić – Keller (2022) – pag. 368

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