Antigone: eroina del dissenso

Antigone l’indomita figlia di Edipo, ostinata e inflessibile. Colei che vede morire la madre e disfarsi la famiglia. Colei che accompagna il padre cieco nel suo esilio. Colei che, dopo aver visto l’insana guerra fratricida, sfida la legge della polis pur di poter dare sepoltura al fratello Polinice. Colei che sceglie l’amore “Non per condividere l’odio ma per condividere l’amore sono nata”.

Antigone, soltanto a pronunciarlo il nome della figlia di Edipo, porta alla memoria la caparbietà di una donna che rinuncia a tutto, sceglie la morte pur di portare avanti il suo obiettivo.

Antigone combatte da sola l’ottusità del mondo maschile, si schiera contro Creonte e contro Tebe, contro la legge, rinuncia ad una vita tranquilla, ad un amore, per terminare la sua battaglia. Suo fratello deve essere sepolto, costi quel che costi. Per il mondo greco la mancanza di sepoltura comportava che i defunti non trovassero pace e non potessero entrare nell’aldilà. E come tale era un obbligo imprescindibile per chi amava il defunto.

Simbolo della contrapposizione tra legge naturale e legge positiva: tra le leggi che fanno parte dell’uomo, le leggi etiche sancite dalla coscienza individuale sempre valide senza limitazioni temporali o spaziali e le leggi vigenti in uno stato, per tanto contingenti e legate ad un determinato momento storico e geografico; tra la pietas che impone la sepoltura dei morti e il nomos che ordina di non seppellire il nemico; tra quei principi morali che affiorano dalla notte dei tempi e le norme emanate dagli uomini.

La sua grandezza è di ergersi sola, indifesa, già sconfitta eppure decisa a portare avanti i propri convincimenti, di combattere e morire per le proprie idee, per affermare i propri principi. La sua è un’opposizione senza speranza. Una lotta che, nonostante sia pienamente consapevole delle conseguenze, non esita nemmeno un attimo ad intraprendere. Se una legge, seppur imposta da un’autorità, si rivela iniqua e contraria a quel cuore di principi che rendono l’uomo tale, l’unica soluzione è combattere per eliminarla, farsi portavoce della sua ingiustizia, a prescindere dalle conseguenze. Antigone diventa così la paladina di ogni battaglia sociale, di ogni lotta fatta in nome di una legge del cuore che si contrappone ad una legge ingiusta, perché Antigone incarna una dimensione politica. La sua opposizione a Creonte, nasce come necessità morale, come esercizio del libero arbitrio, lanciando il dilemma immortale se è consentito al cittadino disobbedire ad una legge dello Stato quando la trova illegittima e contraria alla sua etica. Ecco la grandezza di Antigone, ecco la sua ribellione. Ecco il richiamo ad Antigone ogni volta che una legge contraria alla morale, ai principi che dominano la convivenza civile dall’albore del tempo, cerca di imporsi.

Nella tragedia, alla giovane e forte Antigone si contrappone Creonte granitico, imperturbabile, nuovo regnante di Tebe, ma anche zio della ragazza, che alla fine perde più di quanto non perda la stessa Antigone. Uomo arrogante, incapace di quella duttilità femminile di comprendere che in alcuni casi è meglio cedere, disturbato dalla forza della ribellione di Antigone, turbato che una donna possa opporsi così violentemente e in modo risoluto, travolto dall’impeto e dal senso di giustizia che alberga nella giovane donna.

Ne deriva una delle più potenti e meravigliose storie tramandate dall’antichità, nonché uno dei personaggi femminili più sublimi e straordinari che la letteratura di ogni tempo ci abbia mai regalato.

Antigone da sempre è l’eroina romantica per eccellenza, simbolo della dicotomia tra famiglia e Stato, pronta a sfidare le leggi della città e a sacrificare se stessa in nome delle leggi non scritte degli dei (àgrapta nòmima). Considerata da Hegel come “l’opera d’arte più perfetta che lo spirito umano abbia mai prodotto”. Per questo in tutta la storia della letteratura ritroviamo infiniti letterati e pensatori che a lei hanno dedicato un’opera: dal mondo romano, con Seneca e Stazio, al medioevo, dal rinascimento al ‘700, da Racine ad Alfieri, fino al romanticismo che pone l’eroina al centro di svariate opere, Holderlin, Camille Saint-Saens, Hegel, Kierkegard, riflettono sulla grandezza del suo gesto, fino ad arrivare a Cocteau e, in epoca nazista, Anouilh e Brecht che vedono in Antigone l’archetipo di qualsiasi ribellione all’oppressore, al liberticida.

Come dice nelle parole a lei dedicate Dacia Maraini ne I giorni di Antigone

Alle disparità e alle intolleranze oppose la pietà e il diritto all’amore fraterno contro le leggi arroganti di un Signore della guerra Antigone reagì senza violenza, con il solo meraviglioso gesto di ricomporre e seppellire un corpo morto. Non c’è niente di ideologico nella pietà di Antigone. Eppure il Signore della guerra lo interpretò come qualcosa di profondamente eversivo che metteva in dubbio la legittimità del sovrano. A volte è così: le azioni più semplici e umili mirano le certezze su cui si basa l’autorità di un capo, la consuetudine di una legge cittadina.

Purtroppo le parole non hanno la perfezione e la forza assoluta di un gesto come quello di Antigone… le parole non sono mai totali e definitive come le azioni concrete e fisiche”.

E con la figura di Antigone ci è cimentata anche Valeria Parrella, che, nel 2012, ha messo in scena un atto unico, che rinnova e riscrive, ancora una volta, il mito di Antigone. Rappresentato per la prima volta al Teatro Mercadante di Napoli il 25 settembre con la regia di Luca De Fusco, è stato pubblicato da Einaudi.

«Non confondere giustizia e verità, signore, perché la giustizia si fonda sulla verità, ma la verità va cercata.»

Valeria Parrella, nel suo brevissimo ma intenso libriccino riprende sia la struttura della tragedia di Sofocle (prologo, parodo, episodi, stasimi, esodo), che l’essenza. Qui non c’è Antigone che vuole seppellire il corpo del fratello Polinice, ma una sorella che decide di staccare la spina che tiene in vita artificialmente il fratello, consapevole che quel corpo su un letto di ospedale, non è più nemmeno l’ombra dell’uomo che ha amato e con cui ha condiviso tanti ricordi. Ma il suo gesto si scontra con la legge che la considera un’assassina e con il disprezzo del governatore della città, nonché zio della ragazza.

«La vita è un soffio che esce, signore, non uno che entra»

Come tutti i temi a rilevanza etica, anche l’eutanasia, divide. C’è una legge dello Stato che la vieta, che la accomuna e la appaia all’omicidio, e c’è una legge morale, che trova l’accanimento terapeutico, una violenza non necessaria imposta sul corpo di chi si ama, a cui è giusto e doveroso porre fine.

«Ma non è la più bella delle opportunità che si danno ad un uomo quella di ripensare a ciò che ha fatto, ascoltare ciò che l’altro dice, porre ogni giorno una coerenza nuova perché qualcuno ti ha aperto gli occhi?»

Con una prosa stringata, ridotta all’essenziale ma suggestiva e poetica, l’autrice napoletana regala una nuova lettura del mito, riconfermando, se ce ne fosse bisogno, come i miti greci continuino a rappresentare l’archetipo dei nostri sentimenti più profondi e ad illuminare la nostra percezione di noi stessi e del mondo.

Antigone di Sofocle a cura di Dario Del Corno, traduzione di Raffaele Cantarella– Oscar Mondadori (1982) – pag. 370

Antigone di Valeria Parrella – Einaudi (2012) – pag. 105

I giorni di Antigone di Dacia Maraini – Rizzoli (2006) – pag. 204

Antigone. La ragione di Stato a cura di Sonia Macrì (2019) – Mondadori– pag. 152

Antigone Variazioni sul Mito a cura di Maria Grazia Ciani (2000) Marsilio editore- pag. 186

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