In una calda estate, a Palma Campania, poco distante da Napoli, nella vecchia casa di famiglia dove vive la nonna con la badante moldava, si ritrovano tre cugini, che non si vedono ormai da anni. Ognuno dei tre si è rifugiato lì alla ricerca di un po’ di quiete, per allontanarsi da una vita che non è andata come voleva, per riprendere fiato e possibilmente riorganizzare la vita futura.
Il primo ad arrivare è il cinico Enrico, un moderatore di contenuti social, lui assapora già la morte della vecchia nonna, pronto ad accaparrarsi la casa e ritrovare un senso ad una vita che dopo essere stato abbandonato dalla fidanzata è andata completamente alla deriva.
I suoi piani sono sconvolti dall’arrivo della cugina Margherita, o meglio Margot, che da anni, dopo aver tagliato i ponti con la famiglia, vive a Parigi, apparentemente ben fidanzata e decisamente realizzata, ma anche lei con parecchi segreti e tanti nodi nella sua vita a prima vista perfetta.
L’arrivo di Pasquale, il più giovane dei cugini, appena laureato in Agraria, con tante idee su come far tornare a vivere il giardino e le terre intorno alla casa di famiglia, completa e riunisce il terzetto che tante estati ha trascorso nella grande casa di campagna.
I tre cugini nonostante siano cresciuti insieme e fossero un terzetto inseparabile, durante le lunghe estati nella casa dei nonni al tempo sempre piena di gente, sono ormai degli estranei, troppi segreti e troppe bugie, oltre che tanti anni di silenzio, hanno danneggiato l’intesa che c’era tra loro. Potrà la convivenza forzata e la necessità di interpretare le frasi sibilline della nonna ricreare un legame spezzato?
“Invece di andare avanti, di godere del fatto di avere quattro zampe e un muso, perdeva tempo a cercare qualcosa che non poteva più avere. La mancanza è così, la senti e la vedi più di quel che hai sotto gli occhi tutti i giorni. Noi siamo il cane senza coda che la nonna diceva di vedere. Fermi sul posto a rincorrere cose che non abbiamo più. Enrico il figlio. Margot sua madre. E io? La tranquillità dei diciassette anni e trecentosessantaquattro giorni. Cosmo è il cane senza coda che la nonna desiderava ritrovare perché della mancanza si ha sempre memoria. Non lo so se gli alberi ne hanno, ma se ce l’avessero potrebbero raccontarci un sacco di cose. Quelli centenari c’erano durante le due guerre, c’erano durante le Rivoluzioni, c’erano quando bruciavamo le streghe e i libri. Quelli millenari c’hanno visto che non eravamo neanche ancora uomini, e potrebbero finalmente svelare il mistero dell’evoluzione, confermare le teorie più diffuse o spiazzarci con qualche verità inaspettata”.
Francesco Spiedo riesce a passare dal tono scanzonato alla malinconia, per raccontare sia le difficoltà della generazione dei trentenni, sia il tema della memoria che spesso riaffiora proprio al tramonto della vita, sia il rapporto di simbiosi che si crea trascorrendo insieme tanto tempo, in questo caso le lunghe estati lontano da tutto, un legame che il tempo e la distanza hanno corroso e modificato, ma che a poco a poco riprende fiato e spazio, anche grazie alla presenza della nonna, che parlando per metafore e spesso in modo oscuro, pare quasi una sorta di Sibilla cumana, una moderna Cassandra, un oracolo da interpretare, che pronostica e vaticina per chi riesce a comprendere le sue strane frasi.
La nonna, apparentemente non più lucida, ha un ruolo essenziale per spiegare molti dei misteri familiari, determinata a riprendere in mano la propria vita prima della sua fine.
Grazie anche alla struttura che alterna le voci di tutti e quatto i protagonisti e permette di conoscere meglio cosa nasconde l’atteggiamento scostante di Enrico, lo stile evasivo e sfuggente di Margot e la pacatezza di Pasquale, e le strane frasi, misteriose e ellittiche, di nonna Anna, Non muoiono mai si è rivelata una lettura divertente e ricca. Una storia di famiglia, che conduce il lettore anche nella Napoli del 1944 tra bombardamenti, l’arrivo degli americani, il mercato nero, l’estrema povertà e la mancanza di mezzi di gran parte della popolazione partenopea.
Come sempre solo conoscendo il passato e cosa si nasconde nelle sue pieghe, si può affrontare il presente e guardare avanti verso il futuro. E l’apparente claustrofobia che pare condizionare e bloccare i tre giovani protagonisti si scioglierà con la soluzione dell’enigma familiare.
Francesco Spiedo ci regala un romanzo ironico e profondo, che parla di legami familiari spezzati, di lontananze e nostalgie, di segreti custoditi; un carosello di sentimenti che mette in moto una strana convivenza: tre nipoti che non si vedono da anni e una nonna novantenne che sembra meno lucida di quanto in realtà sia.
Ma chi non muore mai? Se all’inizio paiono essere i vecchi, quella generazione che continua a controllare la vita dei più giovani, che muove le file del loro futuro, che campa grazie alla pensione, osservando quasi con malanimo quella gioventù che non comprende e che sotto sotto invidia; alla fine a non morire sono i ricordi, le passioni, gli amori che continuano a distanza di anni e di tanti avvenimenti ad essere il motore di tutto.
“Chi tiene un briciolo di sale in zucca”, riprende la nonna guardando sempre e solo Margherita, “si accorge subito che la vita non ha senso. […] Però poi ci sta una differenza”, dice la nonna con lo scialle troppo pesante sulle spalle e la faccia che è tornata cadaverica, ora che la rabbia nei miei confronti è sparita dagli occhi e dalla bocca. “Chi tiene solo un poco di intelligenza si lascia sconfiggere dall’inutilità, si avvilisce e non vive più.” Quest’ultima frase la dice guardando verso di me, ma faccio finta di niente come se il fatto non fosse il mio. “Chi di intelligenza ne tiene qualche grammo in più, invece, intuisce che la vita è bella proprio perché non tiene senso. È bellissima. Proprio perché non tiene scopo.” Non la vedo ma sono sicuro che tiene gli occhi puntati sulla mia testa. “Tutto puoi fare. E che ci può stare di più bello della libertà di fare quello che vuoi? Almeno voi.” Ed è la prima volta, che tutti e tre, senza urlarci a presso, guardiamo nella stessa direzione. “Voi che potete, non vi fate fottere.”
Non muoiono mai di Francesco Spiedo – Fandango (2022) – pag. 304