Un viaggio surreale

Ci sono romanzi che, come un buon vino, devono decantare prima di poterne parlare. Ho letto Kafka sulla spiaggia di Marukami ormai più di due mesi fa e ho dovuto fare sedimentare le tante impressioni che questa lettura mi ha lasciato, prima di provare a buttar giù le mie impressioni.

Un libro strano fatto di sovrapposizioni, di elementi per certi versi assurdi e privi di logica, ma anche ricco di riflessioni, di citazioni, di teorie filosofiche, di brani musicali. Un romanzo da cui si esce sicuramente arricchiti e che, probabilmente, va letto nella sua essenza senza farsi troppe domande, senza cercare a tutti i costi di trovare una spiegazione, di arrivare per forza ad un qualche senso nascosto.

Una lettura da vivere e assaporare come un viaggio. Un viaggio analogo a quello che fanno il giovane Tamura Kafka, un quindicenne deciso a scappare di casa per allontanarsi da un padre che sente lontano, e Nakata, un anziano signore rimasto per certi versi dall’animo bambino a causa di un incidente subito durante la seconda guerra mondiale.

Due storie parallele che però non si intersecano mai: seppur paiano più volte destinate ad incrociarsi, in realtà rimangono distinte, anche se gli effetti degli atti compiuti dall’uno si riversino nella storia dell’altro.

Tamura Kafka, un ragazzo molto più maturo della sua età, scappa per allontanarsi da un padre, artista pazzoide, che gli ha profetizzato, come una maledizione: “Un giorno tu mi ucciderai e giacerai con tua madre e tua sorella”. Lui sente nel profondo che se rimanesse a casa, sarebbe “danneggiato in modo irreparabile” dal rapporto superficiale ma allo stesso tempo malato con il padre. Non vuole essere costretto a cambiare, trasformandosi in qualcosa che non c’entra nulla con lui. Trova rifugio in una biblioteca immersa nella natura, luogo di conforto dove può passare il tempo leggendo senza sosta. E’ tormentato dall’abbandono subito dalla madre, che se ne è andata via quando lui aveva solo 4 anni con sua sorella, segno, per lui di non essere degno dell’affetto della madre. Come tutti gli adolescenti è alla ricerca di se stesso, della sua vera natura, di quale sia il suo scopo nel mondo. L’incontro con il bibliotecario Oshima, imprigionato in un corpo non suo, e con l’affascinante signora Saeki, saranno determinanti per spingerlo ad analizzare meglio se stesso, mettersi alla prova e comprendere alcuni meccanismi che lo animano.

Parallelamente Nakata, l’anziano signore, vive un’esistenza tranquilla, fatta di piccole abitudini quotidiane, di riti ripetuti e di colloqui con i gatti. Nakata, a seguito di un misterioso incidente accaduto quando era solo un ragazzino, non sa leggere né scrivere, ma ha appreso il linguaggio dei gatti. Si sente stupido, parla di sé in terza persona, vive del sussidio del governatore e grazie al suo dono impiega il tempo nella ricerca di gatti smarriti.

La sua esistenza viene completamente stravolta dopo un delitto sconvolgente, in cui è stato coinvolto suo malgrado, che lo costringe ad allontanarsi da Tokio. In un’area di servizio conosce Hoshino, un giovane camionista, che rimane affascinato dalla figura del vecchio, che gli ricorda l’amatissimo nonno, grazie al quale è riuscito a rimettere insieme i pezzi della sua vita, al punto di decidere di seguirlo nella sua ricerca di una misteriosa “pietra dell’entrata”.

“– Nakata non è solo stupido. Nakata è vuoto. L’ho capito solo adesso. Nakata è come una biblioteca senza un libro. Non è stato sempre così. Anche dentro Nakata c’erano dei libri. L’avevo completamente dimenticato, ma ora me ne sono ricordato. Sì. Nakata un tempo è una persona normale come tutti. Ma un giorno è successo qualcosa, e in seguito è diventato un contenitore vuoto.

Però, signor Nakata, se cominciamo a ragionare così, a me sembra che tutti, in un modo o nell’altro, siamo vuoti. Mangiamo, caghiamo, riceviamo una paga da quattro soldi per un lavoro di schifo, e ogni tanto si scopa. Punto. Che altro abbiamo? Però, detto questo, a volte, come adesso, la vita può anche essere interessante, strana. Non so nemmeno io il perché. Mio nonno diceva sempre che il bello della vita è che le cose non vanno come le vorresti tu. E non aveva torto”.

Un romanzo visionario, surreale che porta il lettore in una dimensione atemporale, in una sorta di circuito onirico, dove realtà e immaginazione, corpo e anima, tangibilità e sogno si fondono indissolubilmente.

Un romanzo ricco di spunti, un concentrato di temi, dal senso del destino al peso del senso di colpa, dall’incapacità ad accettare la vita al dolore che spezza, dall’affetto che, all’improvviso, può legare due persone diversissime alla necessità dei legami familiari.

Una sovrapposizione di richiami: dall’Edipo re di Sofocle, che Murakami analizza e ripropone nella sua storia; ai miti sulla divisione delle anime di Platone nel Simposio per cui ognuno ricerca la sua metà perduta; dalla favola di Hansel e Gretel alle teorie di Bergson sul tempo, dalla difficoltà delle opere di Schubert alla coscienza di sé di Hegel, fino al verso di Yeats “Nei sogni cominciano le responsabilità”.

Impossibile racchiudere in poche frasi la profondità e complessità di questo romanzo. Semplificando e banalizzando al massimo: un viaggio coinvolgente e stupefacente, su cui la mente torna anche a distanza di tempo.

Perché riprendendo forse la citazione più abusata dello scrittore giapponese, si esce, se non cambiati, sicuramente arricchiti dalla lettura di questo romanzo.

Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. E’ qualcosa che hai dentro.

Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto e chiudendo forte gli occhi per non fare entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l’altro. Non troverai Sole né Luna, nessuna direzione e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fosse fatta di ossa polverizzate che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia.

E naturalmente dovrai attraversarla, quella violenta tempesta di sabbia. È una tempesta metafisica e simbolica. Ma per quanto metafisica e simbolica lacera la carne come mille rasoi. Molte persone verseranno il loro sangue, e anche tu forse verserai il tuo. Sangue caldo e rosso. Che ti macchierà le mani. È il tuo sangue, e anche il sangue di altri. Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. E è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia.

Kafka sulla spiaggia di Murakami Haruki – Einaudi Super ET (2019) – pag. 522

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