Leggere non solo allarga la mente, permette di conoscere la Storia, di incontrare personaggi straordinari, di ritrovare, tra le pagine, pezzetti di noi, delle emozioni che proviamo, dei dolori che ci agitano e delle gioie che assaporiamo, ma anche di poter visitare luoghi immaginari e reali.
Vi è mai capitato di andare a cercare un quartiere o una città spinti dalle descrizioni lette in un libro?
A me sì. Ed è successo anche sabato quando ho “costretto” la famiglia a seguirmi alla ricerca e alla scoperta del quartiere Coppedè.
Quest’inverno ho letto La rilegatrice di storie perdute di Cristina Caboni e la protagonista, Sofia, arriva nella casa dei nonni, la casa della sua infanzia e descrive proprio il quartiere in cui è collocata. Quartiere che io non conoscevo e di cui non avevo mai sentito parlare.
“I leoni la fissavano con le fauci spalancate, l’espressione minacciosa. Sofia si prese il suo tempo per osservarli, mentre dentro di lei mulinavano i ricordi della sua infanzia. Quelle Gargouille, che Gino Coppedé aveva fatto collocare sulle pareti di alcuni palazzi del quartiere di Roma che portava il suo nome, le erano sempre piaciute. Con le mani affondate nelle tasche, Sofia pensò a quanto doveva essere stato emozionante il momento in cui l’architetto aveva immaginato, in quelle forme asimmetriche, una tale sconcertante bellezza. Era una vera magia. Era vedere la statua nella pietra. Scorgere la melodia nelle note. L’emozione nelle parole ancora tutte da scrivere”.
Dopo aver letto queste righe sono andata immediatamente a cercare su Internet notizie su questo quartiere, ho visto le foto e mi sono ripromessa che alla prima occasione avrei trovato il modo di andarlo a visitare di persona.
Questa zona di Roma, che in realtà non è un vero e proprio quartiere, sebbene così sia conosciuto, è situato nel quartiere Trieste, zona Nomentana, tra piazza Buenos Aires e via Tagliamento, e si sviluppa intorno a Piazza Mincio.
Un angolo di Roma decisamente inaspettato, uno dei più caratteristici e particolari della capitale, un fantastico pot-pourri di arte Liberty, Art Decò, con infiltrazioni di arte greca, gotica, barocca e addirittura medievale, un luogo dalle fattezze inaspettate e bizzarre.
Il quartiere, lontano dai classici giri turistici, ma assolutamente da vedere, è stato progettato dall’architetto fiorentino Gino Coppedè, nel periodo che va dal 1915 al 1927. Composto da diciotto palazzi e ventisette tra palazzine ed edifici si dispone intorno al nucleo centrale di piazza Mincio. E la particolarità e singolarità del quartiere spicca ancora di più se si pensa che fu realizzato in piena epoca fascista e quale fosse l’architettura dominante nel periodo. Opere basate sul razionalismo, che dovevano trasmettere ordine, sicurezza, forza, e per tanto erano monumentali ed imponenti. Tutto il contrario dell’eccentricità e peculiarità di questi palazzi.
L’ingresso principale del Quartiere Coppedè, dal lato di via Tagliamento, è rappresentato da un grande arco che congiunge due palazzi, sotto cui si trova un grande lampadario in ferro battuto. Attraversato l’arco si prosegue fino alla piazza nel cui centro sorge la Fontana delle Rane, costruita nel 1924. La fontana caratterizzata da una vasca centrale, con quattro coppie di figure, ognuna delle quali sostiene una conchiglia sulla quale si trova una rana dalla quale zampilla acqua all’interno della vasca. All’interno della fontana si innalza una seconda vasca, di circa due metri di altezza, il cui bordo è sormontato da altre otto rane. Una curiosità: questa fontana è famosa per il bagno che i Beatles vi fecero vestiti dopo un loro concerto tenuto nella vicina discoteca Piper.
Intorno alla piazza sorgono svariati palazzi, su un lato, spicca quello detto “del Ragno”, costruito nel 1920 e suddiviso in quattro piani e una torretta, decorati da mascheroni e gargoyle, che ricordano l’arte assiro-babilonese. Deve il suo nome alla decorazione sopra il portone d’ingresso: una grossa tela d’oro con al centro un ragno che simboleggia la laboriosità. Significato confermato dal dipinto color ocra e nero raffigurante un cavallo sormontato da una incudine tra due grifoni con la scritta in latino LABOR, che si trova al terzo piano, sopra un balconcino con loggia.
Sul lato opposto c’è un altro palazzo con decorazioni arabeggianti, il villino Cabiria, con un ingresso che pare quasi un antro stregonesco con volte e archi orientaleggianti che celano cosa c’è dietro.
Ma quello che lascia davvero senza fiato è il “Villino delle Fate”, un susseguirsi eclettico di torrette, logge, balconcini, edicole, che omaggiano Firenze, Roma e Venezia attraverso simboli e personaggi che ricordano le tre città. I materiali usati sono terracotta, travertino, marmo, ferro battuto e legno.
Quello che colpisce in questo intreccio di strade, che convogliano in un centro ideale rappresentato dalla fontana è l’architettura decisamente insolita: costruzioni che riecheggiano lo stile liberty, ma con uno stile eclettico ricco di soggetti apotropaici, di maschere e leoni urlanti, con innesti di epoche e periodi diversi, se si può fare un confronto viene in mente la Barcellona di Gaudì.
Si dice poi che Coppedè fosse un massone e che abbia disseminato questo quartiere di simboli esoterici.
Naturalmente, per la sua particolare architettura il Quartiere Coppedè è stato utilizzato come set cinematografico di parecchi film, come Inferno e L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento; Il presagio del 1976 di Richard Donner.