L’intensa biografia di Maya Angelou

La poetessa afroamericana Maya Angelou, voce potente dei neri d’America e testimone diretta della discriminazione subita dalla sua gente, in Io so perché canta l’uccello in gabbia racconta la sua storia fino ai 17 anni offrendo uno spaccato della sua vita e delle esperienze che ha vissuto. Un’infanzia e giovinezza caratterizzati da violenze, abbandoni, strappi, eppure raccontata con una buona dosa di ironia e disincanto, senza alcun compatimento, e soprattutto senza mai piangersi addosso.

Nel 1932, al momento della separazione dei genitori, Marguerite, detta Maya, che ha solo tre anni e suo fratello di quattro, vengono accompagnati a Stamps, in Arkansas, ed affidati alle cure di Annie, la nonna paterna, fiera, indomita, timorata di Dio e dalla condotta irreprensibile, che gestisce un Emporio nel quartiere nero, dove si può trovare davvero di tutto, dai cibi in scatola alle lampadine. Ad aiutare Momma c’è il timido zio Willie, un ragazzo storpio, che aiuta come può la madre. Nonostante gli anni Trenta siano anni difficili e la crisi, iniziata nel ‘29, ancora imperversi, grazie all’Emporio e ai prestiti che Momma concede sia ai bianchi che ai neri la famiglia riesce a tirare avanti dignitosamente e ad essere un punto di riferimento per la comunità.

“Naturalmente sapevo che anche Dio era bianco, ma nessuno avrebbe mai potuto farmi credere che avesse pregiudizi.”

E’ l’epoca della segregazione assoluta: scuole, autobus, medici, quartieri soli per neri. I bianchi, che per molto tempo, rappresenteranno per Maya niente più che una specie leggendaria, hanno case più belle, scuole migliori, autobus più efficienti, medici più preparati e a portata di mano. In uno degli episodi che Maya racconta, la bambina si ritroverà a percorrere ottanta chilometri in autobus per andare da un medico nero, poiché il dentista bianco di Stamps preferisce curare i denti di un cane anziché le carie di una nigger.

Maya trascorre un’infanzia tutto sommato felice, fatta di giochi instancabili col fratello, domeniche in chiesa, il lavoro all’emporio accanto alla nonna. Ad otto anni, però, suo padre torna a prenderla per portarla a vivere dalla mamma; donna bellissima, e frivola, al cui fascino tutti, persino i suoi figli, sono soggiogati, talmente tanto da sembrare un’attrice di Hollywood. Da quel momento per lei e il fratello inizierà una sorta di continuo andirivieni tra Stamps e la California, tra la vita rurale e la rigida morale a cui l’ha abituata la nonna e la vita cittadina, apparentemente più libera e aperta, ma piena comunque di brutture e di poca integrazione.

L’autrice racconta gli episodi più disparati: dal grande amore per il fratello Bailey all’ammirazione per l’adorata nonna; dalla strana famiglia materna, alla nuova fidanzata di papà, strappando spesso una risata per le situazioni folli a cui si trova ad assistere o che la vedono coinvolta, ma suscitando commozione quando ripercorre gli episodi più crudi delle violenze subite.

Attraverso gli occhi di questa bambina che osserva tutto quello che accade con curiosità e spirito critico, viene raccontata la vita dei raccoglitori di cotone, pieni di dignità, ma stravolti dal lavoro disumano, che ogni giorno sperano in un colpo di fortuna che ponga fine alle loro sofferenze una volta per tutte e anelano un cambiamento, che però non avviene mai. Simbolo di quella segregazione e di quel razzismo imperante che continua a mostrare i suoi frutti anche oggi.

In quel periodo della mia vita gli oggetti della mia devozione avevano ben poco in comune tra loro: Momma con la sua compassata risolutezza, Ms. Flowers e i libri, Bailey e il suo amore, mia madre e la sua allegria. Miss Kirwin e la sua conoscenza. I corsi serali di danza e recitazione”.

Quest’opera scritta in modo meraviglioso e suggestivo è il romanzo per eccellenza sull’America razzista, e, allo stesso tempo un inno sulla bellezza della libertà e della vita.

Maya Angelou ci regala un’opera straordinaria, il racconto vero e disincantato di una bambina, che osserva e riporta quello che ha intorno e nonostante gli avvenimenti a cui assiste o quelli che la coinvolgono direttamente siano spesso estremamente drammatici, non indulge mai al patetismo o alla retorica. L’ottimismo che contraddistingue la gran parte della narrazione ha momenti di

Anche quando la speranza in un futuro migliore pare vacillare e si trasforma in rabbia per l’impotenza di non poter nemmeno aspirare ad un avvenire diverso, Maya sente forte la fierezza di appartenere alla razza nera.

“La cerimonia, il momento magico e riservato, tutto trine, regali, congratulazioni e diplomi, per me era terminata prima che chiamassero il mio nome. I risultati non contavano niente. Disegnare cartine le precisissime, con inchiostro di tre colori diversi, imparare a pronunciare e scrivere parole di dieci sillabe, mandare a memoria Lucrezia violentata per intero, tutto inutile. Donleavy ci aveva smascherato. Eravamo cameriere e contadini, tuttofare e lavandaie, e qualsiasi nostra aspirazione a qualcosa di più era farsesca e arrogante. Avrei voluto che Gabriel Prosser e Nat Turner avessero ucciso tutti i bianchi nei loro letti, che Abramo Lincoln fosse stato assassinato prima di firmare la proclamazione di emancipazione degli schiavi, che Harriet Tubman fosse morta per quel colpo alla testa e Cristoforo Colombo annegato sulla Santa Maria. Era terribile essere nera e non avere alcun controllo sulla propria vita. Era brutale essere giovane e già addestrata a stare seduta in silenzio ad ascoltare le accuse rivolte alla mia razza senza potermi difendere. Avremmo dovuto essere tutti morti. Pensai che mi sarebbe piaciuto vederci tutti morti, uno sopra l’altro”.

La sua è una storia ricca di intelligenza, curiosità, determinazione, orgoglio. Sono queste le armi che Maya utilizza per superare i suoi traumi e battersi contro le ingiustizie della società in cui vive, trovando tra l’altro uno splendido rifugio e una fonte di ispirazione nel mondo dei libri.

Una lezione importante da tenere a mente sempre, anche quando la voglia di arrendersi e lasciar perdere è più forte di tutto: possono anche tenerti rinchiuso, come un uccello in gabbia, ma non possono toglierti i pensieri e la voce, perché quella può risuonare sempre più forte che mai anche attraverso le sbarre di una prigione.

Io so perché canta l’uccello in gabbia, pubblicato per la prima volta nel 1969, rappresenta e, a ragione, una pietra miliare, assolutamente da leggere, della letteratura del ‘900.

Io so perché canta l’uccello in gabbia di Maya Angelou – Superbeat (2021) – pag. 237

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *