Premessa necessaria non amo gli horror, ci sono già talmente tanti fatti brutti amplificati dalla stampa e talmente tanti episodi che non trovano una spiegazione che entrare in un territorio buio ed ambiguo anche durante la lettura non mi piace. Ma c’è sempre un eccezione.
Ho comprato questo romanzo appena è uscito e prima l’ho fatto leggere a mio marito, appassionato del genere, e consapevole di quanto posso reggere, poi ho fatto acquietare le tante recensioni e post in cui si parlava dell’opera di Marco Peano, e in una calda domenica di luglio, ho deciso fosse arrivato il momento di conoscere la storia di Sonia e Teo.
Tra le pagine di Morsi scorre la vita di Sonia, un’adolescente come tante. Come in una serie di istantanee la vediamo alle prese con il diario segreto chiuso dal lucchetto; le chiacchierate senza fine con l’amica del cuore; la scoperta del proibito, le prime cotte; il primo bacio; la preoccupazione per i genitori – le conversazioni ascoltate di nascosto sulla perdita di lavoro del padre, il suo umore nero, la eccessiva passione per la bottiglia -; l’ansia verso una nonna severa, che le fa un po’ di paura e con cui passa parecchio tempo, visto che frequenta la scuola del paese, mentre i genitori si sono trasferiti in città. La vita in un paese di montagna, chiuso tra vecchie tradizioni e usi millenari affascina la ragazzina anche se ne intravede la limitatezza.
C’è un mondo in via di disfacimento tra queste pagine, un mondo ancora attaccato a riti ancestrali, alla figura misteriosa della “masca”, la guaritrice del paese, una sorta di strega, che può curare o maledire.
C’è il racconto di una società ancora non schiava di un telefonino o di una connessone ad internet, di un paese che ha il suo unico collegamento con l’esterno attraverso una cabina telefonica e una scheda prepagata.
“Aveva di nuovo sognato le parole. Le accadeva spesso, quando passava la notte a Lanzo: una successione di lettere che sbocciavano una dietro l’altra mentre dormiva, e nessuna catena logica a guidarle. Le parole generate da quelle lettere sfilavano come su un nastro e si rincorrevano dando forma a frasi incomprensibili, risultando scure anche al risveglio. Talvolta, appena spalancati gli occhi sul mondo reale, si sforzava di riacciuffare brandelli di senso; concentrandosi le sembrava di riconoscere una conversazione sentita durante il giorno e riemersa nel dormiveglia, qualche riga studiata la sera prima, oppure un appunto preso distrattamente sul quadernone ad anelli. Le facevano visita di frequente, le parole. Anche quel mattino di inizio Novembre galleggiavano nella stanza, come bolle di sapone pronte a dissolversi”.
E’ la vigilia di Natale del 1996, una coltre di neve mai vista ricopre il piccolo paese di Lanzo Torinese, a ridosso con le montagne. e un gelido vento imperversa per le strade, tutti si preparano a festeggiare la festa per eccellenza, pare che nulla possa incrinare l’atmosfera di pace che regna, anche se qualcosa è già avvenuto: un misterioso ed inquietante “incidente” che ha portato alla chiusura della scuola del paese, e a tante illazioni, perché tutto è stato accuratamente segretato.
Sonia ha scoperto cosa è veramente accaduto dal racconto di Teo, un suo compagno di scuola, un po’ sovrappeso e che emana sempre un certo odore di stalla, e tra le pieghe dei pensieri della ragazzina si annida un sospetto che la inquieta su chi possa essere il mandante di quello che è accaduto.
Se la prima parte si concentra sulla descrizione di un microcosmo e sulle difficoltà di crescere e prendere la misura di ciò che si è, la seconda immerge il lettore in un universo onirico in cui prevale l’orrore. Uno strano morbo sta contagiando tutti gli adulti, animali compresi, del piccolo paese e gli unici miracolosamente indenni sono proprio Sonia e Teo, che si trovano loro malgrado, costretti a fare squadra e a cercare di uscire vivi da quello che sta succedendo, riuscendo a ritagliarsi attimi di stupore e di normalità in mezzo a tutto l’insensato che li circonda. Da qui in poi gli avvenimenti incalzano e l’epilogo, seppur esplicativo, lascia non poche domande.
Un romanzo coinvolgente che avviluppa il lettore e che difficilmente si molla una volta iniziato, una storia che alla fine ti si appiccica addosso e che vorresti durasse un po’ di più. Una storia che evoca il grande Stephen King – sebbene non ami il genere, qualcosa del maestro, l’ho letto anch’io – i suoi ragazzini soli a combattere il nemico nascosto, le difficoltà di crescere, la sensazione che andando avanti tutte le promesse e i sogni si infrangano in una realtà che non lascia spazio per la poesia. Ho avuto l’impressione che Peano abbia voluto scrivere una metafora dell’esistenza umana in cui solo la parte più pura e ancora non contaminata può salvarsi.
“Fu quello l’istante in cui ebbe un’intuizione che l’avrebbe accompagnata anche in futuro, fino alla fine dei suoi giorni: conoscere il nome delle cose significa salvarsi. Le parole salvano sempre. Erano l’unica arma di Sonia Ala, e lei a disposizione aveva quelle giuste”.
Tramite un linguaggio suggestivo ed evocativo, come si confà a questa sorta di fiaba oscura Peano scrive un gran bel romanzo, originale e poco convenzionale per il panorama nazionale. La storia di Sonia mi ha convinto e coinvolto, le sue paure, le sue ansie, la sua voglia di capire, mi hanno fatto tenerezza, come la goffaggine di Teo, il suo essere estromesso dagli altri perché troppo diverso. Al netto della poca familiarità e passione per il genere, e della forse troppo frettolosità nel finale, a me è piaciuto.
Morsi di Marco peano – Bompiani (2022) – pag. 186