Una scoperta inaspettata

Ebbene sì lo ammetto, sono colpevole di non aver mai letto Georges Simenon. Come sempre mi ci voleva lo stimolo di Emanuela Sorrentino e quel “secondo me la sua analisi psicologica” ti piacerà molto, buttato là, per farmi decidere. Che scoperta! Che libro! Centocinquanta pagine che mi hanno lasciata disorientata, allibita e alla fine conquistata.

Sono rimasta catturata fin dall’inizio, da quella scena iniziale che dà il titolo al romanzo e poi dal modo in cui il romanzo è strutturato.

Inizia in una camera d’albergo, la camera azzurra del titolo, un letto sfatto, una donna distesa in posa lasciva, un uomo che si guarda allo specchio e ascolta distrattamente i discorsi della donna. Risponde a monosillabi, la testa già da un’altra parte. Per lui quella torrida relazione è appagante, ma non è certo l’inizio di una storia d’amore. L’intesa erotica è perfetta, lui ne è intrigato, irretito, sedotto, la desidera, ma niente di più.

Per lui sono solo un uomo e una donna che si desiderano e passano del tempo insieme, lasciando il mondo fuori, in una sorta di bolla che esclude tutto il resto.

Per lei l’inizio di una relazione seria, di una possibile vita a due, mettendo da parte i rispettivi coniugi e riscrivendo l’esistenza di entrambi.

«Parole che lui stesso aveva riferito al giudice. Ma quello che contava era il tono, e lui le aveva pronunciate senza crederci. Non era una cosa reale. Non c’era niente di reale nella camera azzurra. O piuttosto si trattava di una realtà diversa, impossibile da comprendere altrove.»

Eppure in quella prima scena, in quel rimando al colore delle pareti che aprono un ricordo nella mente dell’uomo c’è già gran parte della struttura perfetta, ad orologeria, dell’autore belga.

Sono stata costretta, quasi mio malgrado, a seguire l’andamento non lineare della trama, quell’intrecciarsi e sovrapporsi di piani temporali, che portano solo alla fine a scoprire che cosa è successo e perché il protagonista sta subendo un interrogatorio dietro l’altro, in una discesa agli inferi, i cui passaggi si restringono sempre più.

Mentre la lettura prosegue, immaginiamo cosa potrebbe essere successo, ma non ne siamo sicuri. Le scene di vita passata si alternano a momenti più recenti, la ricostruzione dei fatti, la deposizione dell’uomo, le sue sicurezze che a poco a poco si sgretolano si avvicendano ai ricordi della sera in cui ha incontrato la sua amante per la prima volta. Le immagini dei genitori, del padre, dell’infanzia, e poi della moglie, della figlia, della vita normale che conduceva prima si sovrappongono a ciò che sta vivendo. Prima, ma prima di cosa? E si ha il desiderio di leggere pagina dopo pagina per sapere e poi per capire.

Simenon si rivela maestro nell’intreccio, nella capacità di dire e non dire, di far intravedere piccoli particolari, come microscopiche briciole buttate qua e là che sta al lettore raccogliere nel tentativo di ricostruire il quadro di insieme.

Un libro che mette addosso una sorta di ansia ed induce a riflettere su svariati temi: quello che gli altri vedono e che noi presi da noi stessi non cogliamo; i desideri di coppia che spesso non corrispondono come in un film in cui manca il sincrono, perché ognuno balla secondo il ritmo che sente in testa e non è detto sia lo stesso dell’altro; la vita che prende strade diverse da quello che si immaginava. E così tratteggia l’infelicità di un’esistenza in una piccola città di provincia, tra gli sguardi malevoli degli altri, in una soffocante e inevitabile routine da cui si cerca una via d’uscita che però spesso non solo non è come si immaginava, ma apre baratri inimmaginabili.

Se il dubbio è l’elemento centrale della narrazione, il senso di colpa è l’altro sentimento che ricorre tra le pagine. Tony, il protagonista, è consapevole di aver innescato, forse inconsapevolmente, forse per una sorta di accettazione passiva delle cose, un processo irreversibile e il rimpianto che le cose potessero andare in un altro modo si unisce alla colpa di non aver fatto il possibile per evitare quel che è accaduto: un omissione che pesa come un’azione su di lui. Perché sia colpevole oppure no, il suo girare la testa verso alcuni fatti, il non prendere posizione, il far finta di non vedere, lo rende colpevole come se avesse realmente partecipato al fatto.

Assolutamente da recuperare

La camera azzurra di Georges Simenon – Gli Adelphi (2003) – pag. 153

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