Mamma, parola più dolce non c’è, spesso la prima che pronuncia il bambino balbettando un po’, con quell’amore infinito che prova verso chi lo sta accudendo con amore. Ma anche una parola abusata, tirata in ballo spesso a sproposito, vuotata di significato.
Mamma, in cinque lettere si nasconde un mondo intero. Una delle figure più sfaccettate e complesse di cui provare a parlare e con cui relazionarsi. Perché la maternità può essere subita, voluta a tutti i costi, impossibile, rimandata, non desiderata, felice, sgangherata, assoluta, ossessiva…
Ho scoperto di avere una marea di libri che hanno come argomento essere madri: saggi, raccolte di racconti, libri ironici, romanzi. Molti di questi libri li ho letti, altri sono in attesa, altri ancora li leggerò… I saggi li ho acquistati quasi tutti nel periodo tra la prima e la seconda gravidanza perché volevo capire se c’era un modo “corretto”, “giusto” di essere madre. I romanzi continuo a comprarli, perché è un argomento che mi affascina come non mai. L’immergermi in queste storie, spesso dolorose, che parlano della maternità, mi aiuta a mettere a fuoco come la vivo io, che cosa significa per me.
Se ripenso a me bambina e ragazzina, ho sempre sognato di essere madre. Era un ruolo in cui mi ci vedevo proprio, ovviamente la mia era un’idea assolutamente slegata dalla realtà. Diventata adulta ho desiderato tantissimo un figlio. Ho pianto quando non arrivava. La sua mancanza è diventata ossessione, pensiero fisso, l’ultimo che mi accompagnava nel prendere sonno e il primo che mi aspettava al mattino. Ho sofferto per l’aborto spontaneo avuto qualche anno dopo. Il dolore pazzesco che ho provato, anche nel non sentire empatia per quella sofferenza. Infondo come si fa a soffrire tanto per qualcosa che nemmeno esiste, che è solo un desiderio, un grumo di cellule, uno sfarfallio che nemmeno si sente? Ci ho messo mesi ad elaborare quel lutto, un lutto solitario, una ferita solo mia. Quando ho stretto per la prima volta al petto mia figlia, mi sono sentita accolta: in quell’abbraccio ho ritrovato me stessa. E la stessa cosa con il secondo.
Eppure non credo nella retorica della maternità. In quell’immagine stereotipata e fasulla della madre sempre felice, che rinuncerebbe a qualsiasi cosa per i suoi figli, che non vede i loro difetti, che non è mai stanca, che non ha mai pensato ma io cosa ci faccio con questo coso urlante in braccio quando potrei essere a prendere un aperitivo, a fare un viaggio, a ballare in discoteca…
Essere madri è un viaggio meraviglioso, ma complesso, un lavoro impegnativo che si fa senza nessuna preparazione, si diventa genitori senza corsi e senza libretto d’istruzioni e non c’è modo di tornare indietro. Ecco perché non ha senso giudicare chi i figli non li vuole, chi non si sente pronta, chi preferisce vivere la propria vita senza diventare madre. E ragionando sull’argomento più di una volta mi sono chiesta ma perché questa domanda e questo giudizio riguarda sempre e solo la donna? Perché l’uomo non si pone mai questa domanda? O per lo meno perché non ci ragiona più di tanto? E’ perché la maternità influenza e condiziona di più la donna, o perché è il suo corpo a dover subire modifiche importanti e a rischiare? O perché l’impatto emotivo, psicologico, emozionale di una donna è molto più forte di quello di un uomo? E perché la società non giudica un uomo senza figli come incompleto, mentre questo giudizio superficiale e tranciante riguarda la donna?
Cosa significa allora essere madri? In quanti modi diversi si può esserlo? Una madre adottiva o affidataria è forse meno madre di chi ha portato nove mesi nel grembo la propria creatura? Perché il non riuscire ad avere un figlio diventa ossessione? La realizzazione di una donna passa ancora attraverso la maternità? È così connaturato e naturale desiderare essere madri e poi esserlo nel modo migliore?
Non è facile rispondere a queste domande perché io amo i miei figli, tantissimo, eppure a volte mi infastidiscono, non sempre riesco ad essere un sintonia con i loro bisogni, sento tantissimo l’esigenza di momenti solo per me, o a due con mio marito, e questo a volte mi fa sentire in colpa. Non sono la mamma del Mulino Bianco, non cucino cose sane tutti i giorni, non parlo dei miei figli come fossero gli esseri più perfetti dell’universo intero. Cerco di essere presente, di sostenerli, di incoraggiarli, di conoscere i loro interessi, di stimolarli, ma a volte sono nervosa, insofferente, stanca, in una parola imperfetta.
Nella vita potremo o meno vivere l’esperienza della maternità, ma un rapporto, più o meno riuscito con la madre ce l’avremo sempre. Una madre che sarà sempre troppo presente, assente, invadente, menefreghista, competitiva, remissiva, rigida, algida, perfetta, castrante, limitante, assoluta… modello da imitare o esempio da evitare. Amore assoluto o odio totale, perché i danni che può fare una madre nella vita, e soprattutto nell’autostima di un figlio, sono i peggiori in assoluto, quelli a cui difficilmente si rimedia.
Eppure, che lo siamo oppure no, una cosa è certa: una mamma ce l’abbiamo o ce l’abbiamo avuta. Una mamma presente o scorbutica, una che urlava sempre, o che preparava succulenti pranzetti, una esperta del meteo, o una sempre di corsa, una precisa e perfetta fino all’inverosimile, o una pasticciona sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Comunque Lei, l’unica, la sola, l’inimitabile.
Per concludere ed accantonando i discorsi seri e i discorsi sulla mamma che richiederebbero enciclopeide per spiegarli bene, per la festa della Mamma ho scelto questo delizioso libriccino, ironico e colorato, suggerito da @silvia-inunclick e acquistato su Amazon ad un prezzo pazzo.
Raquel Diaz Reguera disegna e descrive trenta tipologie di mamme, tutte caratterizzate da particolarità e tic.
C’è la Mamma Sergente che avanza a passo di carica e mette tutti sugli attenti: guai a sgarrare!
C’è la Mamma Santa Pazienza, dotata di infinita, illimitata e assolutamente incredibile pazienza: rimane imperturbabile qualsiasi cosa accada.
C’è la Mamma Equilibrista che riesce sempre a mantenersi in equilibrio tra mille incombenze e infiniti problemi.
Ci sono la Mamma Curandera, quella Fuorifuorifuori, la Mamma Chioccia e quella Calamita e tante tante altre
Tra le mie preferite la Mamma Raccontastorie – indovinate un po’ perché? – e la Tuttofare, capace di creare, riparare, dare nuova vita ad oggetti e stoffe.
Un catalogo divertente, dove si cerca di ritrovare aspetti di noi come mamme o delle mamme che abbiamo.
Alla fine c’è anche il test da fare per dimostrare che… Di mamma ce n’è una sola
Di mamma ce n’è una sola e qui c’è posto per tutte di Raquel Diaz Reguera Fabbri editore (2018)