Balla ancora, Charlot

La notte della vigilia di Natale del 1971, la Morte va a trovare Charlie Chaplin nella sua casa in Svizzera. L’attore ha più di ottant’anni, ma anche un figlio piccolo e una moglie giovane. Non è ancora pronto a lasciare questa terra e seguirla. Le propone, quindi, un patto: se riuscirà a farla ridere, anche solo strappandole un sorriso, otterrà un altro anno.

Inizia così un singolare balletto tra il grande attore e la vecchia signora, che durerà una manciata di anni e permetterà a Chaplin di prendere congedo nel migliore dei modi con i suoi affetti e di ripensare a tutta la sua avventurosa vita.

La mia memoria è un guardaroba così inverosimile che non so più se quello che contiene l’ho vissuto realmente oppure l’ho sognato. Non ci può essere, per me, un confine chiaro tra tutte le cose che mi sono accadute e quelle che non ho smesso di inventare solo nella mia testa.”

Questi pochi anni in più, rappresenteranno anche l’occasione per l’attore e regista di scrivere una lunga lettera a suo figlio per raccontargli la sua vita. Dall’umilissima infanzia in Gran Bretagna, con un padre guitto del musical, morto alcolizzato, e una madre soubrette, malata di nervi che trascorre lunghi periodi d’internamento in una casa di cura, fino l’esordio sul palcoscenico, in sostituzione della mamma che aveva perso la voce, assieme al fratello. Dagli esordi inaspettati in un teatro di varietà all’apprendistato nel Circo di Casey; dal lavoro con Stan Laurel nella compagnia di Fred Karno; fino alla nascita del mito cinematografico di Charlot. Tra i ricordi emergono i primi successi, le tournée in giro per Inghilterra e l’Europa, la decisione di tentare fortuna negli Stati Uniti, dove il giovane Chaplin passa da un mestiere all’altro – tipografo, boxeur, imbalsamatore – e da una costa all’altra.

Un ragazzo con una gran voglia di imparare, desideroso di mettersi alla prova, di sperimentare, di conoscere quel mondo nuovo. Un giovane travolto e conquistato dall’avvento del cinema, quello schermo bianco e quella luce che lo illumina dando vita a storie e illusioni.

Nella lunga lettera al figlio racconta gli incontri, le avventure, i trionfi ma anche le tante disillusioni, i fallimenti, i momenti bui. Fino alla geniale creazione che cambia la sua vita e regala al pubblico uno dei personaggi più straordinari e magici mai realizzati. Davanti agli occhi stupefatti della troupe, Charlie Chaplin si trasforma nel suo personaggio più famoso. Una giacchetta a coda di rondine striminzita, un paio di pantaloni troppo larghi, le scarpe logore e troppo lunghe, la bombetta lisa e polverosa, un paio di baffetti sottili e un bastoncino di bambù, una camminata obliqua e incerta e un’espressione malinconica, i modi di un Lord nei vestiti di un pezzente così nasce “Charlot”.

Un personaggio che fa ridere nonostante la tristezza che lo contraddistingue, che mantiene dignità e raffinatezze da vero gentiluomo nonostante la povertà degli abiti che indossa, ma che con il suo sguardo disincantato ci mostra tutta la spietatezza e le ingiustizie della società moderna, diventando l’emblema di un’epoca caratterizzata da marcate disuguaglianze sociali.

Il trucco è sempre lo stesso: fare in modo che qualcosa vada storto e che il mondo appaia rovesciato, sottosopra. Il meccanismo della comicità è un meccanismo sovversivo. Se un gigante cerca in ogni modo di aprire una porta e non ci riesce, ma subito dopo la porta si apre a un gatto, a un bambino, a un povero vagabondo o a un vecchio senza nessuno sforzo, noi ridiamo. Perché è tutto il contrario di quanto accade nella vita. La comicità è una capriola, un uomo che si rialza dopo un capitombolo o un altro che sta sul punto di cadere ma non cade mai. La comicità è mancina come me, Christopher. Irride i ricchi, rimette le cose a posto, ripara le ingiustizie. Come diceva Frank Capra, chiude le porte ai prepotenti e le fa aprire ai deboli e agli indifesi, anche se solo per il lampo di un sorriso. È quest’incredulità che ci riempie gli occhi di lacrime. Sin dall’inizio, da quando cantai la canzone di Jack Jones al posto di mia madre, suscitare il riso e le lacrime è stata la mia infantile protesta contro la miseria, la malattia e il disprezzo, e il mio rifiuto dell’odio e di tutte le forme sbagliate che finiscono per governare le relazioni umane. È stupefacente, a pensarci, quanto sia facile a contagiarsi l’allegria e quanto triste e malato sia invece il mondo.”

Fabio Stassi ha la rara capacità di scrivere prosa con il ritmo e la musicalità di un poeta. In questo omaggio ad un grande artista, mescola realtà e immaginazione e ci regala un ritratto dolce amaro di uno dei migliori artisti della sua generazione. Un attore e poi regista nato nell’epoca del muto, ma capace di sopravvivere all’avvento del sonoro. Uno dei migliori attori di tutta la storia del cinema, un’icona del cinema muto, la cui produzione artistica, ha ancora oggi tanto da dire e continua a regalare allo spettatore risate e momenti di riflessione.

Fabio Stassi non scrive la biografia di Charlie Chaplin ma mescola, in maniera sublime, realtà e fantasia, dando origine ad un’opera malinconica, ma veritiera, offrendo lo spunto per riflettere sulla comicità, sulla recitazione dal vivo, sul fascino del circo e sul mondo del cinema. E regala al lettore una favola e un dipinto umanissimo, intenso e poetico di Charlie Chaplin, la cui vita, come il suo modo di camminare, è stato fin da bambino, “sul bordo delle strade, un piede dopo l’altro, come un acrobata sul filo.”

Se poi vi capitasse di andare in Svizzera, tra le colline ricoperte di vigneti del Lavaux, sulle sponde del lago Lemeno noto ai più come lago di Ginevra, è possibile visitare la sua villa a Corsier-sur-Vevey, trasformata in un museo a lui dedicato. Manoir de Ban è la dimora dove visse gli ultimi 25 anni della sua vita con la moglie Oona e i loro otto figli e dove morì, nel sonno nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1977.

Nella casa ottocentesca che si apre sul verde del prato e sul panorama del lago e delle Alpi, si scoprono i momenti di intimità familiare, la biblioteca, la sala da pranzo, la camera da letto e attraverso le tante foto disseminate qua e là si scorgono momenti di vita familiare.

Un luogo magico, dove oltre ai ricordi personali, le foto, gli abiti, i libri, il pianoforte, sono stati ricostruiti veri set dei suoi film più famosi e si può vivere una esperienza immersiva tra spezzoni di film, statue a grandezza naturale di Chaplin e dei personaggi delle sue numerose pellicole. Ci si può sedere accanto a lui, mentre aspetta di essere chiamato dal giudice in Monsieur Verdoux; o “parlare” con la fioraia di Luci della città; “indossare” la uniforme del Grande Dittatore, o sedere sulla sedia del barbiere, del medesimo film; entrare nella casetta di legno della Febbre dell’oro…

Un’ottima occasione sia per gli amanti di Charlot che per chi volesse saperne di più sulla sua figura.

L’ultimo ballo di Charlot di Fabio Stassi – Sellerio editore (2012) – pag. 279

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