Dopo aver esplorato a grandi linee l’evoluzione della moda dalla preistoria in avanti, eccoci all’ultimo appuntamento: la moda dagli anni novanta ai nostri giorni.
Trent’anni di grandi cambiamenti ma anche di continui richiami alla moda passata.
Negli anni ’90, dopo gli eccessi del decennio precedente, la moda tende a farsi minimalista e si impone il “GRUNGE” portato in scena dal controverso leader dei Nirvana, Kurt Cobain, e caratterizzato principalmente da quattro capisaldi: T-shirt sdrucita, camicia a quadri di flanella, jeans strappato e quasi informe e All Star.
Lo stile imperante è dunque un meltin’pot che prende ispirazione da mondi diversi, a volte opposti, ma che danno vita a un casualwear indimenticabile: jeans a vita alta, abiti a sottoveste, felpe colorate e camicie a quadri. Di tendenza anche lo stile ispirato alle icone pop del momento, le Spice Girls. rivoluzionario gruppo femminile inglese, che accanto alla filosofia del Girl Power, portava avanti uno stile sopra le righe fatto di tinte forti e capi ispirati alla scena rave del decennio. Dalla giacca sporty allo stivale con maxi platform, dai top ultra sexy agli occhiali fluo. Contrapposte le muse del minimalismo più sensuale e chic degli Anni 90: Gwyneth Paltrow, Carolyn Bessette Kennedy e le top model, prima su tutte Kate Moss.
Gli anni novanta sono anche gli anni in cui si afferma la moda italiana nel mondo.
Gianni Versace, Roberto Cavalli e Dolce & Gabbana celebrano il ritorno della moda intensa e fantasiosa, sensuale negli intenti e con radici che affondano alla “Dolce Vita “ degli anni ‘50.
Le stampe sgargianti di Versace, nonché l’erotismo come elemento chiave, le stampe animalier e l’utilizzo della pelle di Cavalli e lo stile intrinsecamente italiano di Dolce & Gabbana evocano un senso di sensualità decadente.
E’ anche il periodo in cui nasce il fenomeno delle TOP MODEL che incarnano tutto il glamour del periodo e diventano star internazionali incontrastate, molto più ricercate e famose delle attrici del momento. Indimenticabili protagoniste sono state Cindy Crawford, Elle Macpherson, Naomi Campbell, Christy Turlington, Claudia Schiffer, Linda Evangelista, Nadege, Yasmeen Gauri, Tatjana Patitz, Karen Mulder, Eva Herzigova, Helena Christensen e Kate Moss.
VERSACE : Lo stile dello stilista calabrese, tragicamente ucciso a Miami nel 1997, a cui è succeduta alla guida della Maison la sorella Donatella, è basato sui colori vivaci, sulle enormi stampe a motivi barocchi, al richiamo alle greche e al mondo classico e ad un uso smisurato dell’oro.
DOLCE & GABBANA: Il duo di stilisti porta allo scoperto la lingerie, usata come vero e proprio capo d’abbigliamento soprattutto da sera. Il loro stile incarna una visione nostalgica dell’Italia degli anni cinquanta, vitino stretto, petto generoso, fianchi larghi e fa ampio uso del pizzo nero, di capi strutturati e attillati ma dai tagli semplici e squadrati.
Oltre a loro la moda italiana è rappresentata egregiamente da GIORGIO ARMANI che rivoluziona il design dell’abbigliamento maschile introducendo fluidità e naturalezza. E porta in passerella l’indumento più classico e tradizionale di tutti, la giacca, ma realizzata con materiali più morbidi e senza imbottiture, sagomature e stirature che la tenevano perfettamente in tiro. Una giacca nuova, né esclusivamente maschile né esclusivamente femminile, leggermente sformata e adatta a ogni occasione. Questo capo veicolava un messaggio importante, cioè che le donne non dovevano più vestirsi da ‘donne’ e gli uomini da ‘uomini’ per sentirsi tali. Il suo stile è un mix di eleganza rilassata, rigorosa, ma anche estremamente femminile. Uno stile pulito che punta sull’uso di materiali come il crepe di lana e su colori naturali come il talpa, l’antracite e il “greige (mix tra grigio e beige).
E da MIUCCIA PRADA che approccia la moda in modo intellettuale che vira però verso un minimalismo per certi versi addirittura modesto. La stilista riesce comunque a coniugare lo chic e l’eccentrico, rappresentando molto spesso un’avanguardia nell’evoluzione del gusto.
Capitolo a parte, meritano VALENTINO GARAVANI, imperatore della moda, esteta, dal gusto squisito, nel 2008 ha celebrato 45 anni di carriera con una indimenticabile mostra all’Ara Pacis a Roma, una sfilata che racchiude il meglio della sua moda e un film documentario che ripercorre la sua carriera. I suoi abiti sartoriali, completamente cuciti a mano (si dice che i suoi assistenti non abbiano mai usato una macchina da cucire), le stoffe lussuose e l’uso del rosso, detto “Valentino” una tonalità unica a metà strada tra il carminio, il porpora e il cadmio, lo rendono una vera icona di stile.
E GIANFRANCO FERRE’, primo straniero ad essere nominato direttore artistico della Maison Dior nel 1989, accolto da prima con sprezzo, sfilata dopo sfilata conquista Parigi e viene definito: “una stella”, “la furia italiana”, ‘il gigante milanese che riprende la fiaccola di Dior”. La sua avventura francese dura 8 anni, raggiungendo un enorme successo di e aumentando in modo considerevole i fatturati del gruppo. Tornato in Italia riprende in mano il suo marchio regalando emozioni, indimenticabili le sue camicie bianche, definite “mai uguale a se stessa, eppure inconfondibile nella sua identità”.
“Creare un abito richiede dunque di saper sognare razionalmente. In molti hanno definito i miei abiti ‘architetture tessili’. La definizione mi piace. Rende bene l’idea di quello che è l’abito per me: il risultato di un incontro tra forma e materia, ‘guidato’ dalla mano del creatore. Non userei altre definizioni. Semplicemente completerei questa: i miei abiti sono architetture tessili pensate per il corpo. Che il corpo rende vive“. (Gianfranco Ferrè)
Gli anni 2000 non sono un periodo semplice da riassumere. Meno classificabili dei decenni precedenti, la moda dei 2000 è definita da un mix di influenze diverse. Dall’etnico di derivazione mediorientale e asiatico, all’hip hop di origine americana. Dalle contaminazioni con il mondo della lingerie, agli accenni all’ecologia, all’interesse sempre maggiore per il riciclo.
La moda richiede un continuo aggiornamento per questo negli ultimi anni si è assistito anche a continui avvicendamenti nelle direzioni artistiche delle varie Maison. Chanel, Dior, ma anche Gucci, Valentino, oltre a vestire i sogni di tante donne, sono vere e proprie imprese commerciali in cui l’elemento economico non è indifferente, ecco perché trovare lo stilista giusto che, pur ispirandosi al fondatore e non tradendo la linea originaria, sappia ammodernare e convincere il gusto del momento non sempre è facile. Ci è riuscito Karl Lagerfeld, chiamato Kaiser Karl, che ha guidato la Maison Chanel per 36 anni. Un’avventura iniziata nel 1983, a distanza di 12 anni dalla morte di Coco (1971). E partita con un’intuizione, rivelatasi sin da subito vincente: puntare sui simboli creati proprio dalla fondatrice. Il logo della doppia C, il matelassé, il tweed, le perle. I motivi ricorrenti del marchio resi di tendenza, riconoscibili, iper fashion.
Sicuramente il più emblematico e visionario fashion designer contemporaneo è stato Alexander McQueen (1969-2010). Genio del fantastico, McQueen è stato più volte definito l’ “hooligan dell’alta moda” per il suo ininterrotto bisogno di sottrarsi alle regole della couture e per le collezioni legate ad un’estetica gotica-punk quasi scioccante. La sua visione della moda
artistica, spregiudicata e spesso anche provocatoria, ha senza alcun dubbio cambiato le regole del fashion system , dimostrando che la passerella è in grado di essere un vero e proprio teatro delle meraviglie.
McQueen ha mescolato arte e moda, le sue sfilate hanno eclissato il semplice ready-to-wear, cercando di definire la moda attraverso processi di pensiero, effetti speciali e set elaborati, volti a presentare alcuni dei vestiti più belli e stupefacenti mai visti su una passerella. Con la sua prematura scomparsa, il mondo della moda ha perso uno dei suoi protagonisti più geniali e insofferenti. Oggi il suo stile è affidato alla sensibilità artistica di Sarah Burton, luogotenente di fiducia per 14 anni e ora Direttore Creativo, che nell’ultima collezione donna Primavera Estate 2022, utilizza la costruzione dell’ibrido per richiamare l’importanza di prestare attenzione al mondo in cui viviamo. La moda non è più solo apparenza, ma ha un richiamo e un’eco filosofico.
“Mi piace l’idea che la donna Alexander McQueen sia una cacciatrice di tempeste. Non riguarda solo la bellezza dei panorami, ma anche un senso di mistero ed eccitazione – abbracciare il fatto che non possiamo mai essere sicuri di ciò che potrebbe accadere dopo. Rinunciare al controllo ed essere direttamente in contatto con l’imprevedibile significa essere parte della natura, vederla e sentirla nella sua massima intensità – essere tutt’uno con un mondo che è più grande e più potente di noi.” Sarah Burton
All’inizio del nuovo secolo, infatti, l’industria della moda rivela anche i suoi aspetti negativi nascosti dietro lo scintillio delle pagine delle riviste del settore e gli show delle sfilate: lo sfruttamento di manodopera di paesi meno sviluppati, l’iper-produzione, l’obbligo a un costante aggiornamento di modelli e tendenze, il deterioramento ambientale, la produzione di tessuti come ad elevato impatto sull’ecosistema. Sono i i temi critici di una cultura troppo materialistica e basata sull’apparire.
Per questo nell’ultimo decennio si è imposta una moda etica e sostenibile, attenta sia all’impatto sull’ambiente che alle condizioni lavorative degli addetti alla produzione. Viene ormai data una grande importanza alla composizione dell’abito e ai metodi di produzione. Si punta sull’utilizzo di tessuti riciclati e al riutilizzo di capi già indossati in altra chiave. E si impone il “vintage”, abiti di alta moda risalenti a collezioni precedenti e a volta ad anni prima, che vengono riutilizzati e rindossati.
Le nuove tecnologie di e-commerce aprono, poi, nuove strade per la commercializzazione all’interno di nicchie di mercato che sono circuiti di persone che condividono gusti e orientamenti.
Per questo sfogliando le riviste di moda e guardando le tendenze più attuali si nota spesso la presenza di stili opposti, in una sorta di ciclo continuo in cui il classico, inteso come linee pulite, mancanza di eccessi si sposa con look estremamente scenografici e ridondanza di accessori.