Chi non ha avuto a 15 anni o giù di lì, un’amica del cuore, con cui condividere tutto ma proprio tutto della propria vita?
Un’amica con cui dividere il banco, da chiamare appena uscita da scuola, con cui studiare, a cui confidare ogni piega più intima del proprio essere, con cui riflettere sul tutto e sul nulla e con cui immaginare un futuro che in quel momento della vita appare così lontano ed immaginario, da risultare difficile anche solo sognarlo?
Silvia Avallone, che avevo amato in Acciaio, ci regala un altro romanzo in cui la vita di provincia, i riti di passaggio, l’unione tra due anime diverse, eppure accomunate da famiglie disfunzionali e da affetti sbilanciati la fa da padrone.
Elisa e Beatrice non potrebbero essere più diverse, una bruttina, goffa, sempre presa a leggere per sfuggire un’infanzia di trascuratezza, l’altra bella, sicura di sé eppure con qualche crepa in quella apparente idilliaca perfezione.
La narrazione è un fiume in piena, che travolge e impone, almeno a me ha fatto questo effetto, un ritmo serrato nella lettura.
Quasi 500 pagine che ho letto in pochi giorni, e in cui il rapporto tra le due amiche e le mille riflessioni inserite qua e là hanno continuato a tenermi compagnia e ronzarmi in testa anche mentre non leggevo.
Un romanzo in cui riconoscersi, perché l’amicizia è uno di quei sentimenti totalizzanti che tutti abbiamo provato e che probabilmente ci ha fatto soffrire perché la profondità di quel rapporto non ha potuto continuare con la stessa intensità, perché crescendo, lasciando andare l’adolescenza, affrontando le varie tappe della vita, è quasi inevitabile che il sentimento totalizzante che provavamo si sia via via affievolito, normalizzato. E abbia lasciato in noi l’amarezza delle cose belle che non hanno futuro.
Eppure in questo romanzo oltre all’amicizia c’è anche tanta rabbia, tanto dolore taciuto, rinchiuso a forza, bloccato nel profondo, che esplode in alcuni momenti dalla bocca di Elisa. In quei ricordi che tracimano e vogliono trovare espressione, vedere finalmente la luce, Elisa racconta la sua sofferenza per la fine dell’amicizia con Bea, ma anche per la fine della sua adolescenza, dei suoi sogni, della possibilità di avere, o sognare, una vita diversa.
“Perché si legge? Perché non rimane altro. Nessuna vocazione nobile si annida nel gesto di aprire un libro. Parliamoci chiaro: chi ha potuto scegliere liberamente se diventare Beatrice o Elisa, protagonista o testimone, celebre o ignota, se passare il proprio sabato in fuga con un ragazzo o dimenticata in una stanza, non ha mai avuto dubbi. Per leggere occorrono necessità e disperazione: è una cosa che si fa in galera, in solitudine, in vecchiaia, nell’emarginazione: quando né la tv né Internet riescono a distrarti dal fatto che nella vita si perde, e si perde tutto; e chi conosci ti sembra felice e tu ti consumi d’invidia; quando l’unica soluzione è farla finita e diventare un altro.”
Un romanzo da leggere per riflettere su chi, a volte, diventiamo per proteggerci, per evitare di andare in pezzi.