Dopo alcune letture “pesanti” per i temi trattati e anche per il ritmo di scrittura, avevo bisogno di un libro come Zazie.
La piccola protagonista, che desidera provare l’ebrezza di un giro in metrò, desiderio che, oltretutto, resterà irrealizzato a causa dello sciopero del mezzo, è stata davvero una boccata di freschezza.
Zazie viene affidata dalla madre, che ha intenzione di trascorrere una giornata con il suo nuovo amore senza interferenze e interruzioni da parte della figlia, allo zio Gabriel, che lavora come travestito in un locale notturno di Parigi. Zazie, che vuole fare un viaggetto in metrò, sfugge alla sorveglianza dello zio e girovaga per Parigi, dove conosce molti personaggi ambigui, dando il via a un girotondo di peripezie, di avventure, di incontri. Il tutto con un’incoscienza e una sfrontatezza assolutamente incredibili in una ragazzina di quell’età e per il periodo in cui il libro è scritto e ambientato, 1959.
Le sue avventure in compagnia di una serie di personaggi sopra le righe, capitanatati dallo zio, un omone che di mestiere balla in locali gay anche La morte del cigno, col tutù, e il linguaggio di Queneau mi hanno divertito tantissimo.
E’ un libro in cui immergersi, da cui farsi travolgere, senza troppe domande, lasciandosi trasportare dal ritmo, dal linguaggio surreale, dallo deformazione di alcuni vocaboli (mi vengono in mente “ormosessuale” e “blucinz”, ad esempio), dai giochi di parole, girovagando per Parigi insieme con questa banda di personaggi estrosi, perdendo un po’ il filo quando i nomi diventano troppi e qualcuno di sdoppia o si triplica addirittura. Un romanzo che pare scorrere come una commedia teatrale, scoppiettante e piena di verve.
Una storia a volte talmente assurda che mi sono più volte soffermata a domandarmi se quello che Zazie racconta fosse frutto della sua incredibile fantasia o fosse realmente accaduto.
Perché quello che colpisce, al di là della storia e sicuramente del linguaggio, è la piccola protagonista, una ragazzina, o forse sarebbe meglio dire una bambina di una decina d’anni, così scafata, sicura di sé, così poco spaventata dal mondo degli adulti da buttarsi a capofitto in ogni possibile avventura, senza timore, con incoscienza: una sorta di elfo curioso pronta a vivere ogni impresa e cogliere ogni possibilità le capiti a tiro.
– Allora? Perché vuoi fare la maestra?
– Per rompere le balle alle bambine, – rispose Zazie.
– Quelle che avranno la mia età fra dieci anni, tra vent’anni, tra cinquant’anni, fra cento anni, fra mille anni. Aver sempre da romper le balle a qualcuno.”
– Bene, – disse Gabriel.
– Voglio essere carogna. Gli farò leccare l’impiantito: mangiare la cimosa della lavagna. Gli metterò i compassi nel didietro. Pedate nel sedere. Porterò gli stivali. D’inverno. Alti così (gesto). Con gran speroni per delle chiappe.
Un romanzo surrealista, ipercinetico, scoppiettante, basato sui continui giochi di linguaggio, al punto che non si può esimersi da fare un encomio speciale al bravissimo traduttore che ha saputo rendere in italiano le allitterazioni, i giochi di parole e le storpiature linguistiche, ricreando lo stile scoppiettante del testo originale.
Il mondo descritto da Quenau è un mondo grottesco, fantastico, ma anche intriso di malinconia, perché sotto la vernice luccicante, il mondo fatto di lustrini, l’irriverenza della bambina, si nasconde la violenza, l’alcolismo, la promiscuità sessuale, il perbenismo della società e tante brutture che riportano a temi ed aspetti scabrosi della Parigi di fine anni cinquanta, in primis l’omosessualità.
– L’essere o il nulla, ecco il problema. Salire, scendere, andare, venire; tanto fa l’uomo che alla fine sparisce. Un tassì lo reca, un metrò lo porta via, la torre non ci bada, e il Panteon neppure. Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un’ombra (incantevole), Zazie il sogno d’un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l’ombra di un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota (oh! mi scusi)…
Zazie nel metrò è una sorta di favola moderna, con una piccola ed irriverente protagonista, così sboccata, disinibita, furba da risultare indimenticabile e assolutamente eccezionale.
E con una battuta finale, fulminante:
– E allora, cosa hai fatto?
– Sono invecchiata.
Zazie nel metrò di Raymond Queneau – Einaudi Et Scrittori (1959) – traduzione di Franco Fortini – pag. 146