Gli anni ‘40 furono caratterizzati dalla seconda guerra mondiale e, come già avvenuto durante la prima, le donne, contribuirono allo sforzo bellico ricoprendo ruoli lavorativi lasciati scoperti dagli uomini. La moda inevitabilmente ne risentì. Il capo più popolare divenne il tailleur, che per forma e taglio ricordava le uniformi militari (spalle imbottite, cinta in vita, e orlo sotto il ginocchio). Un abbigliamento pratico e professionale, che divenne ancora più necessario durante il periodo del razionamento. Rimodellare e rifare quello c’era nel guardaroba divenne fondamentale. Il tailleur diventò praticamente un must per tutte, ci si rallegrava usando colori e fantasie.
La moda della prima metà degli anni 40 fu talvolta condizionata, nero su bianco, dalle prescrizioni governative: razionate le scarpe in pelle, introvabili le calze, stabiliti addirittura per legge (in Usa) la lunghezza degli orli o la presenza delle tasche. In Gran Bretagna il razionamento di cibo, vestiario e calzature, introdotto per garantire che tutti i cittadini britannici ricevessero un equo sussidio, obbligò le donne a indossare quello che già avevano nel loro guardaroba. Nel 1942 il governo Britannico introdusse una legge ai sensi del Decreto Abbigliamento Civile, che rese illegale, non patriottico per alcuni produttori spendere tempo nell’abbellire i vestiti per la vendita. Questo portò alle cuciture extra, pieghe, tasche, bottoni e passamanerie stravaganti, cambiando radicalmente la moda e incoraggiando lo stile utility. Con il razionamento in atto il governo incoraggiò un motto che faceva “crea, fai e rammenda”. Rimodellare e rifare quello c’era nel guardaroba era fondamentale. Le donne che sapevano cucire potevano creare nuovi capi da qualsiasi cosa; coperte, cappotti e federe erano tutti tagliati e rilavorati in una nuova veste. Tutto questo lo rivediamo negli outfit dell’epoca: scarpe in stoffa, legno, gomma; calze in lana o addirittura “dipinte” sulle gambe con l’eye-liner per creare l’aspetto di cuciture di calze; gonne strette per risparmiare sul metraggio.
Le scarpe mascoline iniziarono ad apparire per soddisfare le esigenze di praticità e fecero sì che le francesine divenissero sempre più popolari per le donne.
I turbanti divennero un accessorio utile per le donne da usare come dispositivo di sicurezza per il lavoro in fabbrica, inoltre veniva usato anche dalle donne sia casalinghe che lavoratrici per nascondere i capelli spettinati e disordinati.
La nascita del “Due pezzi”
Nel 1946 a Parigi fu realizzato dallo stilista di moda Jacques Heim e dall’ingegnere Louis Reard un nuovo costume da bagno. Consisteva di due pezzi e fu pubblicizzato come ‘il più piccolo costume da bagno’. Reard chiamò il nuovo costume da bagno “BIKINI” prendendo il nome dall’isola di Bikini dove stava avendo luogo il test sulle bombe atomiche. Si pensa che Reard credesse che lo stile provocatorio e succinto avrebbe creato reazioni shock simili a quelle create dalla bomba atomica americana in Giappone dell’estate precedente. Reard adattò lo stile facendo il di sotto più piccolo creando il bikini string. Fu difficile trovare modelle per far indossare i loro bikini, infatti furono costretti ad assumere una ballerina nuda per modellare le creazioni
Moda maschile
A fine guerra l’abbigliamento maschile fu caratterizzato dal “Victory suit”, un abito di aspetto sobrio di solito in colore scuro, a tinta unita o gessato, a doppio o mono petto. La giacca era più corta e i pantaloni più stretti, senza pieghe o bordi. Il tessuto più comune era un misto lana, poiché era più resistente e più caldo del rayon. Il completo tipico degli anni ’40, però, non include il gilè: in un periodo di ristrettezze veniva, infatti, considerato superfluo. Il cappello Fedora completava il look.
Prendendo ispirazione dalle Band jazz a fine decade, una rivolta contro la monotonia dell’abbigliamento imperante, fu rappresentata dal vivace “ZOOT SUIT”. Nato nei Jazz club di Harlem, il completo era composto da una giacca piuttosto larga in colori e disegni vistosi, con spalle enormi e ampi risvolti. I pantaloni erano larghi, con la vita alta e si restringevano vistosamente alle caviglie. Accessorio fondamentale dello “zoot suit” era una lunga catena da orologio che pendeva vistosamente dalla tasca. Un fedora grande e coloratissimo, con una tesa molto larga, un papillon o una cravatta, completavano l’abbigliamento.
Poi la guerra finì, e arrivò Christian Dior
Con la fine della guerra, le donne vollero allontanarsi dall’austerità e privazioni degli anni precedenti, e arrivò Christian Dior.
Dior riuscì nell’impresa di rivoluzionare la moda degli anni quaranta, introducendo uno stile e un’idea di femminilità completamente nuovi. Con la linea Corolla, ribattezzata New Look, lanciata nel 1947 negli Stati Uniti, la donna era nuovissima nella sua pronunciata femminilità e sapeva d’antico. La vita era minuscola (ricomparvero il corsetto e la guêpière, con un brusco salto all’indietro), il petto alto, le spalle minute. Le gonne erano ampie e allungate con sottogonna di tulle per accrescerne il volume, la giacca stretta e sagomata. Tessuti raffinati e costosi, che sostituirono il panno usato durante la guerra. L’abbondanza di stoffa dei suoi modelli fu di non poco aiuto alla ripresa dell’industria tessile.
Il suo New Look fu una rivoluzione, nel vero senso della parola: busto sottolineato, come vita e fianchi, riaffermazione della sensualità femminile, gonna al polpaccio. Ci furono persino proteste, e associazioni femminili che si ribellavano alla nuova tendenza che stava travolgendo il mondo della moda. Perché? Anzitutto, perché alle donne abituate alle ristrettezze della guerra il nuovo stile così sfarzoso dava l’impressione di uno spreco di stoffa; poi, le gonne lunghe e la vita stretta facevano temere a moltissime di perdere le conquiste di libertà e comodità, anche nel vestiario, tanto faticosamente guadagnate. A posteriori possiamo dire che avevano scambiato un semplice trend modaiolo per un ritorno all’oppressione delle donne, cosa che ovviamente non è accaduta.
Ma che il New Look di Dior avesse un sapore retrò era vero: le amplissime e lunghe gonne imponevano il ritorno delle sottogonne di tulle, e il vitino di vespa (che ha imperversato poi per tutti gli anni ‘50) costringeva molte a busti e stringivita, se non a veri corsetti con le stecche. Fu un dietro front rispetto al corpo liberato da Poiret e carezzato da Chanel. Si tornò all’eleganza aristocratica e anche alla battaglia degli orli. Le donne però, alla fine, si sottoposero con divertimento al ritorno della femminilità spumeggiante: ne sentivano il bisogno, dopo tante privazioni.
Il New Look, nonostante il nome, era una controrivoluzione : i modelli si ispirano al passato, in particolare alla moda francese della seconda metà dell’ 800. Proponevano un modello di donna romantica, ed un look femminile e aristocratico. Il New Look è espressione di lusso, grazia ed eleganza. Secondo Dior il look deve essere coordinato in tutti suoi dettagli : cappello, guanti, scarpe e borsa in tinta.
In quel periodo la perfezione era imperativa: per essere trendy occorreva essere sempre impeccabili: mai un capello fuori posto, trucco perfetto, e outfit studiati nei dettagli con gli accessori di tendenza. Persino per stare in casa, le massaie acquistavano abiti appropriati e decisamente molto carini. Malgrado l’abitudine molto diffusa di cucire abiti e gonne in casa, e la grande disponibilità di stoffa e attrezzature per il fai da te, tanto impegno per essere perfette a un certo punto divenne un peso: ci si era divertite, dopo le sofferenze della guerra, a sentirsi donne chic ed inappuntabili, ma ora le donne erano pronte per riacquistare la libertà.
Gli anni ’50 sono, però, anche il decennio del rock ‘n’ roll, dei blue-jeans, delle t-shirt e dei pattern a pois. E a dettare legge sono due stili opposti: il bon ton delle signore, che richiama lo stile introdotto da Dior o lo stile delle mitiche pin up.
Ora sono la televisione e il cinema americano a dettare moda e a influenzare gli usi e costumi. Per la prima volta, i protagonisti sono i teenagers, che si distinguono dagli adulti anche per l’abbigliamento: blue-jeans, t-shirt, maglioni, giacche in pelle, look trasandato o sportivo. Per la prima volta nella storia, la moda arriva dal basso tanto che i giovani riescono a creare una propria identità indipendente, andando così a influenzare i dettami delle case di moda.
La giacca di pelle diventa un irrinunciabile must have della moda uomo, e a fare fortuna sono anche i jeans capo che influenza tuttora la moda.
La linea femminile si basa per i primi cinque anni di questo decennio essenzialmente sul “New Look” di Dior. Verso il 1955 le linee cominciano ad assottigliarsi, la figura della donna si fa più sinuosa, si impone il piccolo tailleur, capo destinato a divenire un classico. Chanel, la grande creatrice francese degli anni ’20-’30, riprende la sua attività nel 1954 e ripropone il tailleur fatto di stoffa tessuta a mano, con bottoni gioiello e fodera di seta identica a quella della camicetta.
Icone del periodo sono le raffinate Grace Kelly e Audrey Hepburn, con il loro mitico little black dress e le ballerine sempre ai piedi, ma anche il mito dei miti Marilyn Monroe, sensuale femme fatale.
La moda degli anni 60 rappresenta un vero e proprio punto di svolta per la storia della moda. Si affermano nuovi canoni estetici, nuovi colori, nuovi stili. Trionfa lo stile androgino.
Il mondo occidentale vive importanti trasformazioni e fatti storici, è il decennio delle contestazioni studentesche, della rivendicazione sociali e delle tensioni razziali. La moda diventa democratica: sono i giovani a creare il proprio stile dando vita a look nuovi. La moda inizia ad affermarsi dal basso, dalle subculture, da correnti che vengono consacrate definitivamente negli anni ’70, come il movimento punk.
Gli abiti che maggiormente caratterizzano questo periodo sono la minigonna ideata da Mary Quant e l’abito a trapezio di Givenchy che si poteva abbinare con le calze colorate o con gli stivali alti quasi fino al ginocchio. Questi abiti svasati, senza punto vita sono coloratissimi, con stampe geometriche, optical, pois, righe, uno stile sbarazzino e allegro che segna l’inizio del cambiamento per tutta la moda femminile.
Sono gli anni in cui il mondo occidentale vive importanti trasformazioni e fatti storici, è il decennio in cui i giovani insorgono e propongono nuovi modelli di vita, contrari e antitetici all’imperante società dei consumi. Sono il periodo delle contestazioni studentesche, della rivendicazione della libertà negata e della strenua opposizione alla guerra del Vietnam. E’ l’epoca dell’insediamento di Kennedy, dello sbarco sulla Luna, di Woodstock. Ognuno di questi eventi ha segnato profondamente gli usi e i costumi della società.
Anche l’universo moda ha fatto sue tendenze e stili così diverse tra loro da apparire spesso contrari al concetto stesso di moda che, dagli anni ’60 in poi, acquista una nuova identità: non più intesa solamente come haute couture, ma inizia a diventare ‘democratica’ perché sono i giovani a creare il proprio stile e dando vita a look nuovi. E’ la moda che inizia ad affermarsi dal basso, dalle subculture, da correnti che vengono consacrate definitivamente negli anni ’70, come il movimento punk.
Nel corso degli anni ’60 inizia ad affermarsi il concetto di mix and match, laddove convivono tra loro moltissimi stili: si passa da quelli influenzati dalla musica (è il periodo dei Beatles e dei Rolling Stones), al look dei “contestatori” (jeans lisi, scarpe da tennis, maglioni lisi ed eskimo o montgomery come giacca invernale) allo stile bon ton di Colazione da Tiffany (1961) e a quello semplice ma rivoluzionario di Twiggy.
La musica, la moda, la popolarità delle religioni orientali divengono l’urlo di una società giovanile che sfida il mondo che li circonda; nascono i movimenti studenteschi nelle università che gridano alla pace, all’uguaglianza e la Beat Generetion che fonda le sue radici già negli anni ‘50, diviene un fenomeno sempre più popolare in tutto il mondo.
Stilista simbolo degli anni ’60 è Mary Quant nata a Blackheath, un sobborgo di Londra, inventrice della minigonna, indumento che le diede popolarità e che fu indossato e veicolato dalla sua parrucchiera di 17 anni, Leslie Hornby detta Twiggy (grissino), antesignana delle top model-teenager. L’appellativo Twiggy (grissino) la renderà una super icona della storia della moda, modello rivoluzionario di donna che nulla aveva a che vedere con le mannequins del passato, ma un “maschietto” senza curve, simbolo della crescente emancipazione femminile che darà il via al movimento rivoluzionario femminista.
I londinesi dapprima sorrisero della boutique di Mary e del folcloristico gruppo di giovani che la circondava, ma poi il suo estro attirò gente da ogni parte del mondo. Dapprima riuscì ad aprire un negozio nell’aristocratica Brompton Road a Knightsbridge, successivamente nel 1963 creò il “Ginger Group” che le permise di esportare i suoi prodotti negli USA e nel 1966 creò una collezione di calzature. Nello stesso anno, inoltre, ricevette dalle mani della Regina Elisabetta, l’onorificenza di Cavaliere della Corona Britannica, che l’anno prima era stato dato ai suoi idoli: i Beatles. La sua moda la rese l’icona incontrastata dello Swinging London, termine derivante dall’inglese to swing – “oscillare“ o “dondolare” che venne coniato dal TIME in un articolo del 15 aprile del 1966.
Di questo decennio è anche il celebre abito a trapezio di Givenchy che si poteva abbinare con le calze colorate o con gli stivali alti quasi fino al ginocchio. Gli abiti diventano svasati, senza punto vita, coloratissimi, trionfano le stampe geometriche, optical, i pois e le righe, uno stile sbarazzino e allegro che segna l’inizio del cambiamento per tutta la moda femminile.
I capelli si accorciano e seguono le linee geometriche degli abiti, non boccoli, ma frangette e caschetti; il “pixie cut” è il taglio corto e sbarazzino di Jean Seberg e Mia Farrow, oggi tornato di moda. In alternativa si optava per i capelli raccolti, in chignon o code di cavallo, ma cotonati.
Dal romanticismo della linea a clessidra e dall’Haute Couture si passa alla linea trapezio una linea meno costrittiva e più libera che permise una maggiore agilità e comodità. più moderna e al sempre più dirompente espandersi del Prêt-à-porter, una moda pronta per essere indossata.
Gli abiti a trapezio spesso senza maniche, solitamente realizzati in stampe optical o geometriche, ma anche in tinta unita e in nuances più o meno vivaci, da abbinare magari a stivali dai tacchi altissimi, furono largamente apprezzati in tutto il mondo, divenendo velocemente un vero e proprio must. Interessante è pensare che il fautore della linea a trapezio fu lo stilista Yves Saint Laurent, che dal 1954 lavorò per la Dior e a soli 21 anni, a seguito della morte di Monsieur Dior, fu chiamato a disegnare come chef designer per la Maison. La collaborazione non durò molti anni e quando Yves Saint Laurent fu chiamato alle armi il contratto fu rescisso bruscamente. Dopo questa separazione, lo scontro in tribunale e la successiva vittoria, Yves Saint Laurent insieme a Pierre Bergè, suo compagno e socio, diede i natali alla Yves Saint Laurent Company e cominciò ad esprimere se stesso senza condizionamenti di alcun tipo.
Nel 1965 dopo aver ideato l’abito trapezio, Yves Saint Laurent ispirandosi all’arte di Piet Mondrian creò la collezione Mondrian e tale collezione ebbe un ruolo talmente d’impatto che marcò l’epoca e fu l’esempio geniale di quanto l’azzardo, la contaminazione da sempre così florida tra arte e moda, potesse dar luce a qualcosa di assolutamente iconico, nuovo e moderno.
La forma dell’abito a trapezio/sacco rispecchiò in pieno l’esigenza di sobrietà, comodità e libertà di movimento della donna degli anni ‘60: una donna libera, indipendente e spesso lavoratrice, che non poteva permettersi di essere ingabbiata.
L’equazione moda = élite cominciò sempre più ad appartenere al passato e si corse velocemente verso il cambiamento che investì non solo il fashion system, ma arte, musica e tanto altro.
Le contaminazioni tra le arti, la ricerca spasmodica verso il nuovo, portarono alla completa liberazione dagli schemi e ad esaltanti sperimentazioni.