Uccidere un innocente

“Non piangerai accorgendoti che gli uomini riducono la vita dei propri simili a un inferno, specie quella dei negri, senza nemmeno riflettere un istante che sono uomini come noi!”

Il romanzo di Harper Lee parte da lontano raccontando l’infanzia di due fratelli, Jem e Scout, orfani di madre. Si sofferma sul padre, l’avvocato Atticus Finch, un uomo retto e dai principi solidi che ha verso i due figli un rapporto paritario, pronto a rispondere alle loro domande e a non trattarli da bambini.

«Jack, per amor del cielo, quando un bambino ti chiede qualcosa, rispondigli a tono. Non andare per via traverse. I bambini son bambini, ma si accorgono prima degli adulti se si da loro una risposta evasiva, e l’ambiguità confonde loro le idee ancora di più.»

La casa è gestita da Calpurnia, una donna di colore che è sempre vissuta con loro, li accudisce e se ne prende cura nel migliore dei modi. E Atticus non manca mai di distillare principi e insegnamenti ai suoi figli.

«Se vuoi capire una persona, devi provare a metterti nei suoi panni e a riflettere un poco»

L’autrice si prende tempo e spazio per raccontare un’estate pigra fatta di scherzi e di divertimenti dei due fratelli e del loro amico, Dill, che trascorre con loro le vacanze.

I tre sono affascinati e insieme terrorizzati dal fantomatico Boo Radley, vicino di casa, recluso e forse pazzo. E verso di lui e il mistero che pare aleggiare sulla sua casa e sulla sua persona si concentrano i giochi e le chiacchiere dei tre ragazzini.

Nel raccontare l’inizio della scuola di Scout e la sua iniziale avversione verso la maestra, l’autrice tratteggia mirabilmente i caratteri dei bambini, specchio delle loro famiglie, e della diffidenza e difficoltà di integrazione di alcune di esse.

“A Maycomb esisteva un vero e proprio sistema di caste, ma secondo me la cosa funzionava così: i cittadini anziani, quelli della stessa generazione che avevano vissuto a Maycomb porta a porta per tutta la vita, si conoscevano perfettamente tra loro: sapevano a priori quali sarebbero stati gli atteggiamenti e pure i gesti degli altri, essendosi ripetuti per generazioni e raffinati nel tempo”.

Ma l’atmosfera apparentemente serena in cui vivono è turbata da un fatto accaduto in città e a cui il padre si sta dedicando professionalmente. Una ragazza è stata violentata e di questo è accusato Tom Robinson, un giovane di colore.

Atticus ha accettato il caso perché altrimenti non potrebbe vivere con se stesso.

«Questo è un caso che tocca direttamente il vivo della coscienza di un uomo»

Pagina dopo pagina la tensione sale. Episodi di intolleranza verso Atticus, accuse prima velate poi sempre più smaccate di essere negrofilo.

«… prima di vivere con gli altri bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l’unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza»

Atticus, per quanto consapevole delle difficoltà del caso e della quasi impossibilità a far assolvere l’uomo non ha dubbi.

«Non è una buona ragione non cercare di vincere solo perché si è battuti in partenza.»

La parte centrale dedicata al processo e la suo inevitabile finale è da manuale. Un processo indiziario, basato sul nulla che diventa condanna certa per un giovane nero menomato ad un braccio che ha come unica colpa quella di aver provato pietà per una bianca.

Il fatto che il romanzo sia narrato in prima persona da Scout che all’inizio del libro ha 6 anni, permette di vedere, attraverso lo sguardo limpido di un bambino le paure di una comunità, la diffidenza verso il diverso, l’idea utopistica che la giustizia trionfi e che la verità emerga sempre, senza quelle sovrastrutture e gli inevitabili preconcetti che si acquisiscono con l’età.

A distanza di 60 anni dalla pubblicazione, Il buio oltre la siepe resta un caposaldo della letteratura e una critica mirata ad una società perbenista e ottusa che vede nel diverso il mostro da temere e da cui rifuggire. Il famigerato “uomo nero” che ruba i bambini e commette qualsiasi crimine.

Un ultima nota. Non ho ben capito il senso della traduzione del titolo, che in inglese è To Kill a Mockingbird (uccidere un tordo beffeggiatore). Nel titolo originale l’accento è messo sull’assurdità, la crudeltà e l’insensatezza di uccidere un innocente, che sia un uccellino che allieta con il suo canto, o un giovane nero gentile.

“Tuo padre ha ragione”, disse. “I passeri non fanno niente di speciale, ma fa piacere sentirli cinguettare. Non mangiano le sementi dei giardino, non fanno il nido nelle madie, non fanno proprio niente, solo cinguettano. Per questo è un peccato uccidere un passero”.

Questo senso che più volte è espresso nel romanzo si perde nel titolo italiano, che sposta invece l’attenzione sulla paura verso ciò che non vediamo, su quello che il buio nasconde e la siepe come limite ed impedimento a vedere. Probabilmente il titolo italiano deriva dal film uscito nel nostro paese nel 1963, lo stesso anno della pubblicazione in italiano del romanzo di Harper Lee e magistralmente interpretato da Gregory Peck.

Fatto estremamente bene è anche il graphic novel, adattato e disegnato da Fred Fordhan fedele al testo e dai disegni molto realistici.

Il buio oltre la siepe di Harper Lee – Feltrinelli editore (1963) – pag. 410

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