Essere invisibili

Mentre riflettevo su questo libro mi è tornata alla memoria il libro L’occhio più azzurro di Toni Morrison, in cui una bambina nera sogna di essere Shirley Temple per essere finalmente vista come essere umano. Perché Ralph Ellison nel suo Uomo invisibile mette proprio in evidenza questo aspetto: l’uomo nero è invisibile, trasparente agli occhi dei bianchi, non viene visto, è come se non esistesse. Il razzismo è talmente radicato da aver reso le persone nere incorporee e la smaterializzazione è tale da renderle spettri, fantasmi, “spooks”. Stesso termine non per nulla usato da Philip Roth ne La macchia umana in senso dispregiativo verso le persone nere.

Perché il colore rappresenta una sorta di scarto dal campo visivo, come un’immagine che si ha davanti ma non si vede.

Sono un uomo invisibile. Non sono uno spettro, no, uno di quelli di Edgar Allan Poe; e neppure un ectoplasma da film di Hollywood. Sono un uomo di sostanza, di carne e ossa, di fibre e umori – si potrebbe perfino affermare che ho un cervello. Sentite, sono invisibile per il semplice fatto che la gente si rifiuta di vedermi. Come le teste senza corpo che vedete al circo tra i fenomeni da baraccone, mi sento circondato da specchi deformanti di vetro durissimo. Quando la gente mi incontra vede solo tutto intorno, e vede se stessa e vede i frutti della sua immaginazione: insomma proprio tutto all’infuori di me.

Non è un testo facile Uomo invisibile. Un romanzo allegorico, con un personaggio senza nome, che racconta in prima persone le sue disavventure, sempre in bilico tra il drammatico e il grottesco. Un libro che oltre essere di denuncia è anche di formazione. Ambientato negli anni ‘40/’50, con un protagonista entusiasta che poco a poco spegnerà le sue ambizioni e vedrà cadere tutte le sue illusioni in una vera e propria discesa agli inferi nella società newyorkese.

Il protagonista è un ingenuo ragazzo del Sud degli Stati Uniti, pieno di buona volontà, che frequenta un college riservato agli afroamericani per potersi fare una posizione. Ma a causa di un errore si troverà scaraventato in una grande città, prima convinto di poter emergere, poi sempre più consapevole di essere solo un burattino nelle mani di altri. In mezzo l’esperienza della fabbrica, del sindacato, dei movimenti civili, della rivolta razziale, fino alla necessità di scomparire nel sottosuolo, di farsi davvero invisibile.

Ellison mette su carta una critica feroce nei confronti non solo di chi è dichiaratamente razzista, ma anche soprattutto di quei bianchi che sembrano operare a favore dei neri, che condividono le loro battaglie, che scendono in piazza con loro, ma sotto sotto vogliono solo imporre la loro visione. Reputano di essere superiori, e poter indirizzare meglio dei neri le loro scelte. Un’analisi sociologica dei così detti “amici dei neri”, che spesso sono più pericolosi dei razzisti manifesti, perché il loro è un razzismo strisciante, interiorizzato, a volte addirittura inconsapevole. La discriminazione diventa anche manipolazione.

Ellison scrive pagine di prosa “classica” alternate a uno stile a tratti sperimentale, con tocchi surreali, immagini psichedeliche e oniriche e soprattutto continui cambi di ritmo a cui si fa fatica a tenere il passo.

Ralph Ellison rimanda ad aspetti della società statunitense degli anni cinquanta, racconta la paura verso la fratellanza comunista, sottolinea l’idea non di rivendicare una vera integrazione razziale, ma di edulcorare e rendere accettabile il governo bianco che detiene potere e controllo. Un testo ideologico e politico, assolutamente originale ed ancora estremamente attuale.

Certo personalmente mi è mancato l’aggancio emotivo, non sono riuscita ad empatizzare con il protagonista, le sue vicende scombinate ed assurde, a tratti oniriche, mi hanno frastornato, e a tratti l’ho trovato disturbante.

Ciò nonostante è una lettura necessaria che riflette sul rapporto tra comunità divise dal colore della pelle e sulla difficoltà anche oggi di essere riconosciuti, accetti, ascoltati come tali.

L’edizione è arricchita da un saggio inedito dell’autore stesso dal titolo “Il romanzo come funzione della democrazia americana”. Un testo che riflettendo sulla funzione del romanzo, a partire dagli autori russi che hanno esplorato “il cambiamento nella personalità umana e nella società umana, portando alla superficie quei valori, schemi di condotta e dilemmi, psicologici e tecnologici, propri della condizione umana”, vede come compito del romanziere quello di raccontare la verità, ai propri lettori, come hanno fatto Twain e Hemingway e come cerca di fare lui stesso.

E per comprendere l’attualità e modernità delle parole di Ellison basta leggere queste righe:

Oggi siamo una società ricca eppure siamo infelici. Non sappiamo più cos’è la verità. Non riconosciamo più l’eroismo quando lo incontriamo. Non capiamo la natura della pazienza. Troppo spesso non approfittiamo della meravigliosa opportunità che abbiamo di proiettarci nelle vite degli altri – non per modificarle ma per capirle, per aggiungere dimensioni al nostro senso di meraviglia e al senso della possibilità che ci dà vivere in una società del genere. Non sappiamo che fare dei nostri soldi: nemmeno i poveri lo sanno. A quanto pare, non abbiamo difese contro la grande cacofonia di stili che ci rovescia addosso lo stupefacente mezzo della televisione. Le nostre strade sembrano circhi. Il nostro senso del gusto sembra perso. Non sembriamo sapere dove siamo. Parte della responsabilità deve andare ai nostri romanzieri, perché una volta che ottengono la fama cominciano a dimenticarsi da dove vengono; cominciano ad avere dubbi su dove possono andare.

Uomo invisibile di Ralph Ellison [Invisible Man 1947] – Fandango Libri (2021) – traduzione di Francesco Pacifico – pag. 624

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