Mentre leggevo questo romanzo pensavo a quanti libri parlano di maternità: maternità voluta, desiderata, negata, cercata, rinnegata, e quanto poco invece la narrativa si soffermi su che cosa voglia dire essere padre. E’ davvero difficile trovare storie che raccontino in modo convincente cosa significa diventare padri. Probabilmente perché la maternità, soprattutto quella naturale, nasce a poco a poco, condividere il corpo con il proprio figlio, crea nella maggior parte dei casi un legame già prima che quell’esserino venga a luce. Il padre, invece deve costruire quel legame, deve sentir crescere quel sentimento, deve imparare a diventare padre.
Ecco perché ho trovato così intenso e toccante Tornare a casa di Tom Lamont.
Un romanzo che riesce a descrivere attraverso i suoi tre personaggi maschili tutta la difficoltà, l’imbarazzo, la complessità di diventare padre.
Téo Erskine, il protagonista trentenne, sta prendendo le distanze dal sobborgo di Enfield dove è cresciuto. Vive e lavora a Londra, in realtà poco lontano dalla casa paterna, ma torna a casa solo ogni tanto a trovare il padre Vic, anziano e sempre più bisognoso di assistenza, e a incontrare lo storico gruppo di amici, capitanato da Ben. Ogni tanto fa da babysitter a Joel figlio di Lia, suo grande amore mai dichiarato e non ricambiato. Il suicidio inaspettato della donna rappresenterà la chiave di volta, obbligandolo ad occuparsi del bambino, perché gli assistenti sociali lo nominano tutore, almeno finché non ne venga rintracciato il padre naturale.
Parte da qui uno strano menage che coinvolge anche il vecchio Vic, intenzionato più che mai a prendersi cura del bambino, in una sorta di tardiva espiazione per essere stato un padre carente e poco affettuoso, l’immaturo Ben, che ha sempre messo al centro di tutto se stesso e i suoi bisogni, e la rabbina Sybil intenzionata a capire quale sia il suo spazio nel mondo.
Tom Lamont racconta una paternità dolce amara, uno strano menage che si crea per necessità, ma che diventa elemento di crescita e banco di prova per ognuno. La responsabilità di crescere un bambino non è cosa di poco conto, non per nulla un proverbio africano recita che “Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”, sottolineando l’impegno collettivo e totale necessario per rispondere alle esigenze di sviluppo e crescita non solo fisica, ma soprattutto psicologica ed emotiva di un bambino.
Un rapporto imperfetto, sbilanciato, fatto anche di accuse reciproche, incomprensioni, problemi, quello che lega questi tre uomini: Vic, che si ribella al decadimento del proprio corpo, recalcitra contro la vecchiaia e l’impossibilità di fare; Ben, che realizza per la prima volta quanto la sua vita sia vuota e quanto i soldi dei genitori, lo abbiano privato di scelte e possibilità; infine Teo continuamente diviso tra l’affetto che prova per Joel e la voglia di occuparsi di lui e la voglia di fuggire da responsabilità e problemi per dedicarsi alla sua vita, senza lacci né legami.
«Una volta Teo mi ha detto una cosa. Stavamo litigando. Eravamo sulle montagne scozzesi. Mi ha detto di indirizzare le mie energie. I miei appetiti. Il calciatore che c’è in me, il coglione pokerista, di convogliare tutto questo verso un vero obiettivo. Fino a poco tempo fa, giuro che non capivo cosa intendesse. Dentro di me pensavo: cambiare? Una persona può cambiare, diventare una versione migliore di se stessa? Si può essere uno screanzato inaffidabile ed ingordo una settimana e un genitore credibile la settimana successiva? Questo vorrebbe dire decidere di cambiare. E poi portare avanti il cambiamento. Vorrebbe dire ricordarsi di essere cambiato, ogni minuto in cui sei in compagnia di un bambino, ogni secondo di quei minuti. E per questo motivo…».
«Pensavi che non potesse accadere».
E durante un viaggio in Scozia, sulle tracce delle origini di Vic, il legame tra questi tre uomini e il bambino si rinsalderà e prenderà pieghe inaspettate.
Tornare a casa è un romanzo commovente e inatteso. Il legame che si crea tra Teo e Joel fatto di routine: i giochi, il bagnetto, il rito del sonno, il linguaggio, travalica i legami di sangue. E’ il prendersi cura, il condividere a plasmare il sentimento tra i due. E mentre l’adulto accompagna il bambino nella complessità del crescere, cambia anche lui, si trasforma, modifica quello che riteneva immutabile e cresce a sua volta.
Sybil aprì il libro e ritrovò il segno. Il bambino è in continuo movimento, lesse. Il bambino avanza, con urgenza e stupore, e cambia ad una velocità che non si ripeterà mai più. Anche il genitore è in movimento, ma solo in alcuni momenti. Il genitore si muove a velocità irregolare e sia che proceda di pari passo, tenendo il ritmo del bambino… sia che vada più avanti e si giri, gridando incoraggiamenti… o ancora che rimanga indietro e urli di aspettarlo… tutto ciò che conta è non perdere mai di vista il bambino.
Una storia che scardina il concetto tradizionale di famiglia ed esplora con sensibilità vari temi tra cui il lutto, l’amore, il cambiamento oltre che la paternità.
Tornare a casa di Tom Lamont [Going Home 2024] NNE (2025) – traduzione di Antonio Matera – pag. 332